Superato, e da mesi, il limite dei 2 anni di contratto scaduto, niente si è mosso, nessun tavolo di trattativa si è aperto, nonostante un record di giorni di sciopero. Ritiro delle firme, manifestazioni, dibattiti, interpellanze parlamentari e interventi delle istituzioni non hanno sbloccato la vertenza. Unico risultato apprezzabile, la “tenuta” della categoria.
La “normalizzazione” del giornalismo. C’è una preoccupante spinta alla “normalizzazione del giornalismo”, prefigurando ruoli impiegatizi per chi è dipendente e ampio precariato senza regole per la moltitudine di chi scrive e produce. Partiti e governi, senza distinzioni, sembrano interessati solo a norme restrittive della libertà professionale. Per le battaglie della categoria solo solidarietà e parole. I giornalisti, nel tentativo di ottenere il rinnovo contrattuale, constatano una preoccupante solitudine, e misurano l’enorme distanza della classe politica dai loro obiettivi. La metamorfosi degli editori Ma c’è un altro fatto, altrettanto grave e collegato. Gli editori “puri” non esistono più. Gli editori, in particolare ma non solo, dei grandi gruppi, sono sempre più le banche, i finanzieri, gli immobiliaristi (spesso furbetti), gli industriali. Che entrano nei media, che cercano di conquistarne la maggioranza azionaria, aggressivamente, non per fare informazione ma per avere una potente cassa di risonanza dei loro interessi. Per capire basta riflettere su qual è stata la linea politica espressa da Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, Il Messaggero durante la campagna elettorale per le elezioni politiche dell’anno scorso, e non solo. I grandi gruppi editoriali si sono apertamente schierati con la coalizione di centro sinistra. Sono gli stessi gruppi, capeggiati dalla tessera numero uno del Partito Democratico, Carlo De Benedetti, che hanno dimostrato assoluta intransigenza sul contratto nazionale. E di fronte abbiamo un ministro del Lavoro che vorrebbe fare ma non può. E’ sotto gli occhi di tutti la deludente opera del governo “a favore” dell’informazione: niente contratto ma una severa limitazione della libertà di stampa con il decreto Mastella sulle intercettazioni. Stampa Democratica marca la distanza dalla politica Informazione sotto scacco e giornalisti senza speranza? Noi, di Stampa Democratica, crediamo che mai come in questo momento sia necessario reagire con orgoglio e durezza e marcare la nostra distanza dalla politica, che agisce verso l’informazione con un autentico, e bipartisan, spirito di casta. E sia altrettanto necessario contrastare le illegittime richieste o gli illegittimi comportamenti degli editori. L’autonomia non funziona se è un titolo, un proclama generico. Presentarsi con il cappello in mano non ha mai portato frutti. Agire da “amici”, di fatto sudditi, di questo o quel partito, di questo o quel potere, può produrre solo l’indebolimento della categoria e delle nostre ragioni. I giornalisti, e quindi il loro sindacato - non sono, non devono diventare – la cinghia di trasmissione tra i poteri. L’inquinamento dell’informazione per fini di parte non può che nuocere a un sistema democratico. Autonomia, indipendenza e retribuzioni non sono in vendita L’autonomia e l’indipendenza del giornalista sono garanzia di qualità e rimangono più che mai valori da coltivare, da difendere e da riconoscere soprattutto nella stagione della flessibilità e dell’inedita costellazione multimediale. La professione del giornalista è difficile, garantisce un diritto costituzionale, quello di informare. E ciò va riconosciuto. Il giornalista va adeguatamente pagato e richieste assurde di taglio del costo del lavoro, oltre a venir meno al concetto del giusto riconoscimento, metterebbero in crisi i nostri istituti, Inpgi e Casagit. Per questo Stampa Democratica rilancia il proprio motto, attuale come non mai: il sindacato sia da una parte sola, quella dei giornalisti. Un’occasione persa. Dal sindacato Nel concreto della vertenza, molti oggi scoprono quanto fosse positiva l’ipotesi, da noi sostenuta, di un accordo-ponte con l’aggiornamento della parte retributiva, dandosi più tempo per ripensare le regole. L’estremismo verbale di chi ci accusava di “svendite” ha prodotto zero e ci ha portati lontano da una soluzione.. Fedeli alla regola della disciplina sindacale, abbiamo lavorato per la riuscita degli scioperi. Nonostante tutto. Le responsabilità del vertice Fnsi: un contratto in dodici anni di gestione Ma questo non ci obbliga a tacere o a stendere un velo sulle responsabilità pesanti di un vertice della Fnsi che, comunque si concluda la vertenza – e certo noi opereremo al meglio, come sempre abbiamo fatto in 30 anni di vita della nostra corrente sindacale – appare già sconfitto sul campo. Il bilancio di 12 anni di giunte egemonizzate dalla corrente di Autonomia e Solidarietà (in Lombardia si chiama Nuova Informazione) è desolante: un solo contratto chiuso – male, sonoramente contestato da Stampa Democratica e dalla stragrande maggioranza della categoria – in un periodo in cui se ne sarebbero dovuti rinnovare tre. La richiesta di aiuto al governo da parte della Fnsi – non per concludere una vertenza ma per aprire un tavolo di trattativa con gli editori – è stata da noi accettata con spirito pragmatico: convinti che i governi servano a poco ma disposti ad accogliere eventuali novità positive. Queste novità non si sono viste, finora. E’ venuto il momento di sottolinearlo. Congresso a novembre. E la dirigenza federale propone ora un percorso unitario La Fnsi è in scadenza nel prossimo autunno. Il Congresso è stato convocato per la fine di novembre. La dirigenza federale propone adesso un percorso unitario; proprio quello che aveva sdegnosamente rifiutato dopo il congresso di Saint Vincent. Se si tratta di un cambiamento, una svolta, un’autocritica, possono esserci sviluppi: in un sindacato l’unità è sempre da perseguire. Se, invece, fossimo di fronte ad un tentativo di coprire le responsabilità e l’insuccesso evidente della linea perseguita, sarà inevitabile che la categoria chieda conto dei risultati di questi anni di gestione. Stampa Democratica non è per le egemonie: essere alleati non è questione di numeri ma di apertura intellettuale e di pari valenza tra giornalisti. Cosa significa essere sindacato confederale Il “modello” pensato dai “nostri” padri costituenti, deve essere recuperato. Un sindacato confederale non è la somma di territori e di movimenti che intendono portare avanti interessi particolari. Perché il sindacato ha un unico compito: difendere ogni possibile declinazione del giornalismo. Senza la pressione di gruppi che, impropriamente legittimati, si sono trasformati in lobbies. Ripensare il contratto guardando al futuro Per oggi, e soprattutto per il futuro, dobbiamo riflettere e ripensare il contratto. Stampa Democratica ritiene da tempo che la struttura dell’attuale articolato sia inadeguata e sia maturo il tempo di mettere mano ad una ristrutturazione delle regole del nostro lavoro. I principi della professionalità non devono essere indeboliti: vanno però declinati diversamente rispetto ad un ventaglio di media e di forme aziendali molto più varie e complesse che si sono aggiunte al quotidiano stampato, che è invece rimasto come modello di riferimento del nostro contratto. Dobbiamo conservare principi e poteri. Per farlo, però, è necessario avere il coraggio di innovare le forme e le norme. (St.D.) Milano, 24 luglio 2007