Intervenendo all’Assemblea Regionale Siciliana, il vicepresidente della commissione nazionale Antimafia, Claudio Fava, ha affrontato il tema delle minacce ai giornalisti e del rapporto tra la mafia e l’informazione, che la malavita vorrebbe ridotta al silenzio. “Alle minacce esplicite – ha anche osservato – si sta affiancando lo strumento delle minacce per via giudiziaria” che rischiano di diventare “mazze chiodate per i giornalisti”.
"Uno dei salti di qualità che la mafia ha fatto è nel
rapporto con l'informazione. Oggi le mafie vogliono consenso che non si limiti
all'omertà e alla paura e il consenso passa anche nell'imbavagliare o ridurre
al silenzio l'informazione libera".
È quanto ha affermato il vicepresidente della commissione nazionale Antimafia,
Claudio Fava, parlando del ruolo dell'informazione nel corso della sua
audizione alla commissione regionale antimafia dell’Assemblea Regionale
Siciliana nell'ambito dell'istruttoria sui rapporti tra mafia e politica in
Sicilia.
“La maggior parte dei giornalisti che ha subito minacce o intimidazioni – ha
rilevato Fava – sono cronisti precari e di periferia che alle spalle non hanno
il sostegno di grandi giornali o gruppi editoriali. Dovremmo farci carico della
condizione in cui oggi l'informazione racconta i fatti di mafia".
L’altro tasto dolente toccato dal vicepresidente della commissione nazionale
Antimafia riguarda invece le liti temerarie: “Alle minacce esplicite si sta
affiancando lo strumento delle minacce per via giudiziaria”, ha detto Fava, che
ha poi parlato di "un uso strumentale delle querele, di azioni civili con
richieste di risarcimento sperequate che comunque, anche in casi come quello
della Gabanelli che ha la Rai alle sue spalle, hanno dei costi".
Alcuni strumenti giudiziari, ha concluso, "rischiano di diventare mazze
chiodate per i giornalisti".