È morto a Belgrado nel giorno di Pasqua Giuseppe Zaccaria, storico inviato della Stampa, cronista delle guerre dei Balcani. Nato a Bari nel 1950, laureato in giurisprudenza, giornalista professionista dal 1975, negli anni '70 lavora al Giornale di Indro Montanelli. Passa poi al Messaggero, per arrivare negli anni '80 al quotidiano torinese. «Per i libri che ha scritto, la sua storia e persino la residenza anagrafica a Belgrado, si parla di lui come di uno specialista dei Balcani, ma la sua carriera ha avuto un raggio più ampio», ricorda sul sito web del giornale Claudio Gallo.
Segue da Napoli i processi di Camorra, a Palermo si occupa di mafia. Poi gli Esteri, a partire dal 1989 con la sollevazione contro Ceausescu in Romania. Lì comincia ad appassionarsi all'Europa orientale. Segue le guerre balcaniche, denuncia i crimini di guerra di cui è testimone. Intervista a Belgrado Slobodan Milosevic prima dell'uscita di scena dell'ex presidente.
Lavora anche lontano dall'Europa, seguendo le due guerre del Golfo, le rivolte in Indonesia, i massacri a Timor Est e la prima Intifada palestinese. Nel 2000 riceve dalle mani del presidente Carlo Azeglio Ciampi il Saint Vincent per il giornalismo.
«Un chiusa retorica gli sarebbe certo dispiaciuta - commenta Gallo -. Meglio ricordare la sua verve citando la risposta che diede in un'intervista a chi gli chiedeva che cosa avrebbe consigliato a un giovane aspirante giornalista: "Mah, a occhio e croce, di lasciar perdere (…). Se lei dà un'occhiata ai giornali, si accorgerà che oggi la notizia è una specie di tabù, conta più il risvolto. Per essere pratici, è come se non si raccontasse più la partita di calcio, ma si facessero soltanto gli spogliatoi. Solo che la partita di calcio si vede in televisione, la vita no"».