L'intelligenza artificiale sta rimodellando il mondo dell'informazione molto più velocemente della rivoluzione digitale degli ultimi decenni. Per questo servono regole. E, soprattutto, occorre che i giornalisti, sia a livello associativo sia nelle singole redazioni, rivendichino il controllo di tutti i processi di innovazione. L'impatto dei chat bot ha una dimensione globale. Problemi, ma anche opportunità, sono comuni a tutti i Paesi del mondo. La Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj) ha dedicato al tema una sessione dei lavori del Comitato esecutivo, riunito a Londra dal 19 al 21 giugno 2024.
Il board del sindacato mondiale dei giornalisti si è confrontato con Tim Davie, direttore generale della Bbc, Tomasz Hollanek, dell'Università di Cambridge, Matt Rogerson, capo della comunicazione del Guardian Media Group, Charlotte Tobia, della Press Gazzette, e Adam Cox, dell'Università di Rochamptond.
C'è la consapevolezza che si tratta di una sfida epocale. Una sfida da raccogliere e che è possibile vincere, portando avanti rivendicazioni comuni. I giornalisti devono usare l'intelligenza artificiale, sfruttandone a proprio vantaggio le potenzialità, evitando di farsi usare. Un rischio reale, che va evitato attingendo ciascuno al proprio bagaglio di professionalità. La strada da percorrere, ovviamente, è lunga e richiede la messa a punto di regole sia a livello sovranazionale sia a livello di singoli Paesi. Senza dimenticare, ovviamente, la contrattazione collettiva, anche di secondo livello, che è un passaggio ineludibile. Tocca ai sindacati dei giornalisti imporre regole per impedire che l'AI generativa possa provocare un'emorragia di posti di lavoro.
L'eventuale introduzione di protesi intelligenti nel lavoro redazionale non può prescindere dal consenso dei giornalisti e dalla definizione delle regole d'ingaggio. Stesso discorso per la possibilità di aprire agli archivi per l'addestramento dei chatbot. È un aspetto, quest'ultimo, sul quale si registrano approcci diversi. A fronte di testate che consentono l'accesso ai propri archivi digitali, ve ne sono altre, a cominciare dal New York Times, che hanno intrapreso una battaglia legale per impedire l'uso dei propri archivi digitali ai sistemi di Ai. La controversia avviata da quello che è uno dei maggiori quotidiani del mondo potrebbe rappresentare una svolta per tutto il mondo dell'informazione. La pronuncia dei giudici americani sulle questioni sollevate dai legali del NYT, che vanno dalla tutela del diritto d'autore alla difesa dei posti di lavoro, potrebbe fare scuola e diventare un punto di riferimento per gli interventi a livello normativo e negoziale.
Di fronte all'attacco e all'approccio sempre più invasivo delle protesi intelligenti, i giornalisti e le loro organizzazioni sono chiamati a vigilare sul rispetto delle regole deontologiche. Il primo dovere dei giornalisti è il rispetto della verità. L'intelligenza artificiale non soltanto rende difficile distinguere il vero dal falso, ma può avere un impatto negativo sulla libertà di espressione e sui processi democratici, a cominciare da quello elettorale.
Di qui, la necessità di una regolamentazione che parta dall'esigenza di rendere riconoscibili i modelli di AI, accessibile la tecnologia che li governa e identificabili le proprietà. Aspetti che non riguardano soltanto la professione giornalistica che, in ogni caso, corre rischi molto gravi in assenza di un quadro di regole chiare, ma anche la tenuta dei sistemi democratici.
La Federazione internazionale dei giornalisti, in questo senso, intende fare la propria parte, insieme con i sindacati nazionali associati. Nella riunione di Londra è stata messa a punto la prima bozza di linee guida per fissare i punti essenziali per garantire la libertà, il pluralismo e la funzione essenziale dell'informazione e della professione giornalistica anche nell'era dell'intelligenza artificiale.