Le fake news sono strumentali a un disegno preciso che nasconde la vera insidia della rete: favorire la creazione di dittature digitali con il trasferimento progressivo di autorità dalle persone agli algoritmi. Come? Attraverso la cessione di dati personali in cambio di informazione di bassa qualità, se non del tutto falsa e manipolata. Il modello che prevede informazione gratuita in cambio di attenzione, quindi di dati personali, è pericoloso e, nel lungo periodo, si rivelerà controproducente. Va sfatato, prima di tutto, il mito del tutto gratis perché c'è sempre un prezzo da pagare. Quale? Che la merce venduta sulla rete, a nostra insaputa e al miglior offerente, siamo noi, che diventiamo un vero affare per pochi. Chi possiede i dati possiede il futuro. E il trasferimento progressivo di autorità dalle persone agli algoritmi può rappresentare il presupposto per la creazione di dittature digitali.
Questo il cuore della riflessione con cui il segretario della Federazione nazionale della Stampa italiana, Raffaele Lorusso, ha introdotto la lezione inaugurale del corso di alta formazione 'Raccontare la verità, come informare promuovendo una società inclusiva e contrastare le fake news' promosso dall'Università di Padova e dalla Fnsi con il Sindacato giornalisti Veneto e Articolo 21 e con il supporto del Sindacato giornalisti Trentino Alto Adige e dell'Ordine dei giornalisti del Veneto.
«Essere iperconnessi – ha detto Lorussso – rafforza l'idea che la rete sia esaustiva e che, grazie a essa, sia possibile fare a meno non soltanto dell'informazione, ma anche di tante altre competenze. Per questo è necessario che l'informazione professionale non giochi sul terreno del sensazionalismo. Nessun giornale è depositario della verità e neppure esente da errori, però ce ne sono alcuni che più di altri si sforzano di cercare la verità o di dare una rappresentazione della realtà il più possibile rispondente al vero. È responsabilità dei giornalisti in primis scoprire pregiudizi ed errori e verificare le fonti delle informazioni».
A presentare Lorusso è stato il giornalista Roberto Reale, componente del comitato scientifico del corso, il quale ha sottolineato come «noi non abbiamo bisogno di autostrade della rete, di velocità, bensì di alfabetizzazione digitale, di confronto vero, di sviluppo del pensiero critico, di capacità di discernere e di tradurre la complessità». E in tal senso uno degli strumenti utili è la formazione multidisciplinare proposta dal percorso didattico sperimentato con l'ateneo patavino.
Invertire la rotta. Così Lorusso: «Occorre accettare il principio che per avere informazioni affidabili bisogna pagare un prezzo giusto. Continuando a scambiare i nostri dati con notizie di bassa qualità rischiamo di minare le basi della vita civile e democratica perché consegneremo a pochi il potere di regolare la nostra vita nel futuro. Senza informazione non c'è democrazia. Occorre un diverso approccio culturale. La libertà di informazione è strumentale all'esercizio di altre libertà, pensiamo alla libertà politica, alla libertà religiosa, sindacale, professionale.
L'avvento della rete e lo sviluppo della tecnologia offrono molteplici possibilità di accesso all'informazione, ma comportano anche incertezza sotto il profilo della tutela dei diritti civili e sociali nella rete. Il rischio che le notizie vengano diffuse in modo poco trasparente da parte di chi controlla la rete è altissimo. Gli algoritmi stanno prendendo il sopravvento. Come segnalato da eminenti studiosi, c'è il rischio che l'autorità si trasferisca sempre più dagli uomini agli algoritmi. Tutto si gioca, allora, sul controllo della proprietà dei dati».
Come si controlla la proprietà dei dati? Questa la domanda centrale che ha posto Lorusso. «La risposta non può arrivare né dagli ingegneri e neppure dagli informatici. Loro fanno il loro mestiere, sviluppano tecnologia e lo fanno in tempi di gran lunga inferiori ai tempi della politica, di chi, cioè, è chiamato a stabilire le regole del gioco. Questo tema deve interrogare giuristi, filosofi, politici a livello globale perché servono regole uguali per tutti. Stefano Rodotà ricordava come l'habeas corpus, ossia il diritto di ciascuno alla disponibilità del proprio corpo, che può essere limitato solo attraverso meccanismi di garanzia, debba valere anche per la rete. È questo il tempo di una nuova Magna Charta che sancisca anche l'habeas data».
(Da: sindacatogiornalistiveneto.it)
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A questo link la registrazione della prima lezione, la sola pubblica, del corso universitario di alta formazione 'Raccontare la verità'.