Pubblichiamo un intervento di Andrea Morigi Consigliere nazionale Fnsi – Stampa Democratica:
Non è mica tanto vero che la Fnsi è l'ultimo ridotto dell'opposizione antiberlusconiana. Il fatto reale è che ormai hanno cittadinanza nel sindacato dei giornalisti posizioni critiche non obbligatoriamente schierate pro o contro il governo. Personalmente trovo le ragioni di questa affermazione nell’enciclica Caritas in veritate, in cui Papa Benedetto XVI ricorda che «resta sempre valido il tradizionale insegnamento della Chiesa, che propone la distinzione di ruoli e funzioni tra sindacato e politica».
Che sia uno sforzo farlo capire ai colleghi, l’ho sperimentato dopo la manifestazione romana per la libertà d’informazione del 3 ottobre 2009, organizzata dalla Fnsi. Alla riunione del consiglio nazionale immediatamente successiva, ne avevo criticato l’esito: una manifestazione partitica. Si erano un po’ scandalizzati, il segretario Franco Siddi e il presidente Roberto Natale. Ma altri l’hanno capita, pur avendo aderito o soltanto indetto la manifestazione. Del loro orientamento politico, non rispondo. Il mio invece mi fa dire ancora più scandalosamente, con Joseph de Maistre, che la contro-rivoluzione non sarà una rivoluzione contraria, ma il contrario della rivoluzione. Cioè, non mi presterò a frantumare il sindacato nel tentativo di riequilibrare le fughe a sinistra dei suoi vertici.
Con il medesimo criterio giudico il ddl Alfano o quel che ne rimane, se sopravviverà la formulazione dell’articolo 6, che introduce, dopo il comma 6-bis dell’articolo 114 del codice di procedura penale, un comma 6-ter che recita: «Sono vietate la pubblicazione e la diffusione dei nomi e delle immagini dei magistrati relativamente ai procedimenti e processi penali loro affidati. Il divieto relativo alle immagini non si applica all’ipotesi di cui all’articolo 147 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del presente codice, nonché quando, ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, la rappresentazione dell’avvenimento non possa essere separata dall’immagine del magistrato».
Significa che non possiamo più scrivere il nome di un giudice. Così non gli si consentirà di farsi pubblicità sui giornali. È così ovvio lo spirito della norma, da nascondere un altro squilibrio: se commettono un errore giudiziario, non possiamo informarne i lettori. È per questo che la si chiama legge-bavaglio, perché non rispetta il criterio giuridico secondo il quale abusus non tollit usus: per impedire eccessi, toglie diritti. Condividendo così la medesima cultura della sinistra illiberale fatta di divieti.
Ma c’è anche una posizione diversa, mediaticamente sottorappresentata, della Fnsi, soprattutto in Lombardia, che vuole tenere insieme il diritto-dovere dei cronisti, il diritto dei cittadini alla riservatezza e il diritto alla giustizia. E risale a tre anni fa, quando i giornalisti italiani scioperarono contro il ddl Mastella (all’epoca con il centrosinistra), che in fondo non era molto diverso dal ddl Alfano e comunque fu bloccato.
Infine c’è anche una proposta, oltre che una protesta. Chiediamo di celebrare un’udienza filtro, nel corso della quale il gip individui, d’intesa con il pm e i difensori degli indagati, le intercettazioni che non risultano utili ai fini delle indagini. Le conversazioni private, i fatti manifestamente estranei all’inchiesta sarebbero così poste in un archivio riservato, al quale le parti potrebbero accedere, previa autorizzazione, senza poterne disporre. Sarebbe un modo civile per impedire di essere tutti spiati, intercettati e condannati al pubblico ludibrio in assenza di una condanna.