di Paolo Butturini
Segreteria Federazione Nazionale della Stampa
“Il 7 gennaio 2015 l’Isis ha creduto di uccidere Charlie Hebdo, invece è ancora vivo”, risuona come un grido di speranza la frase che Marika Bret, redattrice del settimanale satirico francese, pronuncia in una affollata sala del Museo del Fumetto di Cosenza all’inaugurazione della mostra “L’amore è più forte dell’odio – le migliori copertine di Charlie Hebdo” (fino all’8 maggio). Insieme a lei c’è Corinne Rey “Cocò” che molte di quelle copertine le ha disegnate e che, quel 7 gennaio, fu costretta ad aprire la porta ai terroristi che la presero in ostaggio.
Sotto il piombo dell’intolleranza caddero: Stéphane Charbonnier (Charb), direttore e disegnatore; Jean Cabut (Cabu), vignettista; Georges Wolinski, vignettista; Bernard Verlhac (Tignous), vignettista; Philippe Honoré, vignettista; Mustapha Ourrad, curatore editoriale; Elsa Cayat, psichiatra e giornalista; Bernard Maris, economista; Michel Renaud, fondatore del festival Rendez-vous du Carnet de voyage; Frederic Boisseau, addetto alla manutenzione; Ahmed Merabet, agente di polizia in servizio nell'XI arrondissement; Franck Brinsolaro, guardia del corpo di Charb.
La Fnsi, insieme ad altri, ha prontamente raccolto l’appello della cooperativa Cluster, che gestisce il Museo e organizza, fra l’altro, il festival le “Strade del Paesaggio”. Così, per la prima volta in Italia, a poco più di un anno dall’attentato, è possibile vedere da vicino le illustrazioni che tanto hanno fatto arrabbiare i fondamentalisti e scandalizzato i benpensanti.
“Libertà” è la parola che risuona più volte nell’incontro con Marika e Cocò, perché di questo si tratta e non soltanto in Francia. La vicenda di Charlie Hebdo riflette su scala planetaria quel che accade in Italia da troppo tempo. E se a fermare Charb, Wolinski e gli altri sono state le pallottole dell’Isis, da noi quei proiettili si chiamano: concentrazioni editoriali, querele temerarie, legge sulla diffamazione, precarietà e, sopra ogni cosa, mafie e grande criminalità.
Il sindacato dei giornalisti ha il difficile compito di ricostruire su più fronti un tessuto logorato. Sul versante più propriamente sindacale è necessario ridisegnare il profilo di una categoria stravolta da un decennio di crisi, dalla debolezza strutturale del comparto informazione, dall’espandersi della rete e del digitale. Sul versante esterno, complementare all’altro, c’è bisogno di rinsaldare, quando non di costruire ex novo, un rapporto coi cittadini che si è andato sfilacciando al punto da collocare i professionisti dell’informazione sui livelli più bassi del gradimento, al pari dei politici che dovrebbero controllare.
Far crescere nel Paese una nuova "Cultura dell’Informazione", creare un ecosistema delle notizie, da qualsiasi piattaforma siano diffuse, è la premessa per ripristinare il “valore sociale della professione” senza il quale il giornalismo è alla mercé degli interessi politici, economici e finanziari dei poteri. “La nostra indipendenza è la nostra unica forza” sottolineava Corinne Rey “Cocò” in uno dei suoi interventi durante l’inaugurazione della mostra di Cosenza.
Va creato un fronte comune fra giornalisti, con associazioni, sindacati, e singoli cittadini che abbia libertà, democrazia, indipendenza e professionalità come coordinate d’azione. Ed è confortante che un segnale forte venga da quella Calabria in cui il collega Michele Albanese si è esposto alle minacce dei boss e vive sotto scorta soltanto per aver fatto il proprio dovere di informare i cittadini. Anche per questo la Giunta Fnsi lo ha recentemente delegato a seguire i progetti di “educazione alla legalità”.
Sempre qui, dove la Ndrangheta è nata per espandersi poi in tutta la penisola e oltre i confini italiani, un gruppo di giovani intellettuali ha imbracciato le armi della cultura e del dialogo, creando uno spazio di libertà e crescita civile. Con chi dovrebbero allearsi i giornalisti se non con soggetti come la cooperativa Cluster e tutte le realtà che dentro e oltre le frontiere, soprattutto mentali, provano a tenere accesa la fiaccola della democrazia e della libertà?