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Uffici Stampa 19 Nov 2012

Dire e Fare: situazione e prospettive dopo 12 anni di legge 150 Forte impegno per far partire il "Premio Giacomo Di Iasio"

“Dire e Fare”, in Toscana, e detto in italiano, è una sorta di rassegna sulle buone pratiche che si trovano anche nelle amministrazioni locali. Organizza la struttura toscana dei Comuni e nell'edizione 2012 (svolta la settimana scorsa) c'è stato spazio anche per una “buona pratica” su cui Assostampa Toscana e la stessa Anci sperano di lavorare già da subito: la gestione associata del servizio di informare i cittadini, tramite giornalisti, anche nei Comuni di minori dimensioni.

“Dire e Fare”, in Toscana, e detto in italiano, è una sorta di rassegna sulle buone pratiche che si trovano anche nelle amministrazioni locali. Organizza la struttura toscana dei Comuni e nell'edizione 2012 (svolta la settimana scorsa) c'è stato spazio anche per una “buona pratica” su cui Assostampa Toscana e la stessa Anci sperano di lavorare già da subito: la gestione associata del servizio di informare i cittadini, tramite giornalisti, anche nei Comuni di minori dimensioni.

Fino ad ora, non nascondiamocelo, era abbastanza insolito – se non altro per motivi economici – che i Comuni di dimensioni minori potessero dotarsi, ai senso della legge 150, di specifici Uffici Stampa. Ma adesso, e lo ha anche confermato Alessandro Pesci segretario generale Anci Toscana, qualcosa potrebbe cambiare proprio a causa, paradossalmente, delle difficoltà economiche: difficoltà che costringono i piccoli Comuni o a fondersi o, comunque, ad associare funzioni. E tra le funzioni da gestire in sinergia, quella “informativa” non è certo fra le minori.
Si è discusso di questo, venerdì scorso, in uno degli spazi-confronto di “Dire e Fare”. Ma si è anche affrontata l'emergenza dei circa 25 giornalisti a oggi occupati nelle 10 Province toscane: per molti di loro non mancano timori e c'è attesa per capire se, e come, il Parlamento convertirà in legge quel decreto che anche in Toscana cambia la geografia istituzionale.
Presieduto da Paolo Ciampi, l'incontro è servito (ne ha parlato Paolo Cassola) per lanciare una iniziativa formativa rivolta in particolare agli uffici stampa degli enti pubblici. Si svolgerà a fine gennaio. Sono stati poi illustrati i motivi per i quali, in Toscana, è stata costituita, in AST, una Commissione uffici stampa.
L'incontro, iniziato con una dettagliata relazione di Renzo Santelli (Fnsi) su “situazione e prospettive” in ambito nazionale degli uffici stampa, si è concluso – a un anno esatto dalla prematura scomparsa di Giacomo Di Iasio – con un ricordo del collega.
Presente Fiorenza, la moglie di Giacomo, è stata sottolineata la volontà di ripensare quel riconoscimento al giornalismo degli Uffici Stampa che Di Iasio aveva portato avanti fino all'edizione di fine 2010, a Trento.

 

IN RICORDO DI GIACOMO
Mauro Banchini

Per una di quelle singolarità con cui talvolta capita di doversi confrontare, oggi si ricordano due persone, certo assai diverse fra loro, che hanno lavorato, in ruoli diversi, a servizio della Regione Toscana. Intendo il presidente Gianfranco Bartolini (di cui oggi si ricorda la figura nel ventennale della morte) e il nostro amico Giacomo Di Iasio, di cui è ancora fresco il ricordo come giornalista presso l'Ufficio Stampa del Consiglio Regionale della Toscana.

C'è un legame, fra i due, se non altro perché si chiamava Gianfranco Bartolini il presidente della Giunta quando, nella primavera 1986 all'Ufficio Stampa del Consiglio Regionale si affacciarono tre pubblicisti, vincitori di una selezione pubblica. Era stato Enrico Zanchi, allora capo Ufficio Stampa del Consiglio, a volere quella selezione e a volere il concorso pubblico che si svolse due anni dopo.

Uno dei tre giornalisti era Giacomo Di Iasio. L'altro era Leonardo Sturiale. Il terzo ero io. Per i casi della vita, e della professione, l'esperienza regionale di Leonardo si concluse subito e presto, dopo un altro collega adesso in Lombardia, arrivò con noi Daniele Pecchioli.

Di Iasio non arrivò subito in via Cavour 2. Doveva concludere un rapporto che aveva con un'altra testata. Pochi giorni e iniziò una frequentazione che ci condusse a condividere, per lunghi anni, la stessa piccola stanza. Avevamo colleghi come Pier Luigi Panicacci, Valdemaro Casini, Giorgio Cristallini in un clima di lavoro piacevole e sereno. Scrivevamo con le Olivetti. La stampante Ansa faceva un rumore incredibile. I primi pc arrivarono anni dopo, e con essi i primi corsi di formazione. Di lì a diversi anni sulle auto blu dei due presidenti (Giunta e Consiglio) furono inseriti i primi telefonini (anzi: telefononi) mobili. L'era dei microtelefonini (tanto comodi ma anche tanto pericolosi per la nostra salute) era ancora molto lontana.

Rinnovata di sei mesi in sei mesi la convenzione, si arrivò (1988) al concorso pubblico. In Commissione, con Romano Fantappiè, c'era anche Pier Andrea Vanni. La prova pratica consistette nel sintetizzare in stile giornalistico, le due relazioni sul bilancio della Regione. Quella di maggioranza e quella di minoranza, quest'ultima affidata al senese Gian Mario Carpi: persona capace di citare, e pure a proposito, “I promessi Sposi” parlando dei conti regionali.

Con Giacomo siamo stati insieme, a fare lo stesso lavoro, 12 anni. Poi si cominciò a lavorare in spazi diversi. Lui cominciò esperienze romane.

Fin da subito si iniziò una battaglia, ordinistico/sindacale, che ci appassionò entrambi: la richiesta di considerare il nostro lavoro (all'Ufficio Stampa) come “sostitutivo del praticantato”; la bocciatura da parte dell'Ordine; il ricorso al Consiglio Nazionale; la delibera che ci dette ragione (ottenuta – voglio ricordarlo – soprattutto grazie al prezioso lavoro giuridico dell'avvocato Gianfranco Garancini, collega in Consiglio Nazionale dell'Ordine).

Una delibera fondamentale. Un atto che fece giurisprudenza consentendo a tutti i colleghi di tutti gli uffici stampa pubblici d'Italia di essere riconosciuti, in presenza di determinati requisiti, nel praticantato e, dunque, di essere ammessi all'esame di Stato. Esame che tutti noi demmo, per primi, fra la fine del 1992 e l'inizio del 1993.

Non dico nulla di nuovo se ripeto che una buona parte di questo successo lo dobbiamo, tutti, proprio a Giacomo. Non solo noi qui in Toscana, ma tutti quanti: in tutta Italia.

Se Giacomo non fosse stato così tenace, così attento, così – chiedo scusa, ma talvolta lo era davvero – puntiglioso e un po' rompiscatole, i tempi sarebbero certo stati più lenti. Idem per la seconda “conquista”: la famosa legge 150, arrivata nel giugno 2000, che – fra diverse luci e qualche ombra – ha dettato i principi fondamentali (spesso non ancora applicati) sulla nostra professione.

Ricordo bene come si dette daffare, Giacomo, tra Firenze, Arezzo e Roma: quante telefonate e mail, quando – a partire da metà anni Novanta – si cominciò a usare la posta elettronica; quanti incontri e quanti convegni; quante relazioni seppe tessere, nel giornalismo e nella politica, nell'Ordine e nel sindacato nel Gus e nelle burocrazie, per arrivare a quella che, in clima bipartisan, sarebbe stata la “nostra” legge.

Era facile, almeno per me, trovarsi d'accordo con Giacomo sui fondamentali.

Il primo fra questi? Il fatto che la nostra non era una battaglia per guadagnare qualcosa in più (ben venisse pure quello, ma sapevamo che non sarebbe venuto).

Nel clima successivo alla fine della cosiddetta “prima repubblica”, il fondamentale (ordinistico e sindacale) era un altro: istituzioni più trasparenti, loro dovere di comunicare a fronte del diritto dei cittadini a essere informati su come i politici esercitano la delega.

E, nel mezzo, giornalisti veri: non funzionari per l'informazione né schiavetti del politico di turno, ma professionisti chiamati non certo a fare chissà quali scoop ma solo (scusate se è poco) a fornire ai colleghi esterni, ai colleghi di radio/tv e carta stampata, tutte le informazioni, già trattate in stile giornalistico, per i successivi approfondimenti.

Con Giacomo avevamo chiaro tutto questo. Ma, devo riconoscerlo, Giacomo aveva la capacità di vedere più avanti (almeno di me).

Lo trattai quasi snobbandolo quando cominciò a insistere su un fatto che allora mi pareva inutile ma con il quale adesso mi trovo a dover fare i conti. “Proprio noi più anziani – rompeva Giacomo – finiremo per essere penalizzati quando andremo in pensione”.

Aveva visto giusto: qualcuno di noi, oggi, sta infatti facendo i conti con le ricongiunzioni onerose e ciò avviene soprattutto perché fra le ombre della 150/2000 c'è anche la mancata “norma transitoria” che, in genere, si mette sempre per evitare di penalizzare qualcuno in presenza di norme nuove.

Molto altro vorrei dire in ricordo di Giacomo, compreso il lavoro parallelo che veniva fatto qui in Toscana per arrivare, con un ritardo fortissimo, a una legislazione di settore.

I nostri “avversari” spesso non erano i politici, ma andavano trovati in un ceto dirigenziale (ma anche sindacale) che ha sempre visto di cattivo occhio le battaglie dei giornalisti per un contratto specifico.

Conservo ancora documenti interessanti, con notazioni dello stesso Giacomo.

Ma consentitemi un altro ricordo, più personale, sull'uomo. Su quel modo particolare che aveva, specie dopo un po' che non ci vedevamo, di prenderti sottobraccio. Sul valore che lui attribuiva all'amicizia, quella vera (e dunque quella assai assai ridotta di numero) non certo quella virtuale.

 

Conservo ancora, in ufficio, un pesante fermacarte di bronzo che proprio Giacomo ebbe a regalarmi: un piccolo tondo di Enzo Scatragli con l'immagine di alcune rondini e una scritta che sarebbe piaciuta a Giorgio La Pira. “L'amicizia non si sceglia. E' libera come le rondini”.

Un amico e un collega, Giacomo, morto troppo presto. Così come troppo presto sono morti altri colleghi con cui abbiamo lavorato sugli stessi ideali. Consentitemi di ricordare il dolore, ancora fresco, per la sofferenza e la morte di Claudio Armini, anche lui unito a molti di noi per la tenacia e la robustezza nella concezione – starei per dire “etica” - del giornalismo dalle pubbliche amministrazioni in un Paese che continua ad avere un bisogno acuto di pulizia, trasparenza, verità.

Entrambi ci hanno insegnato qualcosa anche con la loro sofferenza poi diventata morte fisica.

Tengo per me, perché preziosi, gli scambi avuti con l'ultimo Giacomo: il suo sapere che lui, da quel letto di dolore, lui sempre più gonfiato dal male, non sarebbe uscito vivo ma anche la tenerezza della bugia con cui, lui, ripeteva le tante cose che avrebbe fatto quando  sarebbe ... tornato in ufficio.

Tengo per me diverse altre cose che ci siamo detti - lui sul letto e io accanto - non sapendo bene cosa diavolo dire a uno che stava per morire. Tengo per me il timore e tremore che io, pure aspirante credente, provai quel giorno, un anno fa, quando a poche ore dalla sua fine fisica, andai a trovarlo in ospedale: era in coma, Giacomo, come tanti anni fa lo era mia mamma. E come sono convinto che mia madre ascoltava e capiva le mie piccole parole essendo però, lei, immobile nel coma finale, così so bene che pure Giacomo (nella stessa immobilità finale) mi ascoltò e mi capì, quel 14 novembre di un anno fa. Nell'ospedale di Arezzo.

 

******

 

Cosa fare, adesso, per non perderne la memoria? E' possibile ridare vita, in forme certo diverse, a quella iniziativa voluta da Giacomo (il premio per addetti stampa)?

So che Fiorenza ne avrebbe piacere. Ma so anche che nessuno di noi ha la capacità, la tenacia, le relazioni, la caparbietà che aveva Giacomo nel mettere in piedi un premio che nell'ultima edizione – quella di Trento, nell'ottobre 2010, l'edizione numero 8 – consegnò almeno una dozzina di premi in diverse sezioni. D'altronde ho anche l'impressione che - in un Paese dove non mancano i premi (anche giornalistici) non sempre di qualità eccelsa e dove è la stessa professione giornalistica a esser messa in forte discussione nel suo presente e soprattutto nel suo futuro – sarebbe meritoria una moratoria (scusate il bisticcio) dei premi.

Questo vuol dire non farne di nulla? Non esattamente. Penso voglia poter dire altro: partendo da Giacomo e dal “premio” da lui inventato in anni ormai lontani, sfruttiamo l'occasione per ripensare questo strumento alla luce di un contesto nuovo.

Proporrei dunque, se siete d'accordo, di mettere in piedi un piccolo gruppo (i presidenti di Ordine e Associazione regionali, o loro delegati, i componenti della Commissione da poco istituita in Assostampa Toscana sugli Uffici Stampa, oltre che – se accetta – Fiorenza) che possa studiare una iniziativa in tal senso.

Darei solo tre “paletti”:  che nel titolo del riconoscimento sia inserito il nome di Giacomo Di Iasio; che il riconoscimento, da tenersi con scansione periodica e in terra toscana partendo dal novembre 2013, sia finalizzato a evidenziare buone pratiche di giornalismo negli uffici stampa; che la consegna sia inserita in un contesto di più ampia riflessione critica sul giornalismo oggi, e in particolare sul giornalismo negli uffici stampa.

Un'ultima cosa: pochi giorni fa, passando dalle parti di Arezzo, ci siamo voluti fermare – con Sandra - nel cimitero di quel paesino da nome un po' buffo (Policiano) in cui Giacomo adesso riposa: calava la notte e il vento, gelido, rendeva non facile la ricerca di una tomba che ignoravo dove fosse.  Non si è impiegato molto a trovare il marmo: con un blocco notes; una stilografica; la firma; e una foto dal sorriso (un po' timido). Una tomba bella “La vita – faceva dire Piranello al suo “Uomo con il fiore in bocca” - nell'atto stesso che la viviamo è così sempre ingorda di sé stessa che non si lascia assaporare. Il gusto della vita viene di là, dai ricordi che ci tengono legati”.                                      

Grazie, dunque, caro Giacomo per i ricordi che ci comunichi. 

@fnsisocial

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