«È singolare che il presidente dell'Autorità garante della privacy definisca sciocchezze quelle che in realtà sono principi più volte stabiliti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in tema di pubblicazione di notizie coperte da segreto. Evidentemente non ha mai letto una sentenza della Corte di Strasburgo. Se lo avesse fatto, avrebbe facilmente dedotto che l'introduzione di una pena detentiva fino a tre anni a carico di chiunque, giornalisti compresi, dovesse rendere pubbliche notizie contenute in atti d'indagine considerati irrilevanti ai fini del processo, rappresenta una forma di bavaglio per i giornalisti».
Il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, risponde così alle affermazioni del Garante della Privacy, Antonello Soro che, a margine di un convegno in Sardegna, ha definito «un'enorme sciocchezza» voler interpretare come un bavaglio le nuove norme proposte dal governo in tema di intercettazioni, le quali invece sarebbero, a suo dire, solo «una modesta misura di cautela».
«La Corte europea dei diritti dell’uomo – fa notare Lorusso – ha più volte ribadito che il giornalista è tenuto a pubblicare tutte le notizie di interesse generale e di rilevanza sociale, anche se coperte da segreto, perché esiste il diritto dei cittadini ad essere informati. È vero che le intercettazioni sono materiale investigativo non a disposizione della stampa, ma quello che il Garante della privacy dimentica è che se il giornalista viene a conoscenza di una notizia di interesse generale contenuta in atti giudiziari coperti da segreto è tenuta a pubblicarla, perché non è compito del giornalista mantenere il segreto sulle notizie».
Tale obbligo, rileva ancora il segretario Fnsi, «grava semmai su chi per dovere d'ufficio deve custodire quegli atti e la violazione di tale obbligo non può in nessun caso essere addebitata a chi ha il dovere professionale di informare i cittadini, sempre nel rispetto della verità dei fatti e della dignità delle persone».
Una posizione che il sindacato dei giornalisti ha già ribadito in più occasioni. «Non vorremmo – aggiunge Lorusso – che la posizione del Garante della privacy fosse il retaggio della sua precedente attività parlamentare, perché il tentativo di imbavagliare la stampa nasce soprattutto in quei settori del mondo politico che trasversalmente mal sopportano l'attività di giornalisti e giornali che si occupano delle loro vicende».
In risposta al segretario della Fnsi, il presidente Soro osserva che «con riferimento al decreto, non ho mai espresso apprezzamento per alcuna nuova fattispecie penale volta a sanzionare (peraltro con la reclusione) la diffusione di conversazioni, contenute in atti d'indagine, ritenute irrilevanti ai fini del procedimento. Lo schema di decreto legislativo su cui il Garante ha reso parere e a cui mi riferivo, infatti, non introduce alcuna fattispecie penale di questo tipo. All'opposto, il decreto non introduce neppure quel divieto, previsto dalla legge-delega, di pubblicabilità di intercettazioni, realizzate mediante trojan, che abbiano coinvolto fortuitamente soggetti estranei al procedimento. Se su questo il nostro parere chiede una riflessione ulteriore, il mio apprezzamento era rivolto alle misure di cautela introdotte dal decreto per limitare l'ingresso, nel fascicolo processuale, di conversazioni ritenute irrilevanti, in particolare se contenenti dati sensibili. Non ravviso in tali misure violazioni dei principi affermati dalla Cedu, che anzi ha condannato Paesi, tra i quali il nostro, proprio per non aver adottato misure idonee a impedire la divulgazione di intercettazioni non rispondente a "pressanti esigenze sociali" e dunque non proporzionate secondo gli standard di una società democratica».
Le precisazioni del presidente dell'autorità Garante per la Privacy, tuttavia «non fanno venir meno neanche uno dei rilievi mossi dalla Federazione nazionale della Stampa. Lo schema di decreto sulle intercettazioni attualmente all'esame delle Camere – rileva il segretario Lorusso – tende a impedire proprio la pubblicazione di quelle notizie rispondenti a pressanti esigenze sociali perché impone la sordina su fatti che, per quanto non penalmente rilevanti, potrebbero comunque avere una rilevanza sociale e dunque essere meritevoli di essere portati a conoscenza dell’opinione pubblica. Si tratta di rilievi peraltro espressi da eminenti rappresentanti della magistratura e dell’avvocatura. Per rendersene conto sarebbe stato sufficiente leggere i giornali».