Pubblichiamo da "Galassia", il periodico della Fnsi, l'intervista di Daniela Stigliano a Segio Miravalle. “L’Ordine deve essere in ordine”. Con questo obiettivo, ha cancellato in un paio d’anni circa 1.200 giornalisti dagli elenchi dell’Ordine del Piemonte: almeno un migliaio di pubblicisti e gli altri tra professionisti ed elenco speciale. Sergio Miravalle, astigiano, classe 1952, professionista dal 1982, da trent’anni alla Stampa di Torino e oggi nella lista dei prepensionabili prossimi all’uscita (“senza drammi”, assicura, “tanto che ho subito comprato un uliveto in Liguria”), dal 2007 presiede il Consiglio regionale dell’Ordine del Piemonte.
Dopo due mandati da consigliere regionale e altri due da consigliere nazionale. E come tre anni fa, sta ora costruendo una squadra - compreso qualche pubblicista - che si presenterà alle prossime elezioni con un programma unitario, “tentando di superare il concetto di componenti”. Comunque vada, però, di una cosa Miravalle si dice cert “Affidiamo a chi arriverà dopo un Consiglio con un Albo più a posto”. Da dove siete partiti? Siamo partiti dagli elenchi. Il concetto delle regole può sembrare banale ma credo che sia il primo passo fondamentale dell’autoriforma che l’Ordine ha il dovere di applicare in attesa che la riforma trovi la forza politica di essere approvata dal Parlamento. Troppe persone hanno fatto di quest’attesa un pretesto per non fare nulla sul fronte della gestione degli Albi. Voi invece avete cancellato 1.200 giornalisti… L’operazione non è tanto quella dei numeri ma del principio, su due questioni: le revisioni e le morosità. Le prime sono imposte per legge, dovrebbero essere effettuate ogni anno, ma gli Ordini faticano a farle. Abbiamo sottoposto a verifica i professionisti senza contratto. E i pubblicisti che stavano per arrivare ai 15 anni di iscrizione, soglia dopo la quale non è più possibile fare revisioni. Ne abbiamo scoperti moltissimi che non fanno più il mestiere, alcuni che non lo hanno mai fatto. Ma è stata anche l’occasione per avviare un dialogo con colleghi che la professione la fanno e devono restare iscritti. Il nostro impegno dev’essere di riconoscere il professionismo per chi fa questo mestiere e valorizzare i pubblicisti veri, che svolgono altri mestieri e fanno pure i giornalisti. Chi non sta in queste due categorie, i pr, i pubblicitari, i portaborse dei politici, non dovrebbero avere il tesserino da giornalista. E sul fronte delle morosità, quali problemi avete dovuto affrontare? Abbiamo trovato a bilancio cifre di credito di colleghi che non pagavano da molti anni e che avevano l’atteggiamento di chi crede di essere oramai fuori dall’Ordine. Ovver crediti difficilmente esigibili. Il tasso sfiorava il 10% con morosità anche dal 1999, mentre oggi è sotto soglia del 4% con al massimo due anni di quote non versate. Gli Ordini regionali hanno il ruolo fondamentale di vigilare sulla deontologia dei propri iscritti. Qual è il bilancio del Consiglio piemontese come giudice disciplinare negli ultimi tre anni? Il caso più noto è stato quello di Massimo Giletti, volto della Rai, che al termine del colloquio ha deciso di dimettersi dall’Ordine perché non poteva accogliere la nostra richiesta di non fare pubblicità. Abbiamo così posto una linea di demarcazione netta tra chi fa il giornalista televisivo e chi fa l’anchorman. L’altro grande tema deontologico però è il rispetto delle Carte. Abbiamo aperto una trentina di procedimenti, molti conclusi con avvertimenti orali fuori dal normale iter procedurale. Perché l’Ordine non deve fare solo il carabiniere ma anche aiutare i colleghi a comprendere. Per questo abbiamo realizzato un Quaderno di Etica del giornalism domande e risposte sui temi più normali di un lavoro giornalistico nel pieno rispetto delle Carte. Lo abbiamo dato a tutti i colleghi incontrati in questi anni e messo anche sul sito.