«Il movimento per i diritti delle donne è uno dei più antichi e solidi dell'Iran. Le donne lottano da anni contro le discriminazioni, per la parità, per la giustizia. E il governo ha paura della loro capacità di non arrendersi. Sono convinta che le battaglie delle donne iraniane cambieranno il Paese». È il messaggio di speranza lanciato nella sede della Fnsi da Azadeh Pourzand, esule e attivista iraniana, in Italia in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani.
Ospite di Amnesty International Italia e di Articolo21, che oggi ha celebrato nella sede del sindacato l'assemblea annuale, Pourzand ha raccontato i tumulti che stanno attraversando l'Iran. «Innescate dall'aumento del prezzo della benzina, le proteste hanno però obiettivi più alti. Le persone in piazza sono deluse della Repubblica Islamica perché non ha saputo ascoltare le richieste di cambiamento. Chiedono emancipazione e riforme strutturali, dignità, giustizia, diritti per le minoranze religiose, libertà di stampa».
Introdotta da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, che ha ricordato come «secondo le nostre stime in queste settimane ci sono stati in Iran 208 morti e migliaia di arresti di oppositori politici», Pourzand ha evidenziato l'importanza di «occasioni come questa che ci fanno sapere che non siamo soli». Ha poi raccontato la storia di suo padre, giornalista perseguitato dal regime iraniano che «nonostante tutto ad ogni occasione cercava di diffondere i valori in cui credeva e di promuovere libertà di espressione e i diritti umani». E di come ancora oggi i giovani iraniani debbano lottare per gli stessi ideali.
«Le proteste vengono sedate con la violenza – ha spiegato –. Per non far sapere cosa accade il governo ha censurato internet e usa i media per fornire un racconto diverso dei fatti. Le donne che difendono i diritti umani sono accusate di guidare proteste alimentate da governi stranieri e oggi sono ancora più in pericolo che in passato. Il governo ha paura delle giovani donne e delle loro lotte. Ha paura della loro dignità, della loro forza. Le persone chiedono oggi le stesse cose che le donne hanno chiesto per anni e i politici sanno che le donne hanno imparato a reagire ai tentativi di sopprimere le loro richieste».
Noury ha poi sottolineato che «dopo tutti questi anni dalla proclamazione delle Dichiarazione universale dei diritti umani, ancora in troppi Paesi del mondo quei meravigliosi articoli restano inapplicati». E al termine della conferenza stampa ha proiettato un video in cui Amnesty racconta la storia di una giovane dissidente condannata a 10 anni di carcere per aver osato sfidare la legge che in Iran impone alle donne di indossare il velo.
Elisa Marincola, portavoce di Articolo21, ha lanciato un appello affinché ovunque nel mondo «i giornalisti recuperino l'orgoglio per il lavoro che fanno e anche di fronte al potere sappiano porre le domande scomode che rendono onore ad un lavoro, quello di chi fa informazione, dal quale discendono grandi responsabilità».
Il presidente Giulietti, introducendo la presenza di Paolo Borrometi e Sandro Ruotolo, a Malta pochi giorni fa in rappresentanza della Fnsi per portare la solidarietà del sindacato italiano ai cittadini mobilitati per Daphne Caruana Galizia, ha anticipato che «le richieste che arrivano da questa sala saranno portate ai sindacati europeo e mondiale dei giornalisti, perché – ha spiegato – ovunque ci sia una ferita della parola ci deve essere la nostra presenza. Non importa di che colore è il governo del Paese dove vengono violati i diritti umani. Ovunque la Fnsi sarà al fianco dei giornalisti e del diritto dei cittadini ad essere informati». E poi ha chiesto: «A quando uno speciale della Rai sui giornalisti che in Siria vengono imbavagliati?».
Voce, quindi, alle proteste di Malta, dove la gente è in piazza da settimane per chiedere verità per Caruana Galizia, ma anche per liberare il Paese dalla criminalità e dalla corruzione denunciate dalla giornalista uccisa il 16 ottobre 2017. «Quello che accade a Malta riguarda tutta Europa», ha esordito Sandro Ruotolo, che ha poi raccontato delle proteste, delle richieste dei cittadini maltesi, della difficoltà che incontrano i giornalisti indipendenti a raccontare al mondo gli intrecci tra politica, affari e malaffare sull'isola.
«C'è il rischio che la situazione possa degenerare. Dobbiamo stare accanto al popolo maltese, dare voce alle loro urla. Loro dicono – ha riferito ancora – che a Malta sta morendo la democrazia. Quello di Daphne è stato un omicidio terroristico-mafioso. Un messaggio per dire ai giornalisti di farsi gli affari loro. Non possiamo lasciare soli i colleghi», è l'appello di Ruotolo, che poi ha annunciato che l'Unione cronisti della Campania iscriverà al sindacato italiano i giornalisti maltesi.
Appello condiviso da Paolo Borrometi, che ha esortato a «fare da scorta mediatica alle persone in piazza. A Malta hanno lanciato uova contro Muscat come avvenne con le monetine contro Craxi. Ma Muscat si blinda nel palazzo del potere e vorrebbe mettere a tacere i giornalisti. Il sindacato mondiale intervenga sulla situazione della libertà di stampa a Malta e faccia comprendere ai colleghi maltesi che i giornalisti hanno un unico datore di lavoro: i cittadini».
Della situazione della libertà di informazione sull'isola e del conflitto di interessi che l'attanaglia, oltre che degli ultimi sviluppi delle indagini sull'omicidio, ha parlato Emanuel Delia. «Malta – ha detto – non è attrezzata culturalmente per affrontare la mafia. Quello che stiamo cercando di capire è se l'assassinio di Daphne è un episodio isolato o un sintomo di una malattia più profonda della democrazia maltese. Daphne aveva scoperto la corruzione ed è stata accusata di mentire. Ma anche quando si è scoperto che diceva la verità il premier Muscat non si è dimesso. L'arresto di Fenech non ha aggiunto nulla a quello che già si sapeva. Ma ora anche nel partito laburista hanno capito che Daphne è stata uccisa per aver detto la verità».
Il premier, ha concluso, «vuol far passare il messaggio che ora è tutto risolto e far dimenticare il reato più grave mai accaduto nella storia maltese. Chiediamo giustizia per Daphne e un cambio nella cultura maltese. Serve una informazione libera. Le persone si informano in televisione, ma non ci sono tv davvero indipendenti. Per questo abbiamo bisogno della vostra voce. Aiutateci a cacciare la mafia da Malta».
Pronta la risposta del presidente Giulietti: «Non può essere il colore politico di un premier a determinare una battaglia per i diritti umani. È fondamentale diventare scorta mediatica dei colleghi minacciati e 'illuminare' chi si oppone alla mafia. Noi non spegneremo i riflettori su Malta e porteremo le vostre rivendicazione al sindacato europeo e mondiale dei giornalisti».
In chiusura la solidarietà anche del segretario del Cnog, Guido D'Ubaldo, che ha ribadito «il sostegno personale e dell'Ordine nella battaglia per la legalità di chi chiede verità e giustizia per Daphne», ricordando le iniziative con la Fnsi sotto l'ambasciata maltese e l'impegno anche per Giulio Regeni e Ilaria Alpi, come per i giornalisti minacciati e sotto scorta. «La ricerca di verità e giustizia avrà sempre il sostegno dell'Ordine dei giornalisti», ha concluso.