Siamo già a luglio, ma - complice forse la calura estiva - nessuno sembra essersi accorto di quanto è successo il 16 del mese scorso.
Siamo già a luglio, ma - complice forse la calura estiva - nessuno sembra essersi accorto di quanto è successo il 16 del mese scorso. Quel giorno in un convegno a Roma l'Associazione dei giornalisti della scuola di Perugia, cioè dei colleghi sfornati dalla scuola perugina di giornalismo radiotelevisivo che - riconosciuta dall'Ordine - annovera la Rai tra i soci fondatori, ha lanciato la proposta che nelle assunzioni a termine previste per i disoccupati dal contratto nazionale di lavoro, sia data la precedenza agli "inoccupati": vale a dire, a chi proviene dai corsi riconosciuti giustappunto dall'Ordine dei giornalisti. Gli estensori della proposta, però, si dimenticano dei diritti acquisiti dai colleghi spinti fuori dalle redazioni dalle crisi delle varie testate e rimasti senza lavoro, colleghi che da anni attendono un'occasione per rientrare nel ciclo produttivo. In buona sostanza, i perugini chiedono si formalizzi l'esistenza di disoccupati di serie A e di serie B, ovviamente mettendo se stessi in serie A per sgomitare dalle ultime file per "saltare la coda". A parte lo scarsissimo senso di solidarietà nei confronti di molti colleghi, le richieste dei perugini sono inaccettabili perché le precedenze nel rientro al lavoro sono dettate solo dai criteri di anzianità d'iscrizione negli elenchi dei disoccupati. La calura estiva favorisce lo scarso interesse sia verso la riforma delle pensioni giornalistiche che verso la riforma dell'accesso alla professione, riforma quest'ultima varata dall'Ordine senza neppure essere preceduta o accompagnata da modifiche della legge professionale. Come se non bastasse, l'Ordine ha avviato il riconoscimento di corsi di giornalismo con praticantato e stage inclusi senza tenere minimamente conto delle reali capacità d'assorbimento del mercato. A questo punto è senz'altro il caso di chiarire se è vero che a volte in certe regioni le università si vedono riconoscere più facilmente - dal rispettivo Ordine della nostra categoria - i loro nuovi corsi di giornalismo se affidano una qualche materia d'insegnamento a membri del direttivo regionale dell'Ordine stesso. Come è facile intuire, qui il confine tra il lecito e l'illecito è piuttosto labile, e non vorremmo che in un qualche "do ut des" di questo tipo affondasse la credibilità di alcuni Ordini regionali. Poniamo quindi esplicitamente alcune domande, per le quali esigiamo risposte precise. Quante materie di corsi di laurea sono attualmente gestite da membri dei consigli direttivi degli Ordini regionali dei giornalisti? Ovvero: quanti sono oggi i consiglieri di direttivi regionali che hanno incarichi di insegnamento universitario di materie giornalistiche? Si sussurra che ci sono consiglieri che di questo tipo di insegnamento fanno collezione, riuscendo a metterne assieme anche tre o quattro. E' vero o, come speriamo, non è vero? E se è vero, come mai ciò accade? La riforma dell'accesso alla professione sarà anche una bella idea, vista l'ambizione di portare tale accesso al livello di una specifica laurea universitaria, ma non può essere varata lavandosene le mani del riassorbimento dei disoccupati. Come ormai sappiamo bene, gli stagisti nelle redazioni - e non solo coloro che provengono dai corsi riconosciuti dall'Ordine - incidono negativamente soprattutto sui contratti a termine. Le richieste degli ex allievi di Perugia dimostrano che nuovi professionisti sono immessi senza un contratto di lavoro in un mercato già saturo. Il Coordinamento nazionale disoccupati ha già chiesto all'Ordine che venga interrotto immediatamente il riconoscimento di nuove scuole e corsi universitari di giornalismo con praticantato e stage inclusi. Il Coordinamento ha pure chiesto che, fatti salvi i corsi attualmente in svolgimento, gli istituti che già hanno ottenuto il riconoscimento non diano inizio a nuovi corsi fin quando non si giunga a una modifica della legge professionale che, tutt'oggi vigente, non prevede stage, bensì il solo praticantato in una redazione reale - non in una redazione virtuale creata dalla scuola - come unica forma d'apprendistato giornalistico. Senza Bavaglio ha sempre ritenute eccessive, e forse non realistiche, tali richieste. Ma ora, a fronte del dilagare del "particulare" sulla pelle dei disoccupati, si vede costretta a farle proprie. Pertanto, Senza Bavaglio fa propria anche la richiesta fatta alla Fnsi dal Coordinamento nazionale giornalisti disoccupati di ritirare dalla piattaforma rivendicativa per il rinnovo del Ccnlg la "precisa normativa, anche d'intesa con l'Ordine professionale, che preveda, tra l'altro a) vincolo di utilizzo dei soli stagisti provenienti dalle scuole riconosciute dall'Ordine.", come si legge nel documento inviato dal segretario generale Serventi Longhi al presidente della Fieg, Boris Biancheri. La parola "stagista" neppure dovrebbe comparire in un contratto di lavoro giornalistico serio, che non è neppure la sede più consona per parlare delle scuole di giornalismo. Forse che il contratto degli ingegneri dipendenti, per esempio, dell'Enel o della Fiat potrebbe mai occuparsi delle facoltà universitarie di ingegneria? b) l'obbligo da parte delle aziende - editoriali e non - pubbliche nella sostanza anche se, talvolta, private nella forma (parliamo di Rai, Enel, Trenitalia, Alitalia, Coni, fiere, consorzi, regioni, provincie, comuni ecc.) di assumere i propri giornalisti solo tramite concorso.Ciò vale tanto per le redazioni, nel caso della Rai, quanto per i propri uffici stampa, nel caso degli altri enti. Un concorso dal quale dovrebbero essere esentati solo sparuti casi (gli alti vertici) e che non dovrebbe recare alcuna discriminazione a danno dei pubblicisti Senza Bavaglio I programmi di Senza Bavaglio e il nostro manifesto, sul sito www.senzabavaglio.info