Il lombardo Ino Iselli, 68 anni, è stato riconfermato alla guida dell’Ungp (Unione Nazionale Giornalisti Pensionati) al termine del quarto congresso dell’Unione che si è svolto sabato 24 e domenica 25 novembre a Castellaneta Marina (Taranto). Vice presidenti sono stati eletti il romano Massimo Signoretti (37 voti) e il piemontese Antonio De Vito (35 voti)
Iselli ha ottenuto il voto di 40 dei 47 delegati. La riconferma di Iselli sancisce la conclusione unitaria del congresso cui si è giunti dopo un vivace dibattito. Al congresso dell’Ungp hanno partecipato anche il segretario generale della Fnsi, Paolo Serventi Longhi, il presidente della Fnsi, Franco Siddi, il presidente dell’Inpgi, Gabriele Cescutti, e il presidente della Casagit, Andrea Leone. Ai delegati del congresso è giunto un messaggio di Filippo de Jorio, coordinatore nazionale della Consulta dei pensionati che comprende 105 organizzazioni nazionali di categoria. Per Iselli si tratta del secondo mandato alla guida dell’organismo che raggruppa i giornalisti pensionati. Dopo l'elezione del presidente e dei vicepresidenti sono stati eletti anche i nove componenti del comitato esecutivo: Maurizio Mendia (Campania, 35 voti), Paolo Aquaro (Puglia, 35 voti) Claudio Cojutti (Friuli-Venezia Giulia, 33 voti), Romano Bartoloni (Lazio, 31 voti), Giuseppe Peruzzi (Toscana, 31 voti), Italo Furgeri (Lombardia, 30 voti), Francesco Brozzu (Sardegna, 29 voti), Dario De Liberato (Marche, 29 voti), Mauro Lando (Trentino-Alto Adige, 24 voti). Infine sono stati eletti i sette componenti del collegio dei revisori dei conti: Mario Petrina (Sicilia, 39 voti), Domenico Marcozzi (Abruzzo, 38 voti), Enzo De Virgilio (Calabria, 32 voti), Enrico Colavita (Lazio, 31 voti), Vanni Carisi (Veneto, 28 voti), Giacinto Borelli (Lazio, 27), Roberto Tafani (Liguria, 17 voti). “E' un buon viatico per il congresso della Federazione Nazionale della Stampa Italiana – ha dichiarato Iselli – la conclusione unitaria del congresso dell’Unione Nazionale dei Giornalisti Pensionati è un’ottima premessa per il congresso della Fnsi che si svolgerà nei prossimi giorni. I giornalisti pensionati hanno discusso con vivacità, spirito unitario e con impegno dei temi che li riguardano, ma che sono d’interesse di tutta la categoria. A cominciare da quelli relativi alla perequazione pensionistica, alla solidità dell’Inpgi e della Casagit”. IV CONGRESSO UNIONE NAZIONALE GIORNALISTI PENSIONATI Castellaneta Marina 24-25 novembre 2007 RELAZIONE AL CONGRESSO DI INO ISELLI Il caso ha voluto, o se preferite, il destino ha deciso, che la giornata d’inizio del nostro congresso coincidesse esattamente con un’altra ricorrenza, infausta quest’ultima: oggi è il millesimo giorno in cui i giornalisti sono senza contratto. E’ anche per questa ragione, simbolica certo, ma si sa quanto i simboli contino nella vita collettiva, che tocca proprio a noi, che siamo tutti (purtroppo) post-contratto per definizione e status giuridico, cominciare dal contratto. Due giorni prima che lo facciano coloro che ne sono titolati in prima persona, cioè i delegati al congresso della FNSI che inizierà lunedì in questa stessa sala. Io penso che questi tre anni, di congelamento delle relazioni e di sterilità sindacale non andranno facilmente dimenticati. Essi corrispondono sicuramente all’indisponibilità da parte degli editori, ma, in questa sede congressuale, credo che dovremmo riflettere, sui problemi di casa nostra e dirci, con la serenità necessaria, quello che va e quello che non va. Io non appartengo a quei colleghi che, soprattutto per ragioni elettorali, ritengono di far risalire la responsabilità dei nostri insuccessi esclusivamente al gruppo dirigente che ha retto le sorti della FNSI nei tre anni trascorsi. Ritengo invece che, se insufficienze ed incapacità esistono, esse vadano fatte risalire a qualcosa di più profondo, che è nella natura stessa del nostro sindacato, nella frantumazione che si sta consumando al suo interno, sempre più spaccato fra correnti, gruppi e sottogruppi, nel forte limite alla rappresentatività della categoria (Quanti giornalisti sono iscritti alla FNSI? Quanti iscritti votano per i congressi e le cariche sociali?) Nella stessa sopravvivenza di un Ordine professionale sclerotizzato, incapace di svolgere un ruolo qualsiasi, se non di sopravvivenza di se stesso e delle sue emanazioni. Del resto, viviamo tempi per così dire frantumati: incertezze, vere e proprie schizofrenie sovrintendono ai tempi ed alle scelte della politica in tutti i campi. Sconcertanti (e talvolta nevrotiche) incertezze della magistratura sovrappongono altri elementi di dubbio. Fragilità e violenza sembrano dominare ovunque: forse è possibile anche solo pensare che il nostro mondo non ne sia intaccato? Abbiamo fatto molti scioperi in questi tre anni ed anche con forti partecipazioni dei colleghi: nel corso di uno di questi mi è capitato di assistere in casa di un amico non giornalista ad un telegiornale aperto dalla lettura del comunicato sindacale da parte del rappresentante del CdR. Ebbene l’amico mi ricordava la battuta del comico Luttazzi di qualche anno fa, quella che diceva: “ Questo telegiornale va in onda in forma ridotta per venire incontro alle vostre capacità mentali”. Tutti, forse, abbiamo sorriso alla vecchia battuta, però tutti, quasi tutti, cerchiamo di eludere la domanda: quanto siamo credibili presso l’opinione pubblica? Quale grado di affidabilità hanno i giornalisti ed i prodotti del loro lavoro? Quanta gente si domanda (ormai da più di dieci anni) se certi scoop giudiziari sono da considerare un doveroso e democratico omaggio alla libertà di stampa, oppure il risultato di un gioco in cui la dignità del nostro lavoro viene spesso degradata al ruolo di portavoce di questo o di quell’interesse? La stampa italiana, si sa, ha, mediamente, scarsa fama di indipendenza: nulla di paragonabile a quella di altri Paesi, anglosassoni o meno. Questo si riflette nelle tirature e nelle vendite dei quotidiani a pagamento, nel successo insperato dei quotidiani gratuiti (usa e getta: possono scrivere quello che vogliono, tanto non costano nulla) ma spiega, almeno in parte, anche l’assoluta indifferenza dell’opinione pubblica nei confronti della nostra vertenza contrattuale. Avremmo potuto effettuare il doppio degli scioperi e nulla lo stesso sarebbe successo. L’incapacità di far comprendere i rischi di scadimento dell’informazione e della sua omogeneizzazione connessi a questa fase dell’innovazione tecnologica è stato uno dei limiti (e credo purtroppo lo sarà ancora) della nostra politica sindacale; quel limite che può rischiare di condurci in un angolo. Fatte le debite differenziazioni, come la FIOM: sindacato ancora con tanti iscritti, diretto da rispettabili persone, ma ibernato, perché la politica sindacale la fanno altri. Eppure, il grandissimo successo del libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, “La casta” dimostra come il vero giornalismo d’inchiesta, serio e documentato (oltre che ben scritto) viene bevuto dalla gente come il caffè. Ma quanto giornalismo così c’è sui grandi media e, invece, quanto pettegolezzo urlato e insultante? In nome dell’autonomia del mercato (e della professione) deve andar sempre bene così: tutto e il contrario di tutto? Queste, naturalmente, sono riflessioni in larga misura personali offerte alla riflessione di tutti che spero si vorrà fare anche in questo congresso. Per tornare al contratto ed ai problemi più consoni a noi pensionati, io ritengo che sia stata importante e valida (e lo sia ancora oggi) la scelta di introdurre nella piattaforma contrattuale la richiesta di dar vita al Fondo di perequazione delle pensioni alimentato da contributi degli editori. Se fosse realizzato, esso sarebbe uno strumento formidabile per la difesa delle nostre indennità dall’inflazione. Sarebbe anche, io credo, il primo esempio di solidarietà contrattuale rivolto a chi beneficiario del contratto non lo è e non lo può essere più. Anche questo fondo, come del resto tutti gli altri elementi contrattuali è congelato e non mi nascondo le difficoltà di realizzarlo in tempi brevi. Tutte le cose nuove, si sa, hanno difficoltà ad emergere: talvolta è difficile anche semplicemente comprenderle. Per alcuni è il nuovo in sé ad essere visto con diffidenza. Ma io ritengo che sarebbe un errore imperdonabile abbandonare la strada intrapresa. Credo si debba insistere, anche se a beneficiarne saranno i nostri nipoti. Perché questi benedetti nipoti, prima o poi dovranno svegliarsi e comprenderanno che, vista la pensione che loro riceveranno, o saranno capaci di difenderla dall’inflazione o, come si dice, saranno cornuti e mazziati. Il sistema pensionistico italiano, è caratterizzato dalla presenza di milioni di pensionati che percepiscono pensioni basse. Non tutte le situazioni sono simili e da considerare allo stesso modo. Tra questi pensionati, come ricordano gli esperti del settore, molti sono gli autonomi, che hanno volontariamente versato pochi contributi, che continuano la loro attività e che hanno, comunque, altre risorse; così come vi sono (vedi le pensioni baby nel pubblico impiego) pensioni frutto di scelte autonome di lavoratori con altre risorse individuali o familiari. Vi sono, tuttavia (anche fra i giornalisti) molti pensionati che hanno pensioni insufficienti per vivere ed il cui potere di acquisto è stato falcidiato soprattutto dagli effetti del passaggio dalla lira all’euro. Vi è certamente la necessità di un intervento immediato su queste pensioni cui, almeno in parte, supplisce l’accordo sul Welfare firmato a luglio e che prevede la cosiddetta “quattordicesima”: in media poco più di 300 euro a testa. Ma il problema della rivalutazione delle pensioni non si limita e non può limitarsi a questo. L’intervento annunciato riguarda un incremento delle pensioni più basse, mentre il nodo più complesso da affrontare è quello della rivalutazione annua di tutte le pensioni. Fino al 1992, ricorda l’esperto Maurizio Benetti sulla rivista “Eguaglianza & Libertà”, i trattamenti pensionistici “godevano di una doppia indicizzazione: la prima legata al costo della vita, la seconda legata all’andamento dei salari contrattuali dell’industria. La riforma Amato ha abolito questa seconda rivalutazione prevedendo la possibilità, per il governo, nell’ambito della legge Finanziaria, di concedere ulteriori incrementi oltre a quello del costo della vita. Mai nessuna Finanziaria lo ha fatto. “La rivalutazione ai soli prezzi (rivalutazione peraltro applicata nell’anno successivo ed al 100 per cento solo per gli importi fino a tre volte l’integrazione al minimo, cioè 1.282 euro lordi) significa in concreto che, con il passare degli anni dal pensionamento, la pensione perde di valore rispetto all’andamento delle retribuzioni che godono mediamente dell’incremento di produttività. Il altre parole, il pensionato non partecipa all’aumento della ricchezza nazionale e vede progressivamente diminuire il valore della sua pensione, rispetto a chi lavora. In termini di tasso di sostituzione una pensione pari al 70 per cento del salario al momento del pensionamento, si riduce al 63 per cento dopo dieci anni se le retribuzioni crescono dell’1 per cento in termini reali, al 60 per cento se crescono dell’1,5 per cento. Dopo 15 anni, il tasso di sostituzione nella due ipotesi scenderebbe rispettivamente al 60 ed al 56 per cento”. Ma se noi non possiamo ridere, chi verrà dopo di noi sarà costretto a piangere: “La perdita relativa subita dalle pensioni – dice ancora Benetti- è particolarmente grave oggi per le pensioni più basse e lo sarà per buona parte delle pensioni nel futuro sistema contributivo. Diverso è infatti perdere in valore partendo da tassi di sostituzione elevati, altro è subirlo con tassi di sostituzione più bassi in partenza.” Va comunque migliorata l’indicizzazione rispetto ai prezzi. “Il limite entro il quale la rivalutazione è totale, cioè 1.282 euro lordi, è troppo basso e decrescente nel tempo rispetto alle nuove pensioni. Questo limite,. Infatti cresce in base al costo della vita, mentre le nuove pensioni risentono positivamente anche degli incrementi retributivi reali. Le nuove pensioni sono quindi rivalutate in misura minore di quelle già in vigore.” Rispetto all’andamento salariale “una migliore indicizzazione sarebbe sicuramente molto costosa, dato che essa agirebbe sull’intero stock delle nuove pensioni. Andrebbe pertanto ridotto il suo ambito di applicazione (limiti di età e di reddito) e/o andrebbe reso effettivo quanto previsto dalla riforma Amato”. Infatti il governo (che, come si sa, ascolta sempre di buon grado il suggerimento degli esperti) ha applicato la riforma Amato ponendo (per il 2008) un nuovo limite: le pensioni superiori ad otto volte il minimo INPS (cioè circa 3.500 euro) non avranno alcuna indicizzazione ISTAT. Ho voluto soffermarmi sull’analisi di Benetti (un po’ tecnica certo ma molto efficace) soprattutto per due ragioni: la prima per sottolineare che, comunque si giri la frittata, il sistema di difesa del potere d’acquisto delle pensioni attualmente in vigore per norma di legge difende molto male quelle attuali ed ancora peggio difenderà quelle future. La seconda per rivendicare il valore della modifica al proprio regolamento che, nella scorsa primavera, ha adottato l’INPGI e che (in mancanza di adeguati provvedimenti generali da parte del governo e del Parlamento, o di accoglimento del Fondo contrattuale perequativo di cui abbiamo già parlato) rimarrebbe l’unico strumento (e l’Unione pensionati ha contribuito, con grande decisione, alla sua attuazione) per garantire nel tempo il valore monetario reale delle pensioni. “Il Consiglio di amministrazione –così recita il nuovo comma 11 dell’art. 7 del regolamento INPGI- determina le modalità di pagamento dell’importo annuo di pensione. Annualmente il Consiglio di amministrazione. Dopo l’approvazione del bilancio consuntivo e verificato l’avanzo di gestione, valuta la possibilità di accordare un’erogazione straordinaria a favore dei titolari di pensione diretta e di reversibilità”. Questo testo non è stato approvato dai rappresentanti degli editori e lo stesso presidente della FIEG Boris Bancheri ha fatto opposizione motivandolo con il timore di un tracollo delle finanze INPGI: proprio loro che hanno ritardato di un anno la riforma delle pensioni future, causando un bel po’ di risparmi mancati all’ente si sono accorti che, invece siamo noi pensionati la pietra al collo che farà annegare l’INPGI (non le casse integrazioni a gogò e i prepensionamenti a pioggia). Ebbene, la notizia di questi giorni è che il Ministero dell’Economia ha dato ragione agli editori e bocciato la modifica dell’art. 7, con una motivazione legata all’ipotesi di “stato di sofferenza” dell’Istituto che era stata prevista per il 2017, ma prima che entrasse in vigore la riforma delle future pensioni. La posizione del governo è, francamente sconcertante. Noi attendevamo con serenità e con fiducia l’approvazione del provvedimento, perché ritenevamo che esso fosse equo, motivato e garantito nella sua applicazione dalla saggezza degli amministratori unita alla nostra; perché tutti noi sappiamo che l’equilibrio finanziario dell’INPGI e la solidità delle sue riserve sono l’unica sicurezza per la durata nel tempo delle nostre pensioni. La risposta che abbiamo ricevuto è un sonoro schiaffo a tutti noi e credo che dovremo respingerlo con forza. Nel pomeriggio o domattina sarà con noi il presidente Cescutti e conosceremo meglio i dettagli della vicenda. Dovremo, comunque, senza alcun tentennamento, valutare l’ ipotesi di ricorso contro il decreto ministeriale (ammesso che siamo titolati a farlo) o dovremo chiedere all’INPGI di farlo. Comunque, lo ripeto, ritengo che sia una decisione grave e non validamente motivata e dovremo chiedere alla FNSI di esprimere l’iniziativa politica e sindacale che sono necessarie. Si parla molto, in questi ultimi tempi, di imposte sul lavoro dipendente. L’argomento è stato affrontato da Banca d’Italia e Confindustria, ma anche dalle maggiori centrali sindacali. Se è vero, come si sostiene, che operai, impiegati, dirigenti (e mettiamoci pure i giornalisti) più i pensionati, cioè l’immensa platea di chi è retribuito a reddito fisso, versano l’80 per cento del gettito IRPEF, si capisce come la situazione delle entrate fiscali sia insostenibile, troppo sbilanciata da questa parte, dalla parte di chi, come noi è condannato a non poter evadere le imposte. Comincia a farsi strada l’ipotesi che questi “forzati delle tasse” vadano in qualche modo tutelati anche da parte dei sindacati, direi soprattutto dai sindacati. Il leader della CGIL, Guglielmo Epifani, lo ha detto apertamente: lottare contro la pressione fiscale non è di destra né di sinistra, ma “è un’esigenza primaria per pensare di rappresentare il lavoro dipendente dei tempi moderni”. Lo stesso dirigente, in un momento successivo, ha poi voluto quantificare la sua proposta, chiedendo un provvedimento di legge che “diminuisca di 100 euro al mese il prelievo fiscale in busta paga”. Ad esso pare abbia risposto la Finanziaria in corso di approvazione nel punto in cui prevede che le prossime diminuzioni d’imposta vada indirizzate nei confronti del lavoro dipendente. Si tratta, ovviamente, da una parte di uno slogan sindacale, dall’altra di un impegno generico di un governo di cui nessuno probabilmente è in grado di scommettere nulla sulla durata e sulla capacità di effettuare riforme incisive nel campo fiscale (come in altri campi, del resto.) Si tratta, inoltre, di un tema che, se preso sul serio, comporta un impegno pluriennale, accompagnato dalla crescita di una cultura della legalità anche nel campo fiscale che dovrebbe comportare una vera e propria rivoluzione in Italia. Tuttavia un osservatore intelligente, come il collega Dario De Vico, sul Corriere della Sera, non ha mancato di sottolineato l’assoluta novità (definendola la “guerra giusta del sindacato”) di queste posizione, soprattutto riferendola ad una organizzazione, la CGIL appunto, abbastanza restia, spesso per le sue logiche interne, ad affrontare questi tipi di “guerre” considerate più lotte di contabili che vere e proprie “lotte di classe”. Invece di attardarsi a contrastare questo o quel punto del protocollo sul welfare “un sindacato che non si rassegni al proprio inevitabile declino deve far sua la battaglia per un fisco più equo.” E’ in grado anche il nostro sindacato di pensare in questo modo? O è troppo distratto da beghe di corrente, dalla disputa su questo o quel punto del contratto su cui mollare o non mollare con gli editori (che poi neppure ci prendono in considerazione)? Si scatenerà fra due giorni la guerra, finora rimasta latente, sulle responsabilità per il mancato contratto? Il mutamento ai vertici della FNSI, imposto dalle ferree leggi statutarie, si trasformerà in “guerra di successione” vera e propria? Noi ci auguriamo, naturalmente, del contrario e puntiamo a far prevalere la saggezza e l’unità e invitiamo i prossimi dirigenti della FNSI ad essere meno prigionieri del nostro mondo, a guardare con occhi interessati dove va il resto del mondo che mi pare un po’ più grande del nostro. Fra pochi mesi, a febbraio del prossimo anno, torneremo tutti alle urne per eleggere il nuovo Consiglio generale dell’INPGI, il quale, a sua volta, dovrà subito dopo eleggere il nuovo Consiglio di amministrazione e, poi il nuovo CdA dovrà eleggere il nuovo presidente: il mandato di Gabriele Cescutti, infatti, per vincolo statutario, scadrà inesorabilmente. Molte sono le novità cui ci troveremo di fronte: la possibilità di esprimere, per chi lo vorrà o lo saprà fare, il voto elettronico tramite collegamento al sito internet, l’aumento dei consiglieri assegnato ai pensionati (dieci al posto di nove) in un aumento generalizzato dei componenti il Consiglio generale, la necessità di candidarsi direttamente e personalmente attraverso la sottoscrizione della propria volontà direttamente all’INPGI. Comunque tutti abbiamo già ricevuto a casa le opportune informazioni da parte dell’INPGI stessa e quindi ritengo di non dovermi soffermare su questi aspetti della prossima tornata elettorale, se non per sottolineare che, a mio avviso, essa sarà forse la più importante di tutte e quante. Credo che in questa sede noi dovremo dire poche cose ma molto chiare: nessuno scherzo sull’INPGI, nessun gioco di potere, nessuna spartizione fra correnti, nessun suk o mercato arabo. Chi andrà a dirigerlo (soprattutto ai massimi livelli) dovrà dare le più ampie garanzie di capacità e di serietà. Non datemi dell’allarmista: abbiamo visto quello che è successo l’altra volta, lo spettacolo indegno cui abbiamo dovuto assistere, le decisione adottate solo sotto la minaccia del commissariamento. Mai più tutto ciò dovrà accadere. Troppi appetiti scatena (anche fra i pensionati), troppi amministratori improvvisa, per un “posto al sole” visibile e ben remunerato. Dovremo tenere gli occhi ben aperti a cominciare dalle elezioni; anzi, meglio sarebbe a cominciare dalle candidature. Alla fine del congresso di Saint Vincent (molti di voi lo ricorderanno) avevamo preso all’unanimità un impegno importante: unificare la quota d’iscrizione al sindacato per tutti i pensionati allo 0,30 per cento di ritenuta sulla pensione e suddividere per tre (FNSI, Associazione territoriale di appartenenza e UNGP) la cosiddetta “quota di servizio”. Ebbene, ora io vi devo rendere conto dello “stato dell’arte” al momento, di quanto è stato compiuto e di quanto deve ancora essere fatto. Tre anni fa erano quattro le Associazioni che chiedevano una ritenuta inferiore allo 0,30 ai propri iscritti pensionati: la Toscana, l’ Emiliana e la Ligure (che trattenevano lo 0,20) e la Lombarda (con la ritenuta dello 0,15). Appena la nostra modifica statutaria è stata ratificata dal Consiglio nazionale della FNSI, rendendola pienamente valida e vincolante per tutti gli iscritti e per tutte le Associazioni, i colleghi toscani (in piena intesa con la loro Associazione) sono partiti e, nel giro di poco tempo, all’inizio di quest’anno, hanno portato praticamente tutti i pensionati a firmare la delega all’INPGI per la ritenuta dello 0,30. Non solo: hanno raggiunto una convenzione con la loro Associazione che prevede l’assegnazione di una fetta della quota all’Unione (parte al gruppo, parte all’UNGP nazionale). Un po’ più tardi hanno iniziato i colleghi emiliani (sempre d’intesa con la loro Associazione): sono arrivati finora a coinvolgere all’incirca il 70% degli iscritti, mentre vi è l’impegno verbale con l’Associazione a giungere ad un’ intesa per la tripartizione. I liguri, invece, si sono , come dire, un po’ persi per strada: tuttavia ora si sono messi a correre ed in ottobre una trentina (sul centinaio di iscritti) hanno sottoscritto (sempre d’accordo con l’Associazione) la delega per lo 0,30. Il problema più complesso (e l’unico più astioso) si è avuto in Lombardia. Qui il presidente dell’Associazione si è duramente opposto all’aumento della quota ed ha trascinato il problema per un tempo inaccettabile esasperandolo. A nulla sono serviti le disponibilità che l’Unione ha in più occasioni dimostrato, gli interventi della Giunta esecutiva della FNSI (nella persona del collega Giovanni Rossi): saggezza e buon senso non paiono abitare a Milano. Alla fine l’Esecutivo dell’Unione ha prima deciso di inviare, comunque (anche nel dissenso illegittimo dell’Associazione) la delega con lo 0,30 ai circa 650 iscritti di fine 2006, raccogliendone il consenso di 304: poi ha deciso (perpetuandosi la testardaggine della Lombarda) il ricorso al Collegio nazionale dei probiviri. Il quale ci ha dato pienamente ragione. A questo punto, il presidente della FNSI, Franco Siddi, (cui pure avevamo inviato un ricorso), avendone la facoltà statutaria e dopo un incontro con l’Unione e le tre Associazioni interessate di cui abbiamo prima parlato, ha sostanzialmente assunto una soluzione transitoria, che prevede, comunque alla fine della transizione, che tutte le Associazioni (Lombarda compresa) adotteranno lo 0,30 per tutti i pensionati e che una parte delle quote di chi ha sottoscritto lo 0,30 potrà essere assegnata all’Unione. Nel frattempo, i colleghi che non hanno ancora sottoscritto lo 0,30 non saranno più iscritti all’Unione, ma rimarranno iscritti alla loro Associazione di appartenenza (ed ovviamente alla FNSI, alla quale tutti noi abbiamo sempre versato e continuiamo a versare la quota dello 0,10%). Chi è interessato, potrà trovare i testi dei probiviri, di Siddi e della Lombarda integralmente pubblicati sul numero di novembre / dicembre del nostro giornale che spero tutti abbiate ricevuto nelle cartelle. Debbo dirvi, cari colleghi, che questa vicenda è stata lunga, e piena di astio. Ha messo in luce ottusità che non avevamo previsto e ci ha costretto ad un dispendio di energie e di risorse francamente eccessive. Parlo, è ovvio, della “questione lombarda” o se preferite del “rito ambrosiano” che ha chiarito (se ce ne fosse ancora bisogno) i termini di una caratteristica che alligna, purtroppo, in molte parti del nostro sindacato: la mancanza di rispetto delle reciproche autonomie, dei ruoli diversi che si manifestano, pur appartenendo tutti, come si usa dire alla stessa “grande famiglia”. Rimane allo stato ancora un po’ troppo indeterminata la questione della cosiddetta “tripartizione” dello 0,30 fra FNSI, Associazioni e UNGP. Al momento, solo in Toscana essa è pienamente operante, mentre a Roma esiste un accordo fra Associazione e gruppo UNGP, i cui termini però io non conosco Ma appena dopo il congresso nostro e quello della FNSI, noi torneremo a difendere i nostri diritti e la legalità nella FNSI a Milano, così come andremo nella altre Associazioni, almeno dove esiste un numero significativo di colleghi pensionati per chiudere la vicenda della tripartizione. Per quanto riguarda l’andamento finanziario del triennio trascorso non ho cose molto complicate da dirvi: i nostri bilanci si sono retti sui finanziamenti dell’INPGI (che è giunto nel 2007 a 40 mila euro), sul contributo della FNSI di circa 4.800 euro (che dimezza l’affitto del nostro ufficio di Roma) e sulle quote dei soci aggregati (circa 20 mila euro da dividere con i gruppi regionali di appartenenza). Ciò è appena sufficiente per la nostra attività, che ha visto nel triennio i nostri bilanci in lieve perdita. Abbiamo, comunque, una buona riserva che ci permetterà di affrontare serenamente il periodo di transizione fino al traguardo della tripartizione delle quote d’iscrizione: almeno così mi auguro. Le spese per questo congresso sono invece garantite da un contributo dell’INPGI di 12 mila euro e da un intervento della FNSI fino ad un tetto di ulteriori 10 mila. Io, cari colleghi, sono ormai giunto alla conclusione di queste brevi note introduttive al nostro quarto congresso. Il mio mandato finisce qui, come del resto, quello dell’intero Esecutivo. Io sono a vostra completa disposizione. Il terzo congresso (quello di S. Vincent), lo ricorderete, si è concluso all’insegna di un grande sforzo unitario. E questo senso unitario sostanzialmente ha costituito lo spirito che ha retto la conduzione dell’Unione nei tre anni trascorsi. Mi auguro, e lo auguro a tutti voi, che un identico spirito unitario possa chiudere anche questo congresso. Raccomandazione votata all'unanimità I delegati riuniti a Castellaneta Marina nei giorni 24-25 novembre 2007, in occasione del IV Congresso Nazionale dell’Unione Giornalisti Pensionati, ribadiscono la loro fiducia per il lavoro svolto dalla dirigenza nazionale uscente. Raccogliendo le indicazioni emerse da molti interventi, i delegati sottolineano l’esigenza che la Casagit, pur tenendo conto delle attuali difficoltà di bilancio, mantenga la sua funzione solidaristica e no-profit a tutela dei colleghi e dei loro familiari. Inoltre sollecitano l’Ente a concentrare maggiormente le risorse abbandonando la politica dei piccoli e piccolissimi rimborsi a pioggia anche inserendo nel prontuario nuove patologie che colpiscono in particolare la terza età. Infine, si raccomanda un più rigoroso controllo sulle convenzioni stipulate con medici e strutture sanitarie, onde evitare, come purtroppo è avvenuto, casi di mala sanità denunciati da nostri iscritti.