Intercettazioni e informazione tornano a riscaldare il dibattito pubblico; raramente con puntuali riflessioni di merito, spesso con evidenti strumentalizzazioni. Protagonisti: politica, magistratura, giornalismo. E accanto al dibattito sulla credibilità dell’informazione, sulla sua capacità o meno di essere specchio dei fatti, della verità quindi e di consapevolezza dei codici etici che ne presiedono ricerca, verifica e proposizione al pubblico, riemergono nuove tentazioni di bavaglio strumentalizzando a questo fine (lo fa a gran voce lo schieramento della destra) la morte del dottor Loris D’ambrosio, sulla quale è dovuto invece rispetto e pietà. Rispetto per la sua attività al servizio delle istituzioni democratiche; pietà nei confronti dei famigliari colpiti da un così grave lutto.
Quanto al dibattito su intercettazioni e informazione, esso va sempre fatto tenendo conto se lo specchio, quello dei giornali e più in generale dei media sia cosa diversa dalla realtà dei fatti, se qualcuno scrive sotto dettatura o per disposizioni estranee al suo dovere di informare sui fatti di pubblico interesse sui quali non è ammessa – deontologicamente - l’omissione. Nel giornalismo autentico queste due categorie non sono contemplate. Se si manifestano siamo su un altro terreno.
I giornalisti hanno il compito di informare anche proponendo loro elaborazioni, perché i cittadini sulla base di questa offerta (e, meglio ancora, leggendone o osservando più d’una) si facciano le proprie opinioni. Ma attenzione: i fatti – se le lealmente proposti – non possono cambiare a proprio piacimento, le interpretazioni ed è naturale che sugli stessi fatti ci sia pluralità di opinioni, di atteggiamenti, di comportamenti. Il pluralismo dell’informazione, in questo senso, è una ricchezza e un bene da preservare. Come più volte ha osservato il direttore di questo giornale, Claudio Sardo, tramontato il declinante mito della terzietà del giornalismo nel tempo del bipolarismo incompiuto e del bipartitismo fallito, di un irrisolto problema di distanza fra politica e cittadini fino all’antipolitica, libertà e pluralismo dell’informazione sono più che mai paradigmi di riferimento e garanzia per tutti.
I temi della legalità del diritto de cittadini all’informazione, senza che ci siano santuari inesplorati al di fuori delle regole, sono, debbono essere, il centro e il frutto del giornalismo. A ciò concorre la pubblicazione delle notizie di pubblico interesse. Spesso sono contenute in atti giudiziari pubblici e pubblicabili, generati da indagini che possono essere per taluni motivo di sofferenza, magari nell’attesa della conclusione di una ricerca di verità che può passare in tre gradi in quella sede, dove una prima affermazione di verità può ancora risultare corretta o smentita in una fase successiva. Il buon giornalismo ha il dovere etico di darne conto. E, se supportato dalla disponibilità di documenti pubblici né da conto e il giornalista ne decide, secondo la propria professionalità, la pubblicazione, avendo riguardo a non ignorare i fatti e a non violare (se non a proprio rischio e assumendosene la responsabilità) le regole poste a presidio delle istituzioni e dei diritti universali dell’uomo, avendone rispetto per la propria dignità. In sintesi: la pubblicabilità di atti utili a formare conoscenza di vicende di pubblico interesse non corrisponde a un automatismo finalizzato allo “sputtanamento” della persona.
In questo senso non possono esistere giornalismi diversi da quelli aderenti ai fatti. Altro - campagne preordinate di distruzione come quella dell’ormai noto come caso Boffo – sono altro, appunto. E non una norma ce dovrà mai stabilire quale notizia vada pubblicata o con quale stile vada proposta.
Si è confuso e si confonde ancora troppo il terreno dello scontro e dell’insulto politico con quello dei media. Nel tempo della democrazia collassata, si può capire ma non accettare che ci siano ripetuti tentativi di ricercare colpe su altri, di scaricare la fragilità della politica su giornali e giornalisti, ma non si può accettare. Ben venga invece la discussione, leale e di merito senza volontà prevaricatorie. Ma sia chiaro che non c’è una via legislativa per dettare i compiti, gli articoli, i titoli e i sommari ai giornalisti. Impensabile una nuova iniziativa di legge per introdurre bavagli all’informazione. Le reazioni non si farebbero attendere.
Alle idee, anche a quelle più irriverenti e meno accettabili dal proprio punto di vista – si risponde in democrazia con altre idee e con la forza della verità senza aggiunte.
I giornalismo può e deve fare di più, sicuramente. Deve sentirsi, su piano della credibilità, sempre sotto il giudizi dei cittadini, deve alzare – dinnanzi ai dilemmi che interpellano la vita delle persone – l’asticella della responsabilità, mettendoci idee, studio, passione, impegno a non accontentarsi mai di verità prefabbricate. Le scelte di linea informativa delle singole testate possono essere criticate ma non sottoposte a regime. Qui si confronta il pluralismo. Il suo grado di elevazione dipende da tanti fattori ma non po’ essere deciso per decreto. Poi, certo, una grande riflessione sui poteri mediatici, come su quelli finanziari e politici si può fare e sarà utile se ci saranno soggetti disponibili a farla accettando di mettersi in discussione per la sua parte e non ciascuno pretendendo di fare il mestiere dell’altro, peggio se pensando di esercitare punitivamente poter di comando.
I giornalisti non vivono una stagione facile, per le pressioni, per le incertezze del lavoro, per la caduta della qualità della vita civile (specchio anche i questo), per i tumultuosi cambiamenti di una società che è cambiata. Le risorse per migliorare, per nuovi equilibri e codici di rispetto fra soggetti e funzioni diverse vanno ricercate in un profondo lavoro culturale e sociale che non si esaurisce nel tempo di una protesta, né in una lamentazione, né in una ispirata esortazione. Su questo terreno più che scontri servono confronti e alleanze sociali trasparenti tra più e differenti soggetti.
Franco Siddi
Roma, 30 luglio 2012, da l'Unità