Un nuovo, gravissimo segnale d’allarme per la salute della libertà di stampa arriva dal Tribunale di Monza, che ha condannato per diffamazione Renzo Magosso, caporedattore di Gente, e con lui il direttore Umberto Brindani.
Il settimanale aveva pubblicato una intervista a Dario Covolo, ex brigadiere dei Carabinieri impegnato negli anni ’70 e ’80 nelle indagini sul terrorismo. Nell’intervista – confermata parola per parola da Covolo in una testimonianza resa al processo contro Magosso e Brindani – si affermava che erano stati fatti, sei mesi prima dell’assassinio di Walter Tobagi, i nomi di coloro (Marco Barbone e gli altri 5 della Brigata 28 Marzo) che progettavano un’azione terroristica contro l’inviato del Corriere della Sera e Presidente dell’Associazione Lombarda dei giornalisti, leader e fondatore della corrente sindacale Stampa Democratica. Si arriva al punto che un’intervista, resa evidentemente in modo totalmente fedele, costituisce – secondo il giudizio di primo grado – un reato. E soltanto perché essa contrasterebbe con una presunta “verità ufficiale” stabilita, e cristallizzata, nelle sentenze di oltre 20 anni fa sul delitto Tobagi. E’ evidente che, se questo criterio si affermasse, nessun esercizio di dubbio o di critica sarebbe più ammesso. I giornalisti sono avvertiti: d’ora in poi scrivere su Piazza Fontana, la Strage di Brescia, quella di Bologna, per citare solo qualche caso, potrà essere pericoloso. Accanto alle iniziative, ventilate o in atto, da parte del governo e del potere politico, per imbrigliare il diritto-dovere di cronaca, sentenze come quella di Monza devono richiamare i giornalisti alla vigilanza e alla mobilitazione. Ai colleghi condannati Stampa Democratica esprime solidarietà, apprezzamento per il loro lavoro, e l’augurio che in appello il giudizio possa essere ribaltato.