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Ordine 10 Gen 2009

Accesso alla professione, il "rovescio della medaglia": vivace replica di un nutrito gruppo di colleghi, impegnati nel Sindacato, negli Enti e nell'Ordine al documento del Coordinamento di Autonomia e Solidarietà e Giornalisti uniti

Un nutrito gruppo di colleghi impegnati nei vertici sindacali della categoria, negli enti e nell'Ordine replica vivacemente ai colleghi consiglieri dell'Ordine dei Giornalisti che hanno sottoscritto un documento (pubblicato sul nostro sito) sull'accesso alla professione e le scuole di giornalismo firmato dal Coordinamento di Autonomia e Solidarietà e Giornalisti Uniti.

Un nutrito gruppo di colleghi impegnati nei vertici sindacali della categoria, negli enti e nell'Ordine replica vivacemente ai colleghi consiglieri dell'Ordine dei Giornalisti che hanno sottoscritto un documento (pubblicato sul nostro sito) sull'accesso alla professione e le scuole di giornalismo firmato dal Coordinamento di Autonomia e Solidarietà e Giornalisti Uniti.

Un gruppo di consiglieri dell’Ordine riuniti in coordinamento con riferimento alle componenti di Autonomia & Solidarietà e Giornalisti Uniti rampognano i parlamentari radicali in relazione alla possibilità che coloro che frequentano le scuole di giornalismo siano poi ammessi all’esame di Stato per diventare giornalisti professionisti. Nessuna questione sul corollario dottrinale: si può fare. Ma schermirsi dietro una monumentale antologia di Diritto non può eludere il rovescio della medaglia. Dopo anni di confronti, seminari, simposi, tavole rotonde e chilometriche prese di posizione si può continuare a diventare giornalisti professionisti in molti modi. Secondo i colleghi che hanno stilato il documento, sono troppi i canali di accesso e troppi i candidati. Troppo larghe anche le maglie della selezione: l’80 per cento degli aspiranti, scrivono e non abbiano motivo di dubitare il dato, supera la prova. Tra i 1.600 aspiranti giornalisti professionisti che sostengono l’esame, si legge nel documento, solo il 20 per cento arriva dalle scuole. Scuole cui si accede, informa la nota, dopo “rigorose selezioni per titoli ed esami”. I radicali sbagliano. Ma la fotografia della professione che si ricava dalla lettura dei consiglieri dell’Ordine di Autonomia e Solidarietà e Giornalisti Uniti (espressione quindi delle maggioranze che hanno governato l’Ordine, quindi le varie forme dell’accesso, le scuole, gli esami poco selettivi e quell’insieme incoerente di cose, che è sotto gli occhi di tutti, negli ultimi due mandati) è, per usare un eufemismo, bizzarra. Si sostiene infatti nel documento che le scuole “assicurano, sul piano teorico e pratico, una formazione più qualificata rispetto al praticantato tradizionale”. Praticantato tradizionale che non è più performante in quanto, spiegano i consiglieri nazionali dell’Ordine, dopo “l’accelerazione della lavorazione del prodotto…” e “l’introduzione delle nuove tecnologie, in una redazione, nessuno ha più tempo di insegnarti nulla”. Due gli assunti ideologici: le scuole sono meglio; nelle redazioni nessuno può insegnarti nulla. Sono indimostrabili, si può o non si può aderire per atto di fede. Noi tuttavia siamo creduloni e quindi inclini a credere senza riserve. L’atto di fede, però, ci pone qualche problema che, schematicamente, sottoponiamo all’attenzione dei colleghi. a) Il documento ci esorta a credere che l’ottanta per cento dei colleghi che ogni anno superano l’esame professionale dell’Ordine (magari con qualche buona lettura alle spalle se non con qualche master post-laurea all’estero e un po’ di gavetta nelle redazioni) denunci comunque dei limiti rispetto ai vicini di banco che sono arrivati all’esame dopo avere avuto la fortuna di essere stati formati nelle scuole di giornalismo da formatori che hanno ottenuto i “galloni” di docenti frequentando molti anni prima (prima delle nuove tecnologie, almeno) le redazioni dei giornali. Quelle stesse redazioni che oggi hanno smarrito qualsiasi capacità formativa per l’accelerazione della lavorazione del prodotto” ma che sono comunque in grado di recuperare la funzione di “laboratori formativi” in occasione degli stage degli stessi allievi delle scuole di giornalismo. Miracoli della logica. b) Il documento esorta a ritenere che la possibilità di governare un mercato del lavoro, e quello giornalistico non si sottrae ad alcune leggi generali, derivi esclusivamente dalla qualità della formazione e dall’efficienza del canale di accesso. La concreta esperienza dei bacini Rai, l’idea che l’incontro tra domanda-offerta possa trovare composizione in un ambito di moderne relazioni industriali tra parti che si siedono intorno ad un tavolo non entra nell’ordinato orizzonte della nota. c) Il documento ci esorta a confidare che un unico canale di accesso sia preferibile ad una giungla. Non abbiamo alcuna difficoltà in tale senso. Ma è di come organizzare quell’unico canale – magari non per “casta” o censo – che oggi sarebbe utile discutere per non ripetere errori di un recente passato che hanno spinto l’Ordine stesso ad avviare una verifica sulle scuole. Verifica che al momento non ha prodotto risultati apprezzabili. d) Il documento induce a credere che dopo anni di inerzia ci si avvia lungo un percorso virtuoso. Non è mai troppo tardi. L’approccio è un po’ ideologico e il “pretesto” – la polemica con lo sparuto gruppo di parlamentari radicali – non suscettibile di passare alla storia e forse neppure all’esame di Montecitorio. Ma un po’ di discussione non ha mai fatto male a nessuno. Coordiniamo il confronto, scambiamoci due indirizzi. Noi scoordinati, intanto, ci firmiamo con il nostro nome e cognome. Portate pazienza: noi voliamo a quota desk di redazione. Fabio Azzolini, Giunta Esecutiva Fnsi; Daniela Stigliano, vicesegretario nazionale Fnsi Enrico Ferri, vicesegretario nazionale Fnsi; Antonio Mannello, Presidente dell’Associazione della Stampa della Valle d’Aosta; Giorgio Macchiavello, Consigliere nazionale Fnsi; Giuseppe Marzano, Segretario regionale Sindacato dei giornalisti del Trentino Alto Adige; Serafino Paternoster, Presidente Associazione della Stampa di Basilicata Attilio Lugli, Presidente Ordine Giornalisti della Liguria; Marcello Zinola, Segretario Ass. Ligure giornalisti, consigliere nazionale Fnsi; Stefano Delfino Segretario aggiunto Ass. Ligure Giornalisti; Andrea Casazza Segr. Aggiunto Ass. Ligure Giornalisti, consigliere nazionale Fnsi; Elio Felice, Fiduciario Inpgi Liguria; Marco Preve Segr. Aggiunto Ass. Ligure Giornalisti; Daniele Carlon, Segretario Sindacato Giornalisti del Veneto Guido Filippi, Fiduciaro Casagit Consulta Ligure Giovanni Giacomini, consigliere nazionale Fnsi Donatella Alfonso, vice pres. Cpo nazionale Fnsi; Orietta Bonanni, Collegio probiviri nazionali Fnsi Giuseppe Di Pietro Presidente Assostampa Molise Felice Salvati, Consigliere nazionale Fnsi Pierpatrizia Lava, consigliere nazionale Fnsi, Presidente Associazione stampa ligure Chi è interessato a sottoscrivere il documento o a contattare i promotori, puo inviare una mail a fabio.azzolini@fnsi.it oppure a azzolini@ilsecoloxix.it Questo il testo della nota dei consiglieri dell'ordine aderenti alle componenti di Autonomia e Solidarietà e Giornalisti Uniti: In una recente interrogazione rivolta al ministro della Giustizia, i deputati radicali hanno chiesto lo scioglimento dei Consigli dell'Ordine dei giornalisti che iscrivono al registro dei praticanti gli allievi delle Scuole di giornalismo e consentono loro di accedere all'esame di idoneità professionale in violazione dell'art. 34 della legge 63/69" I deputati radicali ignorano, evidentemente, le numerose pronunce di molti tribunali della Repubblica, nonché la sentenza della Corte di Cassazione che considera irragionevole l'applicazione letterale di una norma pensata dal legislatore 45 anni fa per un sistema informativo completamente diverso dall'attuale, e ha dato il via a un'interpretazione evolutiva di quella norma. In sostanza, la Suprema Corte ha sentenziato che per non risultare irragionevole, la norma che indica valori numerici per i diversi strumenti informativi che possano dar luogo al praticantato debba intendersi come indicazione di un nucleo redazionale che può essere composto sia da giornalisti con rapporto di lavoro dipendente, sia da giornalisti con rapporto di lavoro autonomo. Da qui le maglie imposte dalla legge del '63 si sono allargate e per l'accesso alla professione il praticantato tradizionale convive col praticantato d'ufficio riconosciuto a chi lavora a tempo pieno senza che l'editore gli riconosca un contratto di lavoro giornalistico, col praticantato dei freelance e di chi lavora nelle emittenti locali e nei giornali online. In breve, questa interpretazione evolutiva ha portato a una parziale liberalizzazione dell'accesso. I deputati radicali ignorano, inoltre, che le Scuole di giornalismo trovano la loro legittimazione nell'art. 20-bis del Regolamento di esecuzione della legge 63/69 che affida al Consiglio nazionale dell'Ordine la facoltà "di promuovere la Scuola nazionale di giornalismo alla quale sovraintende". Le scuole di giornalismo, a cui si accede attraverso bandi di concorso e rigorose selezioni per titoli ed esami, oltre ad assicurare la formazione teorica, editano strumenti informativi regolarmente registrati di carta stampa e online, nonché radiotelegiornali, e gli allievi vi sono impegnati a rotazione acquisendo una preparazione multimediale che può consentire loro di lavorare in qualunque media. In breve, si può dire che assicurano, sul piano teorico e pratico, una formazione più qualificata rispetto al praticantato tradizionale. Ma andiamo all'essenza della questione. La parziale liberalizzazione dell'accesso ha prodotto una discrezionalità eccessiva nelle decisioni sull'iscrizione al praticantato, le cui molteplici regole hanno confini piuttosto incerti. La conseguenza è che ogni anno si presentano mediamente all'esame di idoneità professionale 1600 candidati. Troppi per poter essere assorbiti dal mercato. Le Commissioni d'esame, peraltro, sono solitamente di manica piuttosto larga. L'80% dei partecipanti agli esami proviene metà dal praticantato tradizionale e metà dal praticantato d'ufficio. Dalle Scuole di giornalismo proviene meno del 20%. Escludere gli allievi delle Scuole di giornalismo non è giusto, ma, soprattutto, non risolve il problema. La questione va affrontata con una radicale riforma dell'accesso: un unico canale che metta ordine nella molteplicità di forme del praticantato. Il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti ha approvato, di recente, un Documento di indirizzo che, grazie agli emendamenti alla bozza iniziale proposti dai consiglieri aderenti ad "Autonomia e solidarietà" e "Giornalisti uniti", conferma, per l'accesso alla professione, la scelta già fatta nel luglio del 2002: un percorso rigoroso che preveda la laurea triennale e un successivo biennio di formazione tecnico-pratica in una Scuola di giornalismo. Un periodo transitorio di cinque anni dovrebbe consentire l'accesso all'esame di idoneità professionale a chi è iscritto al Registro dei praticanti e a chi svolge da molti anni attività giornalistica a tempo pieno pur non essendo riconosciuto come praticante. Si tratta di una scelta che dovrebbe portare ad un accesso alla professione fondato sul merito e non più sulle conoscenze o sulle raccomandazioni. E tende ad avere giornalisti più qualificati di quanto non assicuri oggi il praticantato tradizionale. Esso poteva risultare adeguato ai tempi dell'approvazione della legge istitutiva dell'Ordine. Ma con l'accelerazione della lavorazione del prodotto giornalistico conseguente all'introduzione delle nuove tecnologie, in una redazione, nessuno ha più il tempo di insegnarti nulla. E ciò va a scapito della stessa qualità dell¹informazione". Coordinamento dei consiglieri nazionali dell'Ordine aderenti ad "Autonomia e solidarietà" e "Giornalisti uniti"

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