Il giornalista può diffondere dati personali, anche senza il consenso dell'interessato, purché nei limiti del diritto di cronaca e, in particolare, quello «dell'essenzialità dell'informazione rispetto a fatti di interesse pubblico». Ribadendo un principio già consolidato, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Gianfranco Arman, l'ex comandante del corpo dei vigili del fuoco di Rovereto a cui la corte di appello di Trento aveva bocciato una domanda risarcitoria, basata su una diffamazione a mezzo stampa, dopo che la Sie (Società Iniziative Editoriali spa) e il direttore responsabile del quotidiano "L'Adige" avevano pubblicato il testo letterale di una sua telefonata, effettuata dall'ufficio del comando e abusivamente captata e diffusa.
Una vicenda che alla fine aveva determinato le sue forzate dimissioni prima dal corpo dei vigili e poi da dipendente del Comune di Rovereto, con anticipato pensionamento e conseguenti gravi danni alla salute. La corte di appello, con sentenza pubblicata nel settembre del 2014, aveva escluso ogni presupposto per la diffamazione, ritenendo che "L'Adige" avesse rispettato i limiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca (per interesse pubblico alla notizia, verità storica dei fatti riportati e continenza espositiva), aggiungendo che il provvedimento del Garante della privacy, che, coinvolto da Arman, aveva accertato l'illegittimità della raccolta della diffusione dei dati personali contenuti nella registrazione della conversazione telefonica, non poteva vincolare il giudice ordinario.
LA VICENDA
Al centro della vicenda, c'era la telefonata che nel luglio del 2006 Arman aveva fatto a un consigliere comunale di minoranza, del gruppo politico della Margherita, nella quale, esprimendosi in dialetto, chiedeva se, con riferimento all'Unione distrettuale dei vigili del fuoco, organismo di coordinamento locale del corpo del Trentino, dovendo essere rinnovata la carica di ispettore, era possibile avere degli appoggi, in modo da nominare una persona legata alla stessa area politica. Questa conversazione era stata poi riprodotta da terzi su un supporto magnetico e fatta veicolare all'assessore provinciale competente in materia, ad altre autorità e agli organi di stampa, tra cui "L'Adige".
LA SENTENZA
Per la Cassazione, i giudici di appello, «nell'effettuare il bilanciamento dei contrapposti interessi (tutela della riservatezza e diritto alla diffusione dei dati personali per esigenze di cronaca) ha espressamente riconosciuto che il diritto di cronaca è esercitabile entro limiti più ristretti di quelli generalmente validi per la tutela del diritto alla reputazione, poiché oltre alla verità dei dati, alla continenza dell'utilizzazione e all'interesse pubblico della notizia, si richiede il rispetto del limite «dell'essenzialità dell'informazione riguardo ai fatti di interesse pubblico».
E osservando questo criterio generale e quanto previsto dal codice deontologico, la corte di appello ha fatto riferimento «all'interesse pubblico, sebbene di rilevanza locale della notizia» e, sia pure implicitamente, «ha presupposto l'essenzialità, ai fini della diffusione della stessa, dell'unico dato sensibile (quello dell'orientamento politico di Arman) ricavabile dalla telefonata».
LA PRIVACY
Per il giudice di merito, insomma, «la notizia consisteva proprio nel fatto che vi era stata la telefonata e che aveva avuto quel determinato contenuto, il quale sarebbe risultato incomprensibile se depurato del riferimento all'area politica cui mostravano di aderire gli interlocutori». (Agi – Roma, 25 maggio 2017)