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Osservatorio sui media 08 Mag 2013

"Attenti a oscurare il dissenso sul Web"

Caro direttore, il dibattito che si è acceso sul web e sull'anarchia che lo caratterizzerebbe non è certo una novità. È un tema che torna, con andamento ciclico, tutte le volte in cui si discute della libertà, per alcuni eccessiva, di cui godono i siti e chi se ne serve. Altrettanto scontata è la reazione di chi teme leggi-bavaglio e di chi, al contrario, non vede l'ora di imbrigliare e limitare la circolazione senza filtri di fatti e opinioni, che Internet garantisce.

Caro direttore, il dibattito che si è acceso sul web e sull'anarchia che lo caratterizzerebbe non è certo una novità. È un tema che torna, con andamento ciclico, tutte le volte in cui si discute della libertà, per alcuni eccessiva, di cui godono i siti e chi se ne serve. Altrettanto scontata è la reazione di chi teme leggi-bavaglio e di chi, al contrario, non vede l'ora di imbrigliare e limitare la circolazione senza filtri di fatti e opinioni, che Internet garantisce.

L'argomento usato, anche i questi giorni, è la presunta carenza di norme che puniscano i reati, commessi a mezzo web, il che incentiverebbe gli utenti a farne un uso criminale: l'argomento è pretestuoso e, soprattutto, falso. Come anche il professor Stefano Rodotà ha ricordato, quello che è illegale offline è illegale online e il codice penale si applica allo stesso modo a chi diffama o minaccia verbalmente, per iscritto o attraverso Internet. Il problema non è, dunque, l'assenza di sanzioni, né l'endemica lentezza della giustizia penale - che pure è un ostacolo - ma l'individuazione certa dell'autore del reato. Spesso si nasconde dietro una sigla, utilizza un provider che si trova all'estero e non può, perciò, essere identificato, senza ricorrere ad una spesso inutile rogatoria internazionale. E senza un indagato il procedimento, avviato contro ignoti, è destinato a sicura archiviazione. Non parlo, dunque, dell'ingenuo internauta artigianale, che pensa di esser furbo ed è, invece, facilissimo da individuare, come quel mio amico che, per criticare i politici locali senza essere sommerso di querele, aveva registrato un sito nel New Jersey e animava un blog con un nickname esotico. Peccato utilizzasse come password l'inconfondibile nome della figlia. Per non dimenticarla, l'aveva annotata su un foglietto, conservato nel suo cassetto: denunciato, perquisito, processato e condannato.
Sono i siti sofisticati, schermati da società estere e registrati in Paesi esotici, ai quali è inutile indirizzare rogatorie, ad essere utilizzati per inoculare in Internet il virus dell'odio o anche solo per veicolare messaggi minacciosi, violenti e miserabili. Pe arginare il fenomeno e punire i responsabili sono necessarie, dunque, norme internazionali, che consentano agili e veloci scambi di informazioni, temperate, però, da una tutela forte contro l'intromissione ingiustificata e censoria.
Certo, nell'attesa, è comunque possibile oscurare il sito che contiene messaggi deliranti, ma non c'è nulla di più semplice che crearne un altro, che lo sostituisca e che continui a diffonderli. Questo strumento può, però, diventare la forma di censura per eccellenza, poiché cancella, con un clic, non solo messaggi di quel tipo, ma anche l'opinione urticante, il dissenso scomposto, la critica severa e, persino, la memoria.
Oggi ne risentono soltanto i siti ufficiali e, in particolare, le testate telematiche che conservano quel che pubblicano e lo mettono a disposizione dei motori di ricerca: una moderna emeroteca, accessibile a tutti e facilmente consultabile. Basta una querela e, sempre più spesso, nel silenzio totale, le loro pagine web sono oggetto di sequestro preventivo, un provvedimento che oscura articoli, prima che una sentenza ne stabilisca l'illiceità, a semplice richiesta di chi si sente diffamato e con provvedimenti privi di reale motivazione: meglio eliminare subito l'articolo querelato, che aspettare la sentenza, come avrebbe detto il compianto Massimo Catalano.
L'argine costituzionale che impedisce, fino a sentenza definitiva, per prevenire forme striscianti di censura, il sequestro fisico della tiratura di un libro o di un periodico, contenente espressioni potenzialmente diffamatorie, viene aggirato con l'immediato sequestro virtuale, ma assai efficace, di quelle stesse espressioni, che vengono oscurate, nelle pagine web che le riproducono e che così scompaiono.
Buchi nella memoria condivisa, facili da praticare, spazi bianchi che inquietano, mentre nel web impazzano, impuniti, messaggi deliranti senza autore. Di Caterina Malavenda da il Corriere della Sera de l’8 maggio 2013

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