Il quotidiano torna in edicola dopo due giorni di sciopero contro la decisione dell'editore di disdettare un accordo integrativo. «Un atto senza precedenti nella storia delle relazioni sindacali al Sole 24 Ore che devasta i rapporti tra azienda e sindacato», scrive la redazione in un comunicato rivolto direttamente ai lettori e alle lettrici del giornale.
Ecco di seguito la nota con cui i giornalisti spiegano le ragioni dello stato di agitazione, mentre è ancora in corso lo stato di crisi, dopo i tagli alle collaborazioni e ad alcuni importanti strumenti di lavoro, ma – soprattutto – di fronte a un piano industriale che «si traduce in una continua ricerca di taglio dei costi per mascherare l’incapacità di fare ripartire i ricavi o anche solo arrestarne la caduta».
Care lettrici, cari lettori,
Il Sole 24 Ore non è stato pubblicato per due giorni consecutivi, sabato 23 e domenica 24 dicembre. Per un totale di 4 giorni assenti dalle edicole, in un momento dell’anno importante per natura delle notizie (legge di stabilità, per esempio) e affollamento pubblicitario. Due giornate di sciopero decise dalla redazione, non certo a cuore leggero. Ma obbligate, davanti alla decisione dell’azienda di disdettare un accordo integrativo interno.
Si tratta di un atto senza precedenti nella storia delle relazioni sindacali al Sole 24 Ore, che compromette una già incerta stagione di (asserito) rilancio e devasta i rapporti tra azienda e sindacato. La disdetta avrà certo un effetto sulle retribuzioni, con profili assai discutibili: basti pensare che la voce economicamente più significativa tra quelle cancellate, non arriva nemmeno, quanto a dimensioni, alla buonuscita riconosciuta pochi mesi all’ex direttore Roberto Napoletano, il cui rapporto di lavoro si è accuratamente evitato di rescindere per giusta causa, malgrado i report interni segnalassero suoi significativi scostamenti dalle policy aziendali.
La mossa dell’azienda, che ha ignorato la disponibilità della redazione a un’intesa che neutralizzasse da subito gli automatismi contrattuali che avrebbero comportato un aumento del costo del lavoro, testimonia ancora una volta la volontà di procedere a interventi che hanno il comune denominatore di una mortificazione della redazione, che è invece elemento imprescindibile sul quale puntare per una risalita dei ricavi. Avviene a stato di crisi ancora in corso, con più di 35 colleghi in uscita in soli 10 mesi, con sensibili risparmi ottenuti grazie alla disponibilità di tutta la redazione; avviene dopo che azienda e direzione hanno proceduto a nuove assunzioni, contestate dalla redazione con la proclamazione dello stato di agitazione e un pacchetto di 5 giorni di sciopero, ancora prima di avere contabilizzato i risparmi ottenuti; avviene dopo i tagli alle collaborazioni e ad alcuni importanti strumenti di lavoro quotidiano, vedi agenzie di stampa e fotografiche; avviene soprattutto nella nebbia su progetti editoriali che facciano uscire il giornale dall’inerzia assoluta di 2 anni e più. Nulla da meravigliarsi allora se il piano industriale, già corretto in corso d’opera, si traduce in una continua ricerca di taglio dei costi per mascherare l’incapacità di fare ripartire i ricavi o anche solo arrestarne la caduta.
Un aumento di capitale già modesto rischia di essere inutile; tanto più perché accompagnato dalla vendita della quota di maggioranza dell’Area formazione, che priverà il gruppo di ricavi e marginalità. Tutto è fermo, drammaticamente fermo, malgrado le sollecitazioni del comitato di redazione che chiedeva almeno da settembre la messa in campo di iniziative editoriali visibili.