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Componenti Fnsi 25 Set 2006

Senza Bavaglio su Ordine e Intercettazioni

Le opinioni di Pino Nicotri, Luisa Espanet, Simona Fossati e Massimo A. Alberizzi

Le opinioni di Pino Nicotri, Luisa Espanet, Simona Fossati e Massimo A. Alberizzi

ORDINE/Un istituto che crea troppo disordine (di Pino Nicotri) Lo dico subito chiaro e tondo, senza giri di parole: sono per l'abolizione degli ordini professionali, compreso quello dei giornalisti. Perché? Per vari motivi, e non solo perché storicamente sono nati come emanazioni dei famosi "fasci" di mussoliniana memoria, detti anche corporazioni. Poiché però non amo innamorarmi delle mie idee facendo muro nei confronti delle idee altrui, provo a vedere come arrivare a un compromesso decente. Per esempio, non sono contrario a che Senza Bavaglio partecipi alle prossime elezioni dell'Ordine per vivere un certo periodo durante il quale verificare se davvero questo organismo può essere cambiato in modo da diventare utile o se deve essere abolito perché irriformabile. La Storia dimostra che con quello che una volta si chiamava entrismo non si combina poi molto. Però dimostra anche che lo slogan e la prassi che "lo Stato di abbatte ma non si cambia" non sempre sono sani e produttivi. Evito quindi la posizione che "l'Ordine si abbatte ma non si cambia". Vediamo se e cosa si riesce a combinare di buono con la prossima "legislatura" dell'Ordine, e poi ne riparliamo. Intanto, ecco quali sono i motivi per cui preferisco l'abolizione anche del nostro Ordine. 1) - Beh, il primo e più banale di tutti è che non vedo che senso ha, se non assurdo e inammissibile privilegio, mantenere l'Ordine dei giornalisti mentre gli altri vanno aboliti in base a quanto disposto dall'Unione Europea. Anzi, è già molto strano che in Italia ci siano gli ordini e negli altri Paesi civili no. Ancor più strano che questa stranezza sia sopravvissuta al crollo del fascismo che l'aveva creata. 2) - Alle elezioni per l'Ordine ci va a votare troppo poca gente. Reputo immorale che si occupi delle deontologia professionale e perfino delle sanzioni ai colleghi un organismo votato da una piccola minoranza. Basta già questo a togliere legittimità ai rappresentanti dell'Ordine: con quale faccia un Pinco Pallo o una Pinca Palla, votata per giunta solo da una frazione della minoranza dei votanti, possono deliberare su faccende cha magari riguardano fior di professionisti di valore? Mi sono sempre chiesto come fanno a non vergognarsi gli emeriti sconosciuti e le emerite sconosciute che per esempio siedono nel consiglio dell'Ordine della Lombardia e votano sanzioni o rovvedimenti contro o a favore di colleghi al cui confronto valgono professionalmente poco o nulla. 3) - L'Ordine dei giornalisti, o meglio gli Ordini al plurale, cioè quelli regionali più quello nazionale, sono di fatto delle burocrazie che non hanno poi molto a che vedere col giornalismo reale. Per ovvi motivi di tempo disponibile, spesso i dirigenti degli Ordini sono dei colleghi in pensione, assai stimabili, ma poco addentro alle novità della professione e alle tendenze del suo divenire futuro. Anch'io quando andrò in pensione, tra pochi anni, sempre che Dio-Allah-Jahvé-Visnù&C-Manitù-O-Come-Lo-Vogliamo-Chiamare non preferisca prima farmi passare a miglior vita presso di Sé, vorrei avere qualcosa da fare per restare in contatto col giornalismo e non passare le ore ai giardinetti. Ma non è scritto da nessuna parte che ciò debba avvenire a spese o sulle spalle dei colleghi ancora in attività dedicandomi all'Ordine. So che questa mia osservazione può parere irriverente, ma non lo è: è solo chiara e realistica. 4) - Periodicamente si "scopre" che nel giornalismo si annidano fior di mascalzoni, che vendono la dignità professionale e il proprio onore (la prima mi interessa, la seconda assai meno) agli offerenti più diversi. Renato Farina possiamo dire che non è un mascalzone, ma trovo rivoltante che possa ancora scrivere su un giornale. Mi duole molto, e non scherzo, dato che lo conoscevo e lo stimavo, ma anche gli errori alla Luca Fazzo credo andrebbero sanzionati severamente. Sicuramente andrebbero sanzionati molto severamente, con la cacciata dalla professione se non con la galera, i colleghi che hanno scritto o titolato sui principali giornali italiani che proseguiva "la produzione di bombe atomiche in Iraq", balla colossale e criminale per giustificare la successiva invasione dell'Iraq. Non intendo discutere se fosse o no il caso di invadere l'Iraq, mi limito a far rilevare che le frottole vanno sanzionate, specie quando sono rifilate per poter creare tragedie da decine di migliaia di morti, tra i quali una marea di civili innocenti, donne e soprattutto bambini compresi. Andrebbero anche sanzionati e cacciati i colleghi che - solo per supportare la politica estera di un capo di governo che, guarda caso, era anche il loro editore - hanno propalato e avvalorato il falso dossier sull'uranio comprato da Saddam in Niger, altra bufala rifilata al mondo per spaventarlo e avere così una scusa buona per poter invadere l'Iraq. Non è la prima volta che tiro fuori questi argomenti, ma vedo che continua a non succedere niente. Beh, ma se un Ordine non riesce a mettere ordine in casi così gravi, che cavolo di Ordine è? A cosa serve? 4 bis) - Sere fa un collega mi ha fatto notare che l'Ordine a volte infligge sanzioni più velocemente della magistratura, notoriamente troppo lenta, e che quindi dovrei essere favorevole a mantenerlo in vita. Scusate, ma il problema non è di tipo forcaiolo, non è cioè che io voglia a tutti i costi le sanzioni e quant'altro, gli è invece che desidero che le cose, se esistono, abbiano un senso. Più che le sanzioni preferisco la giustizia. E quindi vorrei che a giudicare e se è il caso a sanzionare il nostro operato bastassero il codice civile e il codice penale. Anziché battermi perché l'Ordine resti in vita credo sia preferibile battersi perché la giustizia funzioni, e velocemente! Questa infatti riguarda tutti, non solo la nostra corporazione. Inoltre, poiché una sentenza dell'Ordine può essere cassata dalla magistratura se un collega vi fa ricorso, mi chiedo perché non lasciar subito mano libera al magistrato. Vogliamo altre regole per il nostro lavoro,in modo che sia più difficile esercitarlo con disonestà? Bene, chiediamo al parlamento di varare quanto necessario, visto anche che in parlamento siedono una ottantina di giornalisti (che lucrano sulla mungitura previdenziale dell'Inpgi, due anni di contributi pagati dall'Istituto, cioè da noi, per ogni anno al parlamento. Ma tralasciamo). 5) - Restando in tema di sentenze: il "tribunale" che nell'Ordine nazionale giudica in appello i provvedimenti inflitti ai singoli colleghi dagli Ordini regionali è chiaramente improponibile, se non illegale. Perché? Per il semplice motivo che nei confronti dei membri di quel tribunale manca l'istituto della ricusazione per legittima suspicione, quando invece la legittima suspicione è legittimata dalla sua stessa struttura. Quell'insieme di uomini e donne giudicanti è infatti eletto per appartenenza a singole liste politico-sindacali. E chi garantisce che, per ipotesi, un membro di Senza Bavaglio sarebbe imparziale nel giudicare un collega di Nuova Informazione? A giudicare dagli odi che corrono e dalle coltellate che girano, non c'è nessuna garanzia di imparzialità: vale a dire, nessuna garanzia di giustizia. Faccio un esempio, per evitare che sembri io faccia solo teoria cercando il pelo nell'uovo. Di recente ho vinto una causa civile contro il collega Maurizio Calzolari, membro eminente di Nuova Informazione tanto da essere stato anche membro del consiglio di amministrazione dell'Inpgi. Qualche mese prima sono stato giudicato a Roma, dal "tribunale" dell'Ordine nazionale, al quale avevo fatto ricorso per una sanzione comminatami dall'Ordine della Lombardia. Bene. O meglio, male. Nessuno può garantire che al momento di votare cosa decidere nei miei confronti - colpevole, innocente o metà e metà-non ci sia stato qualche collega amico o sodale politico-sindacale del buon Calzolari che abbia deciso non secondo coscienza, ma secondo simpatia/antipatia non solo "partitica" provocata dal fatto che presso il tribunale di Milano, quello vero a palazzo di Giustizia, era in corso una mia causa civile contro l'ottimo Calzolari. 6) - L'Ordine è arrivato in più regioni a una contraddizione clamorosa, diventata la classica goccia che fa traboccare il vaso descritto nei 5 punti precedenti. Parlo della creazione delle scuole di giornalismo, che ormai sono un diluvio. Con la scusa del "largo ai giovani!" - guarda caso la stessa scusa invocata oggi dai dirigenti della Fnsi che firmando il vecchio contratto nazionale di lavoro senza il vaglio collettivo del referendum hanno permesso lo sbarramento della strada ai giovani - ormai troppi Ordini regionali vanno contro altri giovani e non giovani. Sfornare un nugolo di professionisti in un'epoca di sottoccupazione se non di disoccupazione non mi pare molto saggio. E mi pare proprio demenziale allagare le redazioni dei principali giornali con una pletora di stagisti che di fatto impedisce per esempio il primo ingresso prolungato in redazione dei collaboratori esterni, in quanto tali giovani anche anagraficamente, che prima dell'invenzione degli stagisti venivano utilizzati per le sostituzioni estive, per molti il primo passo verso l'assunzione. Con la pioggia degli stagisti è più difficile anche il reintegro al lavoro dei disoccupati, cosa molto grave e immorale. Ma la contraddizione più fastidiosa e insuperabile è un'altra. Un freelance o un collaboratore magari fisso, pur esercitando esclusivamente il lavoro di giornalista, si vedono negare dall'Ordine il riconoscimento d'ufficio del praticantato se non guadagnano annualmente almeno quanto previsto dal contratto nazionale di lavoro per il minimo tabellare del praticante. Uno stagista invece, che non lavora, non guadagna una lira e anzi paga o meglio si fa pagare da mamma e papà fino a 10.000 euro - cifra davvero pazzesca! - per poter frequentare una scuola di giornalismo, ebbene lui si vede regalare l'accesso all'esame di praticante e quindi il titolo di giornalista. Proprio come se l'avesse comprato pagando il balzello dell'iscrizione. Questo uso dei due pesi e due misure è uno sconcio che squalifica qualunque Ordine. Nella mia qualità di consigliere generale dell'Inpgi membro della commissione Acquisti e dismissioni immobiliari mi ha colpito il fatto che alcuni Ordini regionali non solo chiedono all'Istituto l'acquisto di sedi molto sovradimensionate perché ci vogliono scodellare anch'essi la loro brava scuola di giornalismo, ma arrivano a indicare perfino quale immobile comprare. E' una prassi che non mi piace, per due motivi. Il primo è che quando prima o poi le scuole di giornalismo passeranno sotto l'egida delle Università non si capisce bene che fine farà lo spazio immobiliare lasciato libero, e quindi chi ne pagherà l'affitto all'Inpgi. Il secondo è che i possessori di immobili usano ringraziare con ricche mance sottobanco, dette anche bustarelle o tangenti, chi gliene fa vendere. L'occasione fa l'uomo ladro. Anche la donna, se è per questo. Mi pare che anche la nostra categoria professionale sia composta di uomini e donne. Oltretutto qui non si tratta neppure di essere ladri, ma solo incassatori. E' chiaro il concetto? 7) - Quanto incamerano in totale le scuole di giornalismo sotto forma di tassa di iscrizione, di contributi degli enti locali e degli eventuali sponsor privati nonché della Comunità europea e quant'altro? Quanti sono gli insegnanti di queste scuole, chi e come li sceglie, quanto guadagnano, quante cattedre possono arrivare ad avere e in quante scuole, ovvero quanto arrivano a guadagnare? Perché non viene pubblicata una lista con nomi, cognomi, somme percepite, motivi della nomina a insegnare per una data materia, ecc., per tutti coloro che insegnano nelle scuole? Domande scomode, mi rendo conto, ma che vanno fatte onde evitare i mormorii e il continuare a prenderci in giro. Può essere che sia tutto più che lindo e trasparente, e allora è bene si sappia. Altrimenti si promuove il mormorio e si legittimano le malelingue. CONCLUSIONE: proviamo pure a partecipare alle prossime elezioni per il rinnovo dei rappresentanti dell'Ordine, ma che sia un fidanzamento vigile, che non necessariamente deve diventare un matrimonio per giunta antidivorzista. Pino Nicotri Consigliere Generale Inpgi Senza Bavaglio ORDINE/Da PR a giornalista, la commistione è servita (di Luisa Espanet e Simona Fossati) Accade anche questo. Mentre i giornalisti organizzano scioperi per far sedere gli editori al tavolo delle trattative di un contratto scaduto da 575 giorni, avanza un esercito di nuovi giornalisti. Sono i Public Relations women & men. Sicuramente seri professionisti e ottimi comunicatori, ma giornalisti no. In continuazione si incontra qualcuno che con un bel sorriso stampato sulle labbra annuncia entusiasta: "Sai, sono diventato/a giornalista!". Il primo allarme scatta qualche tempo fa. Un giornalista arriva una mattina negli uffici dell'Ordine della Lombardia e incontra una PR che conosce bene: "Come mai sei qui?" chiede il collega sorpreso. "Sto facendo l'esame da giornalista!" risponde la PR con orgoglio. "L'esame da giornalista?", incalza. "Sì, ho passato lo scritto e ora faccio l'orale". Il giornalista allibito e senza parole, gira lo sguardo e, come in un film dell'orrore, vede altri addetti alle pubbliche relazioni con cui ha spesso a che fare come controparte. Sono tutti pronti a sostenere un esame che – sono convinti - apre le porte di un uovo "Paradiso". Ma di che esame si tratta? Loro credono sia la prova di idoneità professionale, mentre invece è solo il test finale del mini-corso per far diventare pubblicisti gli addetti stampa. Allora, chi all'Ordine Lombardo e Nazionale, ha inventato e avallato il "Corso per addetti stampa" aperto anche alle aziende, si rende conto di aver legalizzato la commistione pura? Ci si è posto il problema del rapporto tra giornalisti e comunicatori? Lo sanno all'Ordine che sono due mestieri diversi, spesso antagonisti? Non vogliamo fare dietrologie. Ma, evidentemente, gli euro che arricchiscono le casse dell'Ordine "valgono bene" un tesserino rosso dato a chiunque. E a proposito di tesserino rosso, è il caso di ricordare ai colleghi giornalisti, quelli che la professione la esercitano veramente, che tutti, ma proprio tutti gli iscritti al nostro Ordine, oggi hanno il tesserino dello stesso colore, rosso. Perché non si può dimenticare che anni fa, proprio in Consiglio Nazionale dell'Ordine, ci fu un bel colpo di mano capitanato da Mimmo Castellano (Napoli) e Gino Falleri (Roma). A conclusione di una lunga riunione di Consiglio, senza numero legale e con la connivenza dell'allora dirigenza, fecero approvare dalla maggioranza dei quattro gatti rimasti in sala poche righe che decretavano tesserino rosso uguale per tutti. Guarda caso la maggior parte dei presenti erano pubblicisti, di solito i primi ad andarsene. Ora ci si chiede se al prossimo Consiglio dell'Ordine Nazionale (a Roma i primi di ottobre) qualche giornalista professionista spinto da un moto di orgoglio, vorrà imporre con i "sistemi" di Castellano e Falleri, un tesserino di un colore completamente diverso per tutti coloro che escono dai Corsi dell'Ordine per addetti stampa. Per differenziarsi bene. Naturalmente una delibera con effetto retroattivo. Come fu per il tesserino rosso che costò alle casse dell'Ordine molto di più di quello che costerà oggi dare ai pubblic relations-presunti-giornalisti un nuovo tesserino. Luisa Espanet e Simona Fossati Senza Bavaglio INTERCETTAZIONI/Destra e sinistra unite imbavagliano la stampa. E l'Ordine della Lombardia è d'accordo (di Massimo A. Alberizzi) Ciò che non è riuscito a fare la destra, è riuscito a fare la sinistra. Contrabbandandola come una norma che tutela tutti i cittadini, destra e sinistra unite hanno varato le misure per imbavagliare la stampa. Sono stati piegati i principi della civiltà moderna per accontentare i capricci e le malefatte della politica. Invece di colpire solo e duramente gli autori di intercettazioni illegali si è colpito chi di quelle intercettazioni vuole darne notizia, secondo il dettato costituzionale. E’ come se nel caso di un omicidio non si voglia punire solo l’assassino ma anche il giornale che ha pubblicato il nome e il cognome dell’ucciso. Non vogliamo neanche credere che, come sostiene una voce che circola insistente, ispiratore di quella legge sia uno di quei giornalisti che sono passati alla politica, Antonio Polito. Il decreto legge approvato dal governo ha trovato un estimatore nel presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia che ieri scriveva: "Le intercettazioni illegali non sono coperte dal diritto di cronaca e non possono trovare cittadinanza nelle pagine dei giornali. Diverso è il discorso sulle intercettazioni disposte dall'autorità giudiziarie: quelle si possono pubblicare, ma salvaguardando la dignità delle persone coinvolte”. Francamente non si riesce a capire perché, secondo Franco Abruzzo, sarebbe deontologicamente scorretto pubblicare intercettazioni illegali, sempre che sia “salvaguardata la dignità delle persone coinvolte, il rispetto della persona e della dignità umana”. Se un giornalista prende conoscenza di una intercettazione illegale durante la quale scopre, ad esempio, che si sta organizzando un attentato in piazza del Duomo, salvaguardando la dignità delle persone coinvolte e il rispetto della persona e della dignità umana, non può pubblicare questa notizia e quella intercettazione? Secondo il presidente dell’Ordine Lombardo evidentemente no. Se questa è la formazione professionale e le linee guida che ci dà l’Ordine francamente restiamo sconcertati. Visto che l’Ordine (almeno quello della Lombardia) si mostra così succube alla politica, sia di destra che di sinistra, invitiamo la FNSI a protestare duramente contro questa legge liberticida che assomiglia tanto a quelle varate nel 1925. Apparentemente favoriscono libertà di stampa e convivenza civile. Di fatto intendono imbavagliare la stampa che in questi anni ha svolto un cui ruolo insostituibile di denuncia di scandali della politica. Nessuno ci toglierà dalla testa il dubbio che con questa norma la sinistra voglia evitare altri casi Unipol Consorte e favorire un certo affarismo che, sia a destra che a sinistra, sta inquinando politica e istituzioni. La norma appare ancora di più anacronistica e repressiva (e la presa di posizione del presidente dell’Ordine della Lombardia comica) se si pensa che la legge può essere aggirata pubblicando le intercettazioni su un sito internet registrato all’estero con responsabili stranieri. Dovremo rivolgersi ai colleghi stranieri per conoscere le notizia di casa nostra? Massimo A. Alberizzi Consigliere Nazionale FNSI Senza Bavaglio

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