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Fnsi 25 Mar 2005

Cassazione: mobbing è anche lasciare senza lavoro un dipendente

Cassazione: mobbing è anche lasciare senza lavoro un dipendente

Cassazione: mobbing è anche lasciare senza lavoro un dipendente

Mobbing: è anche lasciare senza lavoro il dipendente. La Corte di Cassazione dà ragione ad un lavoratore dipendente, rigettando il ricorso della 'sua' banca. Non solo era stato dequalificato, perché assegnato a mansioni inferiori, non solo i rapporti con i colleghi erano diventati tesi perché egli era oggetto di scherzi verbali, azioni di disturbo, che via via si erano appesantite nel tempo, ma la sua scrivania, ora di ‘semplice’ addetto all'Ufficio smistamento della corrispondenza, era spesso sgombra. La sezione lavoro della Suprema Corte ha confermato la sentenza della Corte d'appello di Roma, con la quale i giudici avevano accolto le istanze di Alberto L., 'depresso' per la situazione che si era creata in ufficio. I giudici della Capitale, con sentenza confermata dai magistrati di Palazzaccio, hanno innanzitutto detto che viene violato il diritto del lavoratore ad essere adibito a mansioni corrispondenti alla propria qualifica non soltanto quando il dipendente viene assegnato a mansioni inferiori» ma «anche quando questo veda modificate le proprie mansioni con un imponente riduzione in termini quantitativi delle stesse». E Alberto, come aveva confermato in Tribunale un testimone, spesso aveva una scrivania «completamente sgombra». E questo dopo essere stato trasferito dall'Ufficio sistemi informatici nel quale doveva provvedere alla registrazione al computer dei dati che riguardavano il pagamento delle rate di mutuo da parte dei clienti, censimenti anagrafici e rilascio di informazioni contabili, all'Ufficio corriere. Ufficio in cui doveva aprire, timbrare e smistare, in mancanza di altri colleghi, la corrispondenza in arrivo. Mansioni, queste, «meramente esecutive», secondo i giudici d'appello che le hanno valutate «deteriori rispetto a quelle svolte in precedenza» dal lavoratore e non corrispondenti al suo inquadramento di impiegato di prima categoria. Non è servito, nè davanti ai giudici di secondo grado né davanti alla Suprema Corte di Cassazione, sostenere, da parte dell'azienda, lo stato di crisi in cui essa versava. Anzi, la Corte d'appello ha dato ragione anche al lavoratore riguardo alle note di qualifica stilate dal datore di lavoro. Note che lo hanno giudicato per alcuni anni un buon lavoratore per poi definirlo, invece, mediocre. E' vero, scrive il collegio dei giudici d'appello, la nota di qualifica è una prerogativa dell'imprenditore, ma l'esercizio di tale potere deve essere assoggettato alle regole generali di «correttezza e buona fede», così come prevede il codice civile, in modo che i dipendenti possano controllare l'attività del datore di lavoro sull'osservanza delle regole fissate dall'ordinamento. Nel caso in esame la nota di qualifica nella quale il lavoratore veniva definito mediocre non era improntata ad un obiettivo apprezzamento qualitativo del suo lavoro, ma riferita a comportamenti che non riguardavano direttamente la prestazione richiesta. (AGI)

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