Il giornalista di Repubblica Genova Stefano Origone stava facendo il proprio lavoro, e non stava ostacolando la polizia né tantomeno aveva dato l’impressione di essere coinvolto negli scontri. Le botte prese, le manganellate e i calci ricevuti anche quando era a terra, inerme e nella “disponibilità” di chi lo aveva malmenato (gli agenti di polizia) furono un fatto doloso e non colposo, caratterizzato anche da molta violenza. Per questo motivo i quattro agenti responsabili sono stati condannati a un anno con la condizionale.
È questa, in sintesi, la motivazione della sentenza della Corte di Appello di Genova sul pestaggio del collega Stefano Origone da parte di alcuni agenti del Reparto Mobile di Genova, chiamata a giudicare per la quarta volta sui fatti verificatasi nel pomeriggio del 23 maggio 2019 in piazza Corvetto a Genova, nel cuore della città, durante le manifestazioni antifasciste che contestavano un comizio superblindato di Casa Pound e sfociate in diversi scontri.
Quarto processo perché dopo la sentenza di primo grado (confermata in appello) che, escludendo anche le rappresentanze sindacali e ordinistiche dei giornalisti, aveva giudicato le lesioni subite da Stefano Origone come colpose e non dolose era stata la procura generale a impugnare la sentenza in Cassazione (sentenza criticata anche da Associazione Ligure dei Giornalisti-Fnsi e Ordine). Cassazione che aveva accolto le tesi della Procura generale rinviando gli atti all’Appello per un nuovo giudizio che ha ribaltato i due precedenti dai quali emergeva anche che a Stefano non era stato impedito di svolgere il suo lavoro.
Secondo le motivazioni della sentenza che ha condannato a un anno i quattro agenti responsabili del pestaggio, i poliziotti non potevano pensare che il cronista fosse un violento coinvolto negli scontri. La condanna per lesioni volontarie (con la condizionale) è stata inflitta agli agenti del reparto mobile Stefano Mercadanti, Luca Barone, Fabio Pesci e Angelo Giardina. Accogliendo, quindi, l’impostazione sia del sostituto procuratore generale Alessandro Bogliolo sia dello stesso Origone, assistito dai legali Cesare Manzitti ed Enrico Canepa.
Per i giudici «nessuna circostanza obiettiva, con particolare riferimento alla condotta dell’Origone, poteva aver ingenerato negli imputati la ragionevole convinzione di trovarsi nell’assoluta necessità di fare uso dei mezzi di coazione in dotazione, sicché le plurime condotte lesive loro ascritte risultano illecite, perché ingiustificate, sproporzionate e ben oltre i limiti di gradualità dettati dalle esigenze del caso concreto».
La terza sezione penale dell’appello genovese, presieduta da Vincenzo Papillo, va anche fondo su quanto accaduto quel giorno in piazza Corvetto, quando Origone venne ferito alla testa e alle mani subendo una lesione permanente a due dita e un pesante stato di shock: «I colpi inferti all’Origone, mentre era a terra, anche con calci, incompatibili con l’ordine impartito dai superiori, devono essere considerati al di fuori di qualsiasi profilo di legittimità; sussiste pertanto, a carico di tutti gli imputati, l’elemento soggettivo del reato loro ascritto, stante le concomitanti azioni lesive poste in essere dai predetti, in rapida successione, in danno dell’Origone, ciascuno partecipando, con la medesima determinazione criminosa, alle condotte degli altri, con un atteggiamento di condivisa ed ingiustificata aggressione all’integrità fisica della parte lesa; le concrete modalità delle azioni - sia dei poliziotti intervenuti per primi, per l’obiettiva assenza di profili di pericolosità in capo all’Origone, sia dei colleghi sopraggiunti, per l’evidente stato di prostrazione del predetto, ormai a terra inerme - rivelano inequivocabilmente la volontà dei predetti, in un agire all’unisono, di cagionare all’Origone le gravi lesioni personali diagnosticate dai sanitari curanti e valutate dal consulente tecnico». (m.z.)