Quanto è accaduto e sta accadendo in questo scorcio d’anno nel settore della stampa non può essere considerata un’eccezione, né un momento di sbandamento della vessata categoria dei giornalisti. Da “vallettopoli” alla passeggiata del portavoce, dalla nouvelle vague degli immobiliaristi d’assalto, agli infortuni politico-finanziari-militari del Paese, siamo di fronte ad uno scardinamento etico, a ruvide scorrerie. La stampa ne esce massacrata.
Non è peraltro che il segnale allarmante di un accelerarsi della degenerazione etica-professionale che può travolgere e la categoria e tutto l’impianto del sistema informazione. La mancanza di un contratto nazionale del lavoro, l’incapacità dei dirigenti sindacali, e spesso degli stessi giornalisti, a condurre una qualsivoglia trattativa contrattuale o persino un confronto interno alle stesse loro istituzioni, per tentare un abbozzo di ammodernamento, è indice di un drammatico calo di tensione, di non volontà di reazione, di dissoluzione. Di fronte a quanto è accaduto in questi ultimi giorni si sono evidenziati problemi, persino a livello strutturale, di organizzazione del lavoro. Chi comanda che cosa nei giornali? Un direttore acquista e mette nel cassetto? Un vertice aziendale avalla o meglio ordina e avverte chi “di dovere” ? Allora quanto contano i capi dei giornalisti? E quanto impongono, invece, i dirigenti amministrativi? E qual è (o è stato) il ruolo di certe banche? Non è più questione di distribuire solidarietà; piuttosto di fare uno sforzo per tenere la schiena dritta. Nel silenzio delle dirigenze sindacali le ossa faranno un botto. E’ urgente finirla col politicamente corretto, con un pensiero unico che sta fallendo su ogni cosa. Il giornalismo riprenda il suo ruolo autonomo e professionale e respinga l’invadenza burocratica “da ogni parte provenga”. Maurizio Andriolo