In attesa che il Parlamento, entro giugno, metta mano alla riforma della diffamazione a mezzo stampa come sollecitato dalla Consulta con l'ordinanza 132 del 2020 e seguendo i principi fissati dalla Corte di Strasburgo per cui il carcere deve essere limitato ai casi "connotati da eccezionale gravità", per "istigazione alla violenza" o diffusione di "messaggi di odio", ad avviso della Cassazione è necessaria una riflessione anche sulla «diffamazione in genere, anche quella non effettuata a mezzo stampa» e già adesso per chi scrive su siti o blog non deve scattare la reclusione ma si deve applicare la pena pecuniaria.
Per gli 'ermellini' il diritto all'informazione dei cittadini è «assicurato dal pluralismo delle fonti informative» - tra le quali rientrano anche le pubblicazioni sul web - nella cornice del più generale diritto alla libertà di stampa quale «irrinunciabile presidio per l'attuazione di un sistema democratico». Per questi motivi, la Cassazione – sentenza 13060 depositata oggi, 7 aprile 2021, e relativa all'udienza del 25 gennaio – ha stabilito che nel caso in cui il giudice decida di condannare per diffamazione al carcere, anche con la formula della pena sospesa, il direttore di una testata online scartando quella che deve essere la prima opzione, ossia la pena pecuniaria, allora ha «l'obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la pena detentiva». In proposito, la Suprema Corte avverte che «la scelta di applicare la pena detentiva deve essere, quanto meno, esteriorizzata nelle sue direttrici portanti che ne consentano di apprezzare la ragionevolezza».
Nel caso specifico che ha portato all'affermazione di questi principi, la Quinta sezione penale ha annullato con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro la condanna a sei mesi di reclusione inflitti senza spiegare il mancato ricorso alla pena pecuniaria nei confronti del giornalista e blogger Gabriele Carchidi.