Ricorre oggi il 70esimo anniversario dell'uccisione a Roma del giornalista milanese di origine ebrea Eugenio Colorni, considerato uno dei massimi promotori del federalismo europeo assieme ad Altiero Spinelli ed Ermesto Rossi. Professore di lettere, filosofo (era studioso di Leibniz e Kant), scrittore e politico, si impegnò politicamente contro il regime fascista, prima avvicinandosi al gruppo di Giustizia e Libertà, poi al Partito Socialista.
Partecipò alla stesura del Manifesto di Ventotene, isola in cui viene confinato per oltre due anni dal gennaio 1939 perché antifascista. Durante la Seconda Guerra Mondiale collaborò con numerose testate: Il Convegno, La Cultura, Civiltà Moderna, Solaria e Rivista di Filosofia.
Alla fine del 1941 fu inviato al soggiorno obbligato a Melfi, ma fuggì il 6 maggio del 1943 e si rifugiò a Roma. Passato alla clandestinità si dedicò da latitante nella capitale all’organizzazione del Psiup. Partigiano combattente morì a 35 anni sotto la falsa identità di Franco Tanzi all'ospedale San Giovanni di Roma il 30 maggio 1944 dopo essere stato gravemente ferito pochi giorni prima in via Livorno 20 da una pattuglia di militi fascisti della banda Koch.
Fu decorato con la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria concessagli nel 1944 con la seguente motivazione: "Indomito assertore della libertà, confinato durante la dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi quindi a rischiose attività cospirative. Durante la lotta antinazista, organizzato il centro militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva animosamente partecipandovi, primo fra i primi, una intensa, continua e micidiale azione di guerriglia e di sabotaggio. Scoperto e circondato da nazisti li affrontò da solo, combattendo con estremo ardimento, finché travolto dal numero, cadde nell'impari gloriosa lotta. Roma, 28 maggio 1944".
Cliccare nel sito del Quirinale:
http://www.quirinale.it/elementi/DettaglioOnorificenze.aspx?decorato=14140
Patriota ed Eroe della Resistenza, Colorni (per la sua foto cliccare su: http://www.infocenters.co.il/gfh/notebook_ext.asp?book=97828&lang=eng) fu il quarto giornalista ad essere ucciso dai nazifascisti nella Seconda Guerra Mondiale dopo la fucilazione a Bologna di Ezio Cesarini (veneto di nascita di Montebello Vicentino, ma bolognese d'adozione, medaglia d'argento al valor militare alla memoria) il 27 gennaio 1944 e a Forte Bravetta a Roma dei colleghi di "Bandiera Rossa" il milanese Carlo Merli e il milanese d'adozione, ma nativo di Massa Carrara, Enzio Malatesta (medaglia d'oro al valor militare alla memoria) avvenuta il 2 febbraio 1944.
Va rimarcata positivamente una nobile iniziativa del Comune di Melfi, della Sezione ANPI e dell'Associazione "Francesco Saverio Nitti" che per celebrare degnamente la Festa della Liberazione dell'Italia dall'occupazione nazifascista hanno dedicato un mese fa la ricorrenza del 25 Aprile al ricordo della figura e dell'opera di Eugenio Colorni.
Sarebbe, tuttavia, opportuno ricordare degnamente la memoria di Eugenio Colorni anche in via Livorno a Roma, luogo dove venne ferito a morte con una nuova lapide leggibile e priva di errori. Oggi, infatti, vi é una lapide spaccata in due, un'altra semilleggibile perché scurita dal tempo e un'ultima, posta 10 anni fa dalla III Circoscrizione del Comune di Roma, persino erronea (cliccare su: http://www.chieracostui.com/costui/docs/search/schedaoltre.asp?ID=5221, e https://www.google.it/maps/@41.914751,12.522584,3a,44.3y,161.93h,100.43t/data=!3m4!1e1!3m2!1sxwKmsBYb85aP__yWJpdeQA!2e0)
In precedenza altre 3 lapidi in suo ricordo erano state addirittura distrutte da atti vandalici prima del 1982!
Roma, 29 maggio 2014
Pierluigi Roesler Franz
Presidente del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati presso l'Associazione Stampa Romana
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Eugenio Colorni nel ricordo dell'ANPI
http://www.anpi.it/donne-e-uomini/eugenio-colorni/
Nato a Milano il 22 aprile 1909, morto a Roma il 30 maggio 1944, filosofo e insegnante di Lettere, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
Dopo due anni trascorsi in Germania - come lettore di italiano all'Università di Marburg, dove aveva approfondito i suoi studi su Gottfried Wilhelm Leibniz - nel 1933 era tornato a Milano. Abbandonato l'impegno sionistico degli anni dell'Università, aveva cercato collegamenti con l'antifascismo militante, impegnandosi per far rivivere nell'Italia settentrionale il "Centro interno" del Partito socialista.
Nel settembre del 1938 Colorni è arrestato dall'OVRA. I giornali pubblicano la notizia con gran risalto, sottolineando che egli "di razza ebraica, manteneva rapporti di natura politica con altri ebrei residenti in Italia e all'estero". Una sottolineatura, quella del "complotto ebraico", che serviva a giustificare le misure antisemite prese in Italia dal regime per allinearsi alla politica hitleriana.
Il Tribunale speciale non riesce però ad imbastire nei confronti dell'arrestato un formale processo, quindi decide di spedirlo a Ventotene. Qui Colorni resterà fino al settembre del 1941 e approfondirà gli studi di matematica e fisica, ma soprattutto elaborerà con altri confinati il Manifesto per l'Europa libera e unitae altri scritti federalisti. Trasferito da Ventotene a Melfi, il confinato riesce a mantenere i suoi contatti con i compagni e, alla metà dal maggio 1943, evade da Melfi e si porta a Roma.
Qui si dedica clandestinamente alla propaganda federalista e s'impegna nel tentativo di ricostituire il PSI. Quando Mussolini cade, Colorni, con i suoi compagni di Ventotene, organizza a Milano (agosto 1943) il Congresso di fondazione del "Movimento federalista europeo". Nello stesso periodo, ricostituite le file del partito socialista, entra far parte della sua Direzione provvisoria. Dopo l'8 settembre, a Roma, entra nelle file della Resistenza, redige l'Avanti!clandestino, scrive la prefazione al volumetto Problemi della Federazione Europea, che raccoglieva il "Manifesto di Ventotene" e scritti federalisti di Altiero Spinelli.
È ferito a morte quando i nazifascisti lo sorprendono mentre sta redigendo il giornale socialista. Morirà dopo due giorni di agonia, a una settimana dalla liberazione della Capitale.
Questa la motivazione della massima ricompensa al valore che gli è stata conferita: "Indomito assertore della libertà, confinato durante la dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi quindi a rischiose attività cospirative. Durante la lotta antinazista, organizzato il centro militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva animosamente partecipandovi, primo fra i primi, una intensa, continua e micidiale azione di guerriglia e di sabotaggio. Scoperto e circondato da nazisti li affrontò da solo, combattendo con estremo ardimento, finché travolto dal numero, cadde nell'impari gloriosa lotta. Roma, 28 maggio 1944."
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Eugenio Colorni nel ricordo del giornalista Gaetano Basilici
Roma, 30 maggio 1944
Nato a Milano il 22 aprile 1909 da famiglia di origine ebrea, Eugenio Colorni fu filosofo, scrittore, politico, giornalista e uno dei massimi promotori del federalismo europeo: con Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi partecipò alla stesura del Manifesto di Ventotene (isola in cui fu confinato dal gennaio 1939 all’ottobre 1941 perché antifascista) di cui curò l’introduzione e la pubblicazione.
Sposato e padre di tre figlie, Colorni dal 1931 collaborò a diverse pubblicazioni: Il Convegno, La Cultura, Civiltà moderna, Solaria e la Rivista di filosofia. Nel 1941 ottenne di lasciare il confino di Ventotene e fu mandato al soggiorno obbligato a Melfi (Potenza) da dove fuggì il 6 maggio 1943 e andò a Roma. Qui, latitante, si dedicò all’organizzazione del Psiup. Il 24 maggio 1944 una pattuglia di militi fascisti della banda Koch lo fermò: tentò di fuggire, ma fu ferito gravemente da tre colpi di pistola. Portato all’ospedale San Giovanni, morì il 30 maggio sotto la falsa identità di Franco Tanzi.
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Eugenio Colorni nel ricordo di Critica Sociale
EUGENIO COLORNI FEDERALISTA
http://www.criticasociale.net/index.php?&function=rassegna_stampa&rid=0000532
Eugenio Colorni fu non solo uno dei padri fondatori del pensiero federalista italiano ed europeo nato durante la Seconda Guerra Mondiale, ma anche un intellettuale di spicco della storia della politica italiana nonché una figura di primo piano dell'antifascismo italiano e della Resistenza. L'effettivo valore del suo operato politico è però oggi, purtroppo, ancora poco riconosciuto.
Nacque nel 1909, da famiglia di origine ebraica, a Milano, dove frequentò il liceo Manzoni. Studiò, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, con maestri quali Giuseppe Antonio Borgese e Piero Martinetti e si laureò con quest'ultimo presentando una tesi su Leibniz. Scaturì così la sua predilezione per la filosofia della scienza, il cui studio gli trasmise una concezione della filosofia quale incessante indagine metodologica ed epistemologica, connessa razionalmente ai dati del reale e lontana da ogni dogma o ideologia. Accanto all'attività meramente speculativa però, Colorni pose sempre, al centro dei suoi interessi, anche l'azione politica, aderendo a "Giustizia e Libertà" e, dopo il 1933, grazie alla mediazione di Lelio Bassi, al Partito Socialista clandestino, pur mantenendo una visione del socialismo piuttosto autonoma: democratica e riformista. Fu arrestato nel 1938 per l'attività antifascista e socialista, all'inizio della campagna razziale, condotto nel carcere di Varese e condannato a cinque anni di confino pena che scontò nell'isola di Ventotene, campo di detenzione per dissidenti politici, condividendo la sorte di personalità del calibro di Sandro Pertini e Riccardo Bauer.
Fu proprio durante il periodo di prigionia che Colorni conobbe e frequentò assiduamente Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi insieme ai quali elaborò la nuova proposta politica federale. Il federalismo europeo costituì per questi uomini, che pur nutrivano diverse formazioni culturali e politiche, la nuova linea di separazione tra progresso e reazione, il superamento delle vecchie e fallimentari ideologie politiche, oltre che l'unica soluzione istituzionale in grado di dare la pace in maniera irreversibile allo sconvolto continente europeo. Tale novità politica fu sviluppata grazie a quotidiani e intensi dialoghi, scambi di idee e investigazioni filosofiche, che sfociarono nella redazione del fondamentale "Manifesto per un'Europa libera e unita", la cui edizione romana del 1944 Colorni, pur non comparendo tra gli autori, curò, redigendone l'introduzione.
Trasferito al confino di Melfi, da cui evase nel maggio del 1943, pubblicò clandestinamente il primo numero de "L'Unità Europea" e fu tra i fondatori, presso l'abitazione milanese di Mario Alberto Rollier, il 28 e 29 agosto dello stesso anno, del Movimento Federalista Europeo, le cui tesi politiche contribuì a definire. Prese parte attiva alla Resistenza militando nel PSIUP, i cui appartenenti tentò costantemente di sensibilizzare alle tematiche federaliste, fino alla fine della sua intensa e purtroppo breve vita. Fu ucciso alla vigilia della liberazione di Roma dagli sgherri della banda Cook..
In occasione del centenario della sua nascita è stato costituito, il 28 marzo 2008, sotto la direzione di Maurizio Degl'Innocenti, il Comitato nazionale, con l'obiettivo di porre rimedio alla lacuna storiografica sulla sua figura. Il citato Comitato, già promotore di due Convegni sul tema (il primo svoltosi a Roma il 29 maggio 2009 e il secondo a Milano il 16 ottobre dello stesso anno) ha patrocinato anche la giornata di studi "Eugenio Colorni federalista" (Villa Toeplitz, S.Ambrogio Olona, Varese - 22 ottobre 2010) i cui Atti costituiscono il contenuto del volume in oggetto. I risultati delle ricerche effettuate dai relatori, tutti studiosi di alto livello di storia del federalismo, rispondono pienamente all'obiettivo suindicato. Essi documentano e delineano infatti il ruolo che Eugenio Colorni ebbe nella genesi del pensiero federalista a Ventotene: saggi di Luigi Vittorio Majocchi e Francesco Gui, analizzano la specificità e l'attualità della sua riflessione filosofica e politica: intervento di Luigi Zanzi, collocandone inoltre l'operato teorico e pratico nel più ampio contesto culturale e politico dell'europeismo e dei suoi numerosi movimenti, nati nel periodo della Resistenza, tra i quali vengono ricostruite analogie e reciproche influenze: saggi di Fabio Zucca e Daniela Preda, in un confronto anche con altre posizioni politiche: Antonio Maria Orecchia. Si rintraccia infine l'eredità di Colorni tra i socialisti italiani ed europei operanti nell'immediato dopoguerra: contributi di Giuseppe Barbalace e Cristiano Zagari e dopo la firma dei Trattati di Roma: Daniele Pasquinucci.
Dalla lettura del volume emerge un ritratto particolareggiato della figura storica e dell'alta statura morale e intellettuale di Eugenio Colorni, del quale vengono messe in risalto la profondità di pensiero e l'autonomia di giudizio critico, sue qualità precipue, che indussero Altiero Spinelli a definirlo, nelle sue memorie, "maestro dell'anima".
Fabio Zucca (a cura di) Eugenio Colorni federalista, Piero Lacaita Editore, Manduria 2011, pp. 244
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Eugenio Colorni ricordato nell'Enciclopedia Italiana e nel Dizionario Biografico Treccani
COLORNI, Eugenio
Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)
di A. Tam.
http://www.treccani.it/enciclopedia/eugenio-colorni_%28Enciclopedia-Italiana%29/
COLORNI, Eugenio. - Filosofo e patriota, nato a Milano il 22 aprile 1909, colpito a morte a Roma da un sicario della banda Koch il 28 maggio 1944 e morto all'ospedale il 30 maggio. Professore di filosofia all'Istituto magistrale di Trieste, nel settembre 1938 fu arrestato per ricostituzione illegale in Italia del Partito socialista e dopo cinque mesi di carcere venne inviato al confino, prima a Ventotene poi a Melfi dove formulò le prime idee per il Movimento federalista europeo, che prese poi vita a Milano il 27 agosto 1943. Nella primavera del 1943 riuscì a fuggire, divenendo uno dei promotori dell'attività clandestina a Roma, come componente, dopo il 25 luglio 1943, del comitato direttivo del Partito socialista e redattore dell'Avanti! clandestino. Gli fu conferita la medaglia d'oro "alla memoria" il 25 aprile 1946.
I suoi interessi di ricerca filosofica. fortemente ancorati a Leibniz, lo portarono poi ad occuparsi di psicoanalisi e, di qui, ad affermare come alla base di ogni ricerca filosofica vi sia un elemento problematico e condizionato alla persona. Passò quindi ad occuparsi di problemi di metodologia e, insieme, iniziò lo studio intenso della teoria della relatività e dei quanta. Sul piano politico, la sua critica al marxismo e la necessità, per lui, di sollevarsi dai vecchi schemi della lotta di classe per individuare meglio i motivi profondi della crisi europea e mondiale che aveva portato alla seconda Guerra mondiale, lo condussero a sentire fortemente l'esigenza di una vasta unione dei popoli europei. Fra i suoi scritti si ricordano: L'estetica di B. Croce, Milano 1932; Di alcune relazioni fra conoscenza e volontà, in Rivista di filosofia, luglio-settembre 1932. Critica filosofica e fisica teorica, in Sigma, n. 4-5 (postumo); Studi leibniziani, pubblicati nella Rivista di filosofia, 1937-38.
Bibl.: A. Levi, E. C., in Rivista di filosofia, gennaio-giugno 1947, pp. 142-146; F. C., in Der Aufbau, Zurigo, 18 agosto 1944.
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COLORNI, Eugenio
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)
http://www.treccani.it/enciclopedia/eugenio-colorni_%28Dizionario-Biografico%29/
di Eugenio Garin
COLORNI, Eugenio. - Nacque a Milano il 22 apr. 1909, secondogenito di Alberto, industriale, di famiglia ebraica mantovana, e di Clara Pontecorvo di origine pisana. Per indole incline all'introspezione, in uno scritto autobiografico La malattia filosofica, avviato durante il confino nell'isola di Ventotene (datato aprile-maggio 1939), ricordò i suoi primi studi, l'influenza che ebbero su di lui i cugini Enrico, Enzo ed Emilio Sereni, maggiori di alcuni anni, con i quali ebbe consuetudine anche se non senza tensioni. Di Enzo in particolare aveva subito il fascino quando aveva quattordici anni. Sionista fervente, Enzo si sarebbe recato in Palestina; il C., seguendone per un certo periodo l'orientamento, si dette anche a studiare l'ebraico. Cercava però una strada sua, e negli anni di liceo, al "Manzoni" di Milano, credette di trovare un "filo conduttore", "un criterio" e "una chiave", nel Breviario di estetica di Benedetto Croce, che l'accese di entusiasmo.
Iscritto nel 1926 alla facoltà di lettere e filosofia di Milano, fece a tempo a partecipare all'attività antifascista di quei Gruppi goliardici per la libertà che, fondati da Lelio Basso, Rodolfo Morandi e altri, benché ufficialmente già sciolti nel 1925, sopravvissero di fatto fino al 1928. Fra gl'insegnanti prediligeva G. A. Borgese e Piero Martinetti, col quale si laureò in filosofia nel 1930 discutendo una tesi sullo Sviluppo e significato dell'individualismo leibniziano: e Leibniz rimarrà poi sempre il suo "autore". Nel 1928 egli aveva pubblicato, con lo pseudonimo di G. Rosenberg, il suo primo articolo su L'estetica di Roberto Ardigò e del positivismo italiano nella seconda metà dell'Ottocento. L'articolo uscì su Pietre (nel numero del 10 febbraio), la rivista nata a Genova nel 1926 per raccogliere una certa eredità gobettiana, e trasferita nel 1927 da Lelio Basso a Milano, dove fu un punto di convergenza di giovani avversi al regime. Nel 1930, per una manifestazione politica durante una lezione di Borgese, fu fermato con alcuni compagni, e ben presto, secondo la testimonianza di Lucio Luzzatto, avrebbe partecipato all'attività del gruppo milanese di Giustizia e libertà.
Nel 1931 era a Berlino dove conobbe Ursula Hirschmann, che sposerà alla fine del 1935 e da cui avrà tre figlie: Silvia, Renata, Eva. Nell'autunno del 1931, appunto a Berlino, incontrò Benedetto Croce con cui discorse di un ampio saggio che stava componendo sull'estetica. Di quell'incontro è traccia in alcune pagine crociane del 1951, in nota alle quali il filosofo pubblicò anche uno scambio di lettere col C. del febbraio-marzo 1932. Nel '51 Croce ricorderà il C. ancora "molto legato al cosiddetto idealismo attuale e ai suoi rappresentanti", cosa che, a dir vero, non appare da quanto si legge in recensioni e articoli pubblicati fra il 1931 e il 1932 in riviste quali Il Convegno, La Cultura, Civiltà moderna e la martinettiana Rivista di filosofia.
Nel 1932, a Milano, in trecento esemplari, dalla Società editrice La Cultura, usciva L'estetica di Benedetto Croce. Studio critico.
Quando era già in bozze, alla fine di febbraio, il C. aveva mandato il manoscritto a Croce. "Il lavoro - gli scriveva - è nato più che altro per un bisogno di chiarificazione, e per la necessità che ho sentito sempre più forte di acquistare netta coscienza di quanto dobbiamo al Suo insegnamento, e di quanto in esso costituisca solo una premessa necessaria per proseguire". E soggiungeva: "sarebbe per me un grande dolore non essere considerato con spirito di benevolenza da colui che ritengo il più grande maestro di questi miei anni, e della nostra generazione" (Quaderni della Critica, VII [1951], p. 186). Il saggio del C. era importante perché metteva bene in evidenza il contrasto immanente all'opera del Croce fra la ricchezza delle analisi empiriche ("il suo spirito di sperimentatore indefesso") e una impalcatura imposta a priori. Naturalmente il Croce non solo respinse la critica, ma considerò positivamente la successiva svolta del C., che pure lo avrebbe portato del tutto al di fuori dei suoi metodi e dei suoi interessi.
Lettore d'italiano all'università di Marburgo negli anni 1932-1933, con l'avvento del nazismo il C. tornò in Italia. Nel 1933 egli compì una tesi di perfezionamento su La filosofia giovanile di Leibniz. Vinse poi un concorso per cattedre di storia e filosofia nei licei, e dopo una prima assegnazione a Voghera passò nel 1934 a insegnare filosofia e pedagogia all'istituto magistrale "Giosuè Carducci" di Trieste, dove rimase fino all'arresto del 1938. Sono anni in cui all'insegnamento che lo appassiona, e alla ricerca, si affianca una costante attività politica, distinta certo dalle altre, cui è parallela, ma anche profondamente connessa. Non a caso, in un articolo uscito nel 1932 nella Rivista di filosofia sulle Relazioni fra conoscenza e volontà, il C. insiste sul nesso fra pensiero e azione. Se l'uomo, scrive, "si limitasse ad una pura conoscenza, senza completarla con l'azione, ciò significherebbe che egli non ha compreso appieno, in tutti i suoi rapporti, l'oggetto delle sue ricerche; o che, per lo meno, una grande e fatale astrazione egli ha lasciato sussistere nel suo spirito: quella fra conoscenza e volontà" (Scritti, p. 54).
Sul terreno della ricerca il C. raccoglie materiali per la monografia su Leibniz, che disegna di pubblicare in francese presso il ben noto editore di opere di filosofia scientifica, Hermann. Intanto nel 1935 esce nella collana scolastica Sansoni, diretta dal Gentile, la sua versione della Monadologia, illustrata attraverso un'antologia sistematica che è un modello nel suo genere, e che dimostra una familiarità eccezionale con le opere del grande pensatore. Leibniz era divenuto la sua guida. Sempre nel 1935 il C. scriveva che chi si accosti a Leibniz "ne riceve un senso immediato di attualità e di fecondità". Enigmatico, ma aperto in tutte le direzioni, Leibniz lo costringe ad affrontare studi di logica e di matematica, a rimettere in discussione il modo stesso di concepire la scienza, e i rapporti fra scienza e filosofia.
Nel testo autobiografico già citato, il C. racconta come a Trieste, in seguito alle osservazioni del poeta Umberto Saba, si decidesse ad abbandonare la filosofia. In realtà non era la filosofia che rifiutava, ma un orientamento, legato a quell'idealismo di cui erano, o si dicevano, seguaci, anche se in modi diversi, Croce come Gentile e Martinetti: "da quel giorno - confessa - non ho più orrore né disprezzo per le scienze naturali, e non sento più il bisogno di scrivere difficile. La parola "empirico" non è più per me un insulto. E da quel giorno non mi entra più in testa che cosa significhi l'Universale" (Scritti, p. 29).
Il processo di revisione critica del C., che era del resto diffuso in quegli anni nella cultura italiana, proseguì e si fece più articolato nel periodo del confino. Ripartì da Kant e dalla problematica kantiana, e meditò sulle conseguenze che la fisica teorica e la psicanalisi potevano avere per la dissoluzione di impostazioni filosofiche tradizionali. Discusse con Ludovico Geymonat a Melfi nel 1942 un progetto di rivista (ne è rimasta traccia nel postumo Programma di una rivista di metodologia scientifica). Ai Dialoghi di Commodo consegnò la conclusione della sua "distruzione della filosofia", che era in realtà uno sforzo di riprendere da Kant, ma tenendo conto di una nuova rivoluzione scientifica, la via critica della ragione.
Come si è detto, in parallelo con la riflessione teorica il C., svolgeva un'intensa attività politica. Staccatosi nel 1935 da Giustizia e libertà, collaborò col Centro socialista interno nato a Milano nell'estate del 1934, in una piccola riunione in via Telesio, ad opera fra gli altri di Morandi, Basso e Lucio Luzzatto. A Trieste il C. unì all'opera di organizzatore un costante impegno sui problemi generali. Nel suo lavoro nel Veneto si incontrava con Eugenio Curiel, e veniva in contatto con la fronda antifascista di giovani intellettuali e di appartenenti alla piccola e media borghesia. Maturò così quella rivalutazione positiva della loro funzione che espresse nell'articolo I problemi della guerra, comparso a firma Agostini (fra gli altri suoi pseudonimi Anselmi, Ruggeri, D4, D5) su Politica socialista del 1° ag. 1935, che provocò una nota fortemente critica (ma non pubblicata) di R. Morandi, che si rifiutava di sopravalutare la resistenza delle classi medie di fronte alla campagna etiopica (R. Morandi, La democrazia del socialismo, Torino 1961, pp. 129 s.). Nella primavera del 1937, in connessione con le notizie della guerra di Spagna e con le difficoltà interne crescenti, si ebbero varie agitazioni spontanee. Il C. scrisse allora un articolo, firmato Anselmi, per l'edizione parigina del Nuovo Avanti! del 12 giugno, La spontaneità è una forma di organizzazione, in cui sottolineò nelle masse una spinta rivoluzionaria spontanea che oltrepassava le posizioni dei partiti organizzati. I partiti, quindi, dovevano dare "direttive sempre più precise, parole sempre più concrete". Continuava: "non si tratta di eliminare la spontaneità, ma anzi di coltivarla, riempirla di contenuto" (L. Solari, p. 122). Intanto, nell'aprile, a Milano erano stati arrestati molti dei dirigenti del centro interno: fra essi, Luzzatto e Morandi. Non erano mancate le delazioni, e proprio a Trieste un "confidente" era riuscito a conquistare la fiducia del C., lasciato libero di proposito per ulteriori operazioni.
Così per la prima volta nel 1937 il C. prese contatto con la direzione del P.S.I. a Parigi, dove si era recato per il IX congresso internazionale di filosofia, il Congrès Descartes, che si svolse dal 31 luglio al 6 agosto. Si trattava di organizzare un nuovo centro, delle cui strutture discusse molto vivacemente con Giuseppe Faravelli (Joseph), ponendo sotto accusa tutta la precedente organizzazione e sostenendo la necessità di separare e mantenere rigorosamente distinte funzioni politiche e attività amministrative e di "penetrare in modo legale nel maggior numero di ambienti e strati della popolazione, per rendersi conto degli stati d'animo e dei bisogni" (S. Merli, Documenti del movimento socialista in Italia e la lotta contro il fascismo dal 1936 alla seconda guerra mondiale, in Annali... Feltrinelli, V [1962], p. 755).
Nei confronti dei comunisti ritiene possibile "collaborare ..., pur salvaguardando l'autonomia" ("direzione in Italia - quindi non soggetta a burocratismi moscoviti - e rifiuto di accettare la disciplina antitrotzkista"). Progetta - contro il parere di Faravelli - la pubblicazione in ciclostile, e con la collaborazione dei comunisti padovani, di "un foglietto di propaganda col titolo Bollettino del Fronte popolare" (il disegno viene bocciato dalla direzione comunista di Parigi). Si propone di continuare "la lotta all'interno delle organizzazioni fasciste": nel luglio del '37, a firma Agostini, aveva pubblicato sul Nuovo Avanti!, a puntate, un saggio su La funzione del maestro nella scuola fascista; le puntate furono poi raccolte e distribuite in opuscolo.
Il C. sapeva di essere sorvegliato, ma continuava la propria attività. Mentre si recava in questura per il rinnovo del passaporto per la Francia (motivava un viaggio a Parigi con la pubblicazione del suo studio su Leibniz presso Hermann), fu arrestato a Trieste l'8 sett. 1938. Si era in piena campagna razziale (le decisioni del Gran Consiglio del fascismo sono del 6 ottobre), e tutti i quotidiani, fino al Corriere della sera, colsero l'occasione per sfruttare La doppia vita del prof. C., come scrisse il Piccolo di Trieste. Trasferita l'istruttoria a Milano, il C. resta nel carcere di Varese fino al gennaio 1939. Mancando prove serie contro di lui, fu quindi assegnato per cinque anni al confino dell'isola di Ventotene dove giunse il 5 gennaio. Continuò i suoi studi di filosofia; stese vari scritti fra cui i Dialoghi di Commodo, che saranno pubblicati postumi e che riproducono le discussioni con gli amici Ernesto Rossi, Manlio Rossi Doria, Altiero Spinelli. Aderì alle idee federaliste, che presero corpo nel Manifesto di Ventotene da lui pubblicato nel gennaio del 1944 a Roma con due documenti stesi da A. Spinelli e con una sua prefazione che ritrae con efficacia il ripensamento politico degli anni 1941-42 "nella tristezza dell'inerzia forzata e nell'ansia della prossima liberazione".
Nell'ottobre del 1941, su sua richiesta e con un intervento di Gentile, fu trasferito sul continente e nel dicembre giunse a Melfi (dopo brevi soste a Montemurro e a Pietragalla). Il 6 maggio 1941, avendo ottenuto il permesso di andare a Potenza per una visita medica, riuscì a fuggire a Roma, dove, nella clandestinità, operò alla organizzazione del Partito socialista di unità proletaria nato dalla fusione del gruppo giovanile del Movimento di unità proletaria (M.U.P.) e del Partito socialista italiano. Dopo la caduta del fascismo partecipò a Milano all'incontro in casa di Mario Alberto Rollier, il 27 e 28 agosto, da cui nacque il Movimento federalista europeo. A Firenze incontrò Alessandro Levi (E. C., in Rivista di filosofia, XXXVIII [1947], p. 146). Dopo l'8 settembre operò indefessamente a Roma nell'organizzazione della Resistenza. Membro del comitato direttivo del nuovo Partito socialista, redattore capo dell'Avanti! clandestino, si impegnò nella ricostruzione della Federazione giovanile socialista e nella formazione della prima brigata Matteotti. I suoi ultimi articoli sull'Avanti!, del 16 marzo e del 20 maggio 1944 (Amministrazione o rivoluzione; Rivoluzione dall'alto?), analizzano lucidamente la situazione politica dell'Europa alla vigilia della vittoria alleata e si battono per un moto di autentica rivoluzione dei popoli d'Europa contro ogni possibile imposizione e strumentalizzazione da parte dei vincitori. Il 28 maggio 1944, in via Livorno, fermato da una pattuglia, fu ferito a colpi di mitra mentre tentava di fuggire. Morì il 30 maggio nell'ospedale di S. Giovanni sotto la falsa identità di Franco Tanzi.
Fonti e Bibliografia: Una buona bibl. essenziale accompagna l'articolo di E. Gencarelli nel Dizionario biogr. del movimento operaio italiano. 1853-1943, a cura di F. Andreucci-T. Detti, II, Roma 1976, pp. 74-81, da integrarsi, soprattutto per gli scritti filosofici, con le indic. che si trovano in calce a E. Colorni, Scritti, introd. di N. Bobbio, Firenze 1975, pp. 364-370. La silloge presentata da Bobbio non comprende, fra l'altro, il saggio su L'estetica di B. Croce (Milano 1932), ma offre gli inediti filosofici più importanti, oltre a dare esatte indicazioni di tutta la produzione e delle edizioni. Lettere e docum. tratti dall'Arch. Tasca si trovano nel già citato lavoro del Merli, Documenti del movimento socialista..., negli Annali… Feltrinelli, V (1962), pp. 541-844. Altre lettere e docum. si possono leggere nelle Lettere di antifascisti dal carcere e dal confino, a cura di G. Pajetta, Roma 1962, II, pp. 411-420, e nella seconda parte del libro di L. Solari, E. C. Ieri e oggi. Venezia 1980, pp. 90-188. Sul pensatore e sull'uomo (nelle pagine di Levi e di Tagliacozzo con ricordi e testimonianze,) cfr. ancora: Al. Levi, E. C., in Riv. di filosofia, XXXVIII (1947), pp. 142-146; F. Rossi Landi, Sugli scritti di E. C., in Riv. critica di storia della filosofia, VII (1952), pp. 147-153; E. Tagliacozzo, L'uomo C., in Tempo presente, dicembre 1980, pp. 46-55.