Alcune considerazioni del presidente dell'Ordine dei giornalisti della Puglia, vista la preoccupante escalation di minacce e volgarità di stampo sessista e razzista nei confronti di colleghe, due delle quali pugliesi, che si sono occupate di immigrazione e accoglienza.
di Valentino Losito*
Il fenomeno delle minacce ai giornalisti e degli insulti razzisti e sessisti alle giornaliste che "osano" occuparsi dei temi dell'immigrazione e dei fenomeni di intolleranza e di razzismo sta assumendo dimensioni preoccupanti. Negli ultimi giorni è toccato alle colleghe Antonella Napoli, Tea Sisto e Silvia Dipinto subire attacchi violenti e carichi di indicibile odio in una terrificante spirale che i social amplificano a dismisura. Davanti a queste vicende, dalle coscienze ancora non rassegnate alla deriva barbarica dell’era elettronica sale prepotente la domanda di come porvi rimedio.
Questa riflessione non può non partire proprio dai giornalisti, cioè di quanti, operando nel mondo dell’informazione, contribuiscono alla formazione della pubblica opinione.
Se è vero, come ha detto Papa Francesco, che «i giornalisti scrivono la prima bozza della storia» è anche vero che i giornalisti, si pensi a quanti operano sui siti online dei giornali locali, scrivono spesso «la prima bozza della cronaca». Questo aumenta la loro, la nostra, responsabilità, perché la prima bozza della cronaca è quella che quasi sempre finisce per catturare l’attenzione, assai distratta e superficiale, dei lettori e ad influenzarne il giudizio sui fatti.
Ma per completezza nell’analisi e onestà intellettuale è necessario aggiungere che il giornalismo, l’informazione, costituiscono oggi solo un segmento, certo rilevante, ma non più esaustivo, del più vasto mondo della comunicazione globale, in cui ogni cittadino dotato di un personal computer e collegato a internet può scrivere e pubblicare liberamente e impunemente, seminando odio e violenza e avendo spesso nel mirino proprio i giornalisti. Deve essere chiaro che il web e i social non sono i luoghi dell'impunità.
Allora è giusto chiedersi: se i giornalisti sono tenuti al rispetto dei codici e delle carte dei doveri, in cosa consiste la deontologia della gente comune, nel tempo in cui il giornalista vincitore del Premio Pulitzer e l’incolto e rozzo leone da tastiera sono sostanzialmente sullo stesso piano?
Alcuni anni fa l’illustre giurista Stefano Rodotà, recentemente scomparso, lanciò la proposta per una carta dei diritti e dei doveri dei navigatori di internet perché “ogni persona ha diritto ad essere posta in condizione di acquisire e di aggiornare le capacità necessarie ad utilizzare Internet in modo consapevole per l'esercizio dei propri diritti e delle proprie libertà fondamentali”. C’è una passaggio fondamentale e dirimente in questa frase: “acquisire e aggiornare le capacità necessarie ad utilizzare internet in modo consapevole”. Ecco il punto: chi insegna e dove si impara ad utilizzare in modo responsabile e consapevole la “rete”? Penso al ruolo fondamentale, decisivo che in questo può, anzi deve, svolgere la scuola e con essa la famiglia e tutte le altre agenzie formative intermedie. È un passaggio fondamentale che rimanda a quella emergenza educativa che sta alla base della crisi sociale del nostro tempo.
Ma per tornare alla rete, vi è poi il problema di come perseguire i reati che vengono commessi online. La maggior parte di essi – come ricordava nei giorni scorsi il ministro della Giustizia, Orlando – sono a querela di parte. Cioè, bisogna che il soggetto interessato sappia di aver subito un danno. Non sempre è così. E non si può pensare, per l’immenso numero dei contenuti potenzialmente offensivi, che il pm possa procedere d’ufficio. Inoltre, sulla rete esistono spesso problemi di competenza territoriale per la natura transazionale del web e l’incertezza delle identità.
In Germania i social network che non rimuoveranno velocemente insulti e contenuti improntati all’odio rischiano una sanzione da 50 milioni di euro. Il Parlamento tedesco ha approvato la misura secondo la quale se 24 ore dopo aver ricevuto una segnalazione, il social non rimuove il post offensivo, rischia una sanzione milionaria; inoltre, il testo prevede che dopo la cancellazione degli insulti nei sette giorni successivi il social deve provvedere a bloccare altri contenuti offensivi.
Social media come Facebook, Twitter, LinkedIn e Instagram, incoraggiano da una parte la comunicazione e la libertà di espressione – anche e soprattutto per ragioni economiche – e dall’altra sono alle prese con l’utilizzo a vario titolo improprio della comunicazione sui social: dalle fake news utilizzate a fini politici alle frequenti ingiurie che costellano le time line dei profili e delle pagine dei social.
Vi è dunque una grande questione aperta sull’uso di internet, che deve avvenire con libertà e responsabilità, perché la rete possa mantenere – come auspicava Rodotà “il suo carattere di luogo di libertà e di democrazia, il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia conosciuto” e non sia invece il luogo di una nuova barbarie.
* Valentino Losito è il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Puglia