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Uffici Stampa 04 Gen 2008

La sentenza della Consulta ha abrogato le norme della Regione Sicilia ma non incide sulle altre istituzioni pubbliche: illegittimi gli interventi tesi a colpire i diritti dei giornalisti occupati negli uffici stampa della Pubblica amministrazione

In alcune Regioni è in atto un uso strumentale della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune norme della legislazione regionale siciliana con il tentativo di colpire i diritti dei colleghi che operano negli uffici stampa. E' bene ribadire che la sentenza della Consulta riguarda solo ed esclusivamente la vicenda siciliana, per altro già risolta positivamente con un accordo sindacale, e non tutte le altre situazioni nel resto d'Italia nelle quali vanno respinti i tentativi di strumentalizzazione messi in atto dalle burocrazie interne ed in qualche caso anche dagli amministratori

In alcune Regioni è in atto un uso strumentale della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune norme della legislazione regionale siciliana con il tentativo di colpire i diritti dei colleghi che operano negli uffici stampa. E' bene ribadire che la sentenza della Consulta riguarda solo ed esclusivamente la vicenda siciliana, per altro già risolta positivamente con un accordo sindacale, e non tutte le altre situazioni nel resto d'Italia nelle quali vanno respinti i tentativi di strumentalizzazione messi in atto dalle burocrazie interne ed in qualche caso anche dagli amministratori

"Da parte di più di un giornalista che lavora come addetto stampa nella pubblica amministrazione, in particolare nelle strutture d’informazione delle Regioni - afferma in una nota il segretario generale della Fnsi, Franco Siddi - ci viene segnalato, soprattutto a seguito dell’iniziativa delle burocrazie interne ed in qualche caso anche degli amministratori, un uso strumentale e teso a colpire i diritti dei colleghi della sentenza della Corte Costituzionale n. 189 del 5 giugno 2007, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di alcune norme della legislazione regionale siciliana che prevedevano la diretta applicazione, ai giornalisti occupati negli uffici stampa degli enti locali, del contratto nazionale di lavoro giornalistico Fnsi-Fieg, di natura privatistica, con individuazione delle relative qualifiche professionali. Grazie al fecondo lavoro del Dipartimento uffici Stampa che ha operato nel precedente mandato e alla particolare iniziativa del Coordinatore Giovanni Rossi e del Presidente Mimmo Castellano, sembra utile offrire ai colleghi alcuni indirizzi di valutazione e di lavoro operativo. Nel merito della citata vicenda, peraltro già positivamente risolta in Sicilia con un accordo di natura sindacale che ha visto protagonista l’Associazione siciliana della stampa e l’Agenzia regionale per la contrattazione nel pubblico impiego, occorre svolgere alcune valutazioni, peraltro già diffuse a suo tempo della Fnsi attraverso un parere scritto del legale della Federazione, avvocato Bruno Del Vecchio. La sentenza della Consulta trae origine da tre giudizi civili promossi davanti al Tribunale di Marsala durante i quali il Giudice ha ritenuto rilevanti e non infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione ad alcune norme di legge statale (tra cui l’articolo 9 della legge n. 150 del 2000, sugli uffici stampa nelle pubbliche amministrazioni) degli articoli 58, comma 1, legge Regione Sicilia n. 33/1996, 16, comma 2, legge Regione Sicilia n. 8/2000 e 127, comma 2, legge Regione Sicilia n. 2/2002. Le norme contenute in tali articoli della legge regionale, avevano previsto la diretta applicazione (a prescindere, cioè, dalla contrattazione tra le parti sociali) del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico stipulato dalla Fnsi e dalla Fieg, ai giornalisti occupati negli uffici stampa degli enti locali, con l’attribuzione del trattamento contrattuale, a seconda dei casi, di capo servizio o di capo redattore. La Corte Costituzionale, dopo il relativo giudizio davanti ad essa - al quale ha preso parte la Regione Sicilia – con la sentenza ha ritenuto fondate, nel merito, le eccezioni di incostituzionalità delle norme regionali prima richiamate. Partendo dal presupposto che, ormai, anche il rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali “privatizzati” ai sensi delle leggi statali n. 421 del 1992 e n. 59 del 1997, è retto dalla disciplina generale dai rapporti di lavoro tra privati, la Corte Costituzionale ha affermato che, anche in tale materia, i principi fissati dalla legge statale sono fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di uguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti tra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a Statuto speciale (tale orientamento era stato già espresso dalla Consulta con le sentenze n. 282 del 2004, n. 106 e 234 del 2005). In particolare, dalla legge n. 421 del 1992, si deriva il principio (confermato anche dall’art. 45 del Decreto Legislativo n. 165 del 2001) che il trattamento economico dei dipendenti pubblici deve essere regolato mediante contrattazione collettiva anche all’interno delle Regioni a Statuto speciale, rappresentando ciò un limite alla loro potestà legislativa esclusiva. Rilevato, quindi, che le norme di legge regionale impugnate, si pongono in contrasto con il principio secondo il quale il trattamento economico dei dipendenti pubblici “privatizzati” deve essere individuato (e disciplinato) dalla contrattazione collettiva, esse devono dichiararsi incostituzionali in quanto, illegittimamente, determinano direttamente tale trattamento. Così, in sintesi, si è espressa la Corte Costituzionale nella sentenza n. 189 del 5 giugno 2007. Per quanto attiene agli effetti di tale provvedimento, ricordiamo che, per regola di carattere generale, la dichiarazione di incostituzionalità annulla la disposizione illegittima come se la stessa non fosse mai stata introdotta nell’ordinamento. Restano salvi soltanto i rapporti in precedenza definiti, in virtù della norma poi dichiarata incostituzionale, con una sentenza non più impugnabile e i cosiddetti “diritti quesiti” (i diritti, cioè, che sono già entrati definitivamente nel patrimonio di un soggetto). Inoltre, l’incostituzionalità riguarda esclusivamente le norme dichiarate tali dalla Consulta. Pertanto, anche se in altre Regioni italiane vi fossero norme di forma e contenuto analogo a quelle della Regione Sicilia, ora annullate, le stesse rimangono regolarmente in vigore finché una eventuale sentenza, ad hoc, della Corte Costituzionale non le dichiari incostituzionali (o, ovviamente, non pervenga una loro abrogazione) e tutti gli enti interessati, quindi, continuano ad essere obbligati alla loro piena applicazione. In ulteriore estrema sintesi: la sentenza della Consulta ha abrogato per legge solo le norme della Regione Sicilia e NON altre analoghe in vigore in diverse istituzioni pubbliche. Inoltre, e questo non può che essere positivamente valutato da un sindacato, la Corte ha affermato il principio che un trattamento economico non può essere imposto per via legislativa, ma deve essere frutto della contrattazione tra le parti. Eventualmente, quindi, per maggiore garanzia, là dove è in vigore una norma di applicazione del contratto Fnsi.-Fieg tale applicazione può essere accompagnata da una intesa sindacale che confermi tale scelta. Per ulteriore chiarezza: la Corte Costituzionale si è pronunciata su una norma di legge regionale, altra cosa, come è evidente, sono le deliberazioni di Enti pubblici diversi dalle Regioni. Tutto questo chiarisce, a nostro avviso, quanto siano allarmistici e dettati da una volontà ostile ai giornalisti gli atteggiamenti che ci vengono segnalati e che, facendosi scudo della sentenza della Corte, tendono a mettere in discussione, soprattutto in varie Regioni, l’applicazione del contratto Fnsi-Fieg".

@fnsisocial

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