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Componenti Fnsi 13 Mag 2008

Edmondo Rho al convegno del Gruppo di Fiesole: “Autonomia professionale del giornalista, la nostra (fragile?) battaglia di libertà”

Dal sito di Quarto Potere l'intervento di Edmondo Rho al convegno del 'Gruppo di Fiesole', promosso da Autonomia e Solidarietà ma aperto anche a presenze di colleghi di altre componenti, o non schierati. Circa 80 giornalisti hanno partecipato tra il 9 e l'11 maggio 2008 al convegno.

Dal sito di Quarto Potere l'intervento di Edmondo Rho al convegno del 'Gruppo di Fiesole', promosso da Autonomia e Solidarietà ma aperto anche a presenze di colleghi di altre componenti, o non schierati. Circa 80 giornalisti hanno partecipato tra il 9 e l'11 maggio 2008 al convegno.

Intervento di Edmondo Rho (inviato di Panorama, consigliere Alg e Inpgi di Quarto Potere) al convegno: a venti anni dal 'Gruppo di Fiesole'. 10 maggio 2008 Care amiche, colleghe e compagne, cari amici, colleghi e compagni, uso quest'ultima espressione non a caso: perché oggi è così desueta, nel linguaggio 'politicamente corretto'. Vi ringrazio se consentite di chiamarci anche compagni, tra di noi, e vi ringrazio per aver allargato gli inviti a questo convegno a chi come me non partecipò più di venti anni fa all'esperienza del Gruppo di Fiesole. La mia matrice culturale è laico-socialista e proprio questa impostazione mi ha portato da sempre a collaborare, nei nostri organismi di categoria, con giornalisti di diverse culture: per esempio i colleghi cattolici di sinistra e comunisti che si ritrovarono qui, i cosiddetti 'fiesolini'. Da questo convegno non nascerà una nuova componente: vorrei invece contribuisse a rilanciare la difesa dei valori della nostra categoria, la credibilità e la forza della professione giornalistica. Senza nascondere i nostri punti deboli: futuro previdenziale incerto, stipendi spesso troppo bassi, precariato diffuso. Il mio non sarà un intervento sindacale: piuttosto, un ragionamento storico e d'attualità sulla nostra autonomia professionale. Nel 1986 si svolse il vostro primo convegno e tre anni dopo, nel 1989, fu abbattuto il muro di Berlino: il mondo stava decisamente cambiando. Passando dal macro al micro, nel 1990 a Milano fu sperimentata una nuova strada, con la gestione unitaria della Commissione sindacale dell'Alg, l'Associazione lombarda dei giornalisti: i responsabili erano due 'fiesolini' e due laico-socialisti, Marina Cosi, Carlo Maria Lomartire, Fabrizio Pignatel e il sottoscritto. Due anni dopo si svolgeva con un largo accordo unitario il Congresso Fnsi di Pugnochiuso, nel 1992, ricordato oggi anche da Gabriele Cescutti. A questo filo rosso sono legato personalmente anche perché alcuni esponenti storici del Gruppo di Fiesole, come Fabrizio Pignatel e Giampiero Beltotto, furono insieme a me nel 1999 tra i firmatari del documento di nascita a Milano di un nuovo movimento: Quarto Potere. Questo per ricordare chi siamo e da dove veniamo. E ragionare su dove andiamo. Perché non è detto che il futuro sia nelle nostre mani. Abbiamo diritti fragili, è stato ricordato nella tavola rotonda di ieri sera. Ma è una fragilità cresciuta, nel sistema mediatico, grazie anche ai nostri errori. E forse occorre una riflessione autocritica. Scusate, non ho il dono dell'auto-menzogna. Piuttosto, dedichiamoci tutti insieme all'auto-ironia: un ottimo modo per salvarci la vita, e per ricordare anni lontani in cui la nostra categoria contava ancora qualcosa. Il problema è che noi giornalisti siamo più fragili anche perché è crollato il sistema di valori nel quale siamo cresciuti. E la pigrizia intellettuale ci impedisce spesso di vedere quanto è evidente agli occhi di tutto il mondo. Ricordo il 6 maggio 1990: anche allora, alle elezioni regionali la Lega raggiunse il 20 per cento in Lombardia. All'epoca non esisteva internet: io mi trovavo in Messico e seppi del risultato due giorni dopo, sfogliando un quotidiano locale dello Yucatan che evidenziava nel titolo la vittoria de 'los lumbardos'. Rientrato in Italia, sfogliando il Corriere della Sera non trovai con la stessa chiarezza quanto avevo letto sul giornale messicano. Anzi, mi colpì un'intervista a Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio, che diceva in sintesi: "Non è cambiato nulla". Invece neppure due anni dopo arrivò il botto, con l'avvio dell'inchiesta milanese 'Mani pulite' sulla corruzione nella politica. Ma l'informazione italiana si era accorta di quanto stava accadendo? O la pigrizia, che è anche utile per 'non disturbare i poteri forti', ci aveva distolti dalle inchieste giornalistiche sull'argomento? Senza dimenticare che poi, anche Tangentopoli fu raccontata perlopiù nel conformismo. Con i pool dei giornalisti accodati al pool dei magistrati, nuovo 'potere forte' dell'Italia degli anni '90. Forse, la pigrizia ci impedisce di cogliere anche adesso quello che sta succedendo nella società italiana. Il successo della Lega alle elezioni politiche 2008 è arrivato inaspettatamente nelle redazioni. Perché? Noi giornalisti andiamo ancora meno in giro, adesso che c'è internet, dove apparentemente si trova tutto: ma non si trova la tendenza in atto nella società, evidentemente. Già: la Rete non registra gli umori di oltre il 50 per cento degli italiani che non sono mai andati online. E però votano: nonostante l'appello astensionista di Beppe Grillo, l'80 per cento degli elettori in Italia ha partecipato alle ultime elezioni politiche. Il dato più basso nella nostra storia, ma quasi il doppio rispetto alla partecipazione in democrazie più mature: in America e in Inghilterra spesso non si arriva al 50 per cento di votanti. Dall'analisi sui flussi elettorali in Lombardia, emerge che un elettore su cinque di Rifondazione comunista stavolta ha scelto la Lega: se non avete letto questa notizia, forse si deve al fatto che non abitate a Milano, perché il Corriere della Sera l'ha data nelle pagine di cronaca locale. Ci sono anche le responsabilità dei direttori: eviterebbero ora di mandare gli inviati nelle valli leghiste come allo zoo, se avessero capito prima i problemi veri della società italiana, in particolare la grande paura della globalizzazione che si accompagna alla rabbia per le inefficienze di un'assurda giungla amministrativa. Che il Federalismo non sia un fenomeno da baraccone ormai è chiaro a tutti: il costo della vita e la produzione non sono uguali in tutta Italia, perciò non è una bestemmia la differenziazione anche fiscale e salariale. Ma un conto sono i fatti, altra cosa le opinioni: e noi dobbiamo raccontare i fenomeni in atto nella società mantenendo la nostra autonomia professionale. Evitando il conformismo: quasi tutti hanno lodato il discorso 'politicamente corretto' pronunciato dopo la sua elezione a presidente della Camera dei deputati dal nostro collega giornalista Gianfranco Fini. Vorrei ricordare che un esponente socialista, Franco Grillini, già presidente dell'Arci Gay, ha invece attaccato Fini sostenendo che "la sua intemerata contro il relativismo etico rileva un'idea non condivisibile di democrazia e di libertà. Il laico Fini - aggiunge Grillini - sembra cedere alla vulgata che soltanto la morale cattolica, impersonificata dal papa tedesco, possa rappresentare quei valori assoluti che consentono di distinguere il bene dal male, ma in democrazia i valori fondanti sono quelli definiti dalla Costituzione Repubblicana e non da una religione. Il tanto vituperato relativismo etico - conclude Grillini - nelle democrazie liberali, è il nocciolo stesso della laicità e della libertà". Mi spiace sia mancato in seguito sui giornali un confronto su questo problema di grande rilevanza: forse è un po' troppo anti-conformista, ma certo dal dibattito è praticamente sparito il tema della laicità dello Stato. Insomma, il conformismo è a mio avviso uno dei maggiori nemici dell'autonomia dei giornalisti. E il problema si pone raccontando la politica e la società, ma ancor più - se possibile - descrivendo l'economia e la finanza. Vi faccio una domanda: i banchieri italiani sono di destra o di sinistra? La domanda è retorica, naturalmente: i banchieri fanno i loro interessi in maniera bipartisan e tra questi interessi c'è anche il controllo dell'informazione. Luigi Zingales, un economista italiano che lavora negli Stati Uniti, ha recentemente ricordato come da noi il sistema informativo non sia basato su una vera competizione: il problema riguarda in primo luogo la proprietà dei mezzi d'informazione, data la grande presenza in Italia di 'editori impuri'. A questo proposito ho molto apprezzato oggi l'intervento di Spampinato: si va dai banchieri agli industriali padroni dei giornali, al mostro bicefalo Rai-Mediaset generato dai conflitti d'interesse. Io lavoro a Panorama e non mi sfugge il problema: molti hanno ricordato la guerra di Segrate tra Berlusconi e De Benedetti per il controllo della Mondadori; io dico solo che tra i padroni dei giornali non ci sono 'poteri buoni' ma che si può anche uscire alla vigilia delle elezioni con la copertina su "difendersi dalle banche", come ha fatto il mese scorso Panorama: relegando Berlusconi a un richiamo in alto, lo stesso spazio riservato la settimana prima a Veltroni. Non sono solo le proprietà e la politica a limitare la nostra autonomia. In secondo luogo, ci sono i condizionamenti della pubblicità. E al terzo posto c'è anche 'l'interesse dei giornalisti stessi che distorcono l'informazione per ingraziarsi le proprie fonti', ricorda Zingales. E questo è un tema su cui dovremmo confrontarci, magari in un prossimo incontro, a Fiesole o al Circolodella Stampa di Milano. Mi piacerebbe discuterne con un direttore, Lanfranco Vaccari del Secolo XIX, che ha recentemente posto il problema del rapporto non edificante (così come è emerso in intercettazioni telefoniche) tra il giornalista e la fonte, e anche con due nostri colleghi, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, che descrivendo prima la 'Casta' e poi la 'Deriva' dell'Italia hanno dato un contributo a recuperare un valore alto e troppe volte dimenticato del nostro lavoro: la credibilità. E poi, c'è il fenomeno Beppe Grillo: sono d'accordo con Gabriele Cescutti che ha stigmatizzato la trasmissione AnnoZero. Aggiungo che l'autonomia professionale del giornalista va recuperata in primo luogo dentro di noi. Sì, nelle nostre coscienze e nei nostri organismi di categoria. E va capito perché oggi è sempre più minacciata dai poteri forti. Anche dal potere del giullare che vuole farsi re. Il tema del rapporto tra comicità e politica è interessante, basti pensare alla recente elezione del nuovo sindaco di Londra. Ma da noi, pare non occorra nemmeno presentarsi alle elezioni: un ottimo clown con reddito di oltre 4 milioni di euro può irrompere nel dibattito politico- mediatico come un guastatore, raccogliere finanziamenti con facilità e ottenere gratis lunghissimi spot in onda a spese del servizio pubblico televisivo. Non dimentichiamo che Michele Santoro ha sostenuto di aver dato tanto spazio, un po' troppo acriticamente, a Beppe Grillo, proprio perché è un 'soggetto politico'. Io direi che è un genio. Ma non vorrei che noi giornalisti facessimo invece la figura dei cretini. Dobbiamo affrontare con le inchieste giornalistiche anche i temi posti da Beppe Grillo. Come hanno fatto bene, per esempio, nei giorni scorsi gli approfondimenti dei programmi su La 7 e su Canale 5: il giornalismo ben fatto ci aiuta a capire quali mistificazioni ci sono nella battaglia contro gli inceneritori dei rifiuti e ci racconta la via italiana alla trasformazione dell'immondizia in business, con gli incentivi che paradossalmente rendono poco conveniente anche la raccolta differenziata! Non solo: grazie all'inchiesta di 'Matrix' su Canale 5 abbiamo appreso (a notte fonda, purtroppo) che non sono 113 le basi americane in Italia, come ha gridato Grillo riprendendo vecchi dati diffusi su internet, bensì tra 7 e 9, a seconda che si intendano quelle degli Usa o della Nato. E in alcuni casi le basi coincidono: come a Sigonella, dove il problema della nostra sovranità territoriale emerse molto bene fin da quell'episodio, nel lontano 1985, in cui i militari italiani e americani arrivarono a fronteggiarsi. Già: il problema lo spiegò Bettino Craxi, all'epoca presidente del Consiglio, con una telefonata di fuoco a Ronald Reagan. Ci vuole qualche inchiesta, un po' di memoria, e non solo un Grillo parlante, per capire come si è trasformata la società italiana e quali problemi sono rimasti irrisolti. E il compito del giornalismo non è forse anche quello di capire, e di far capire al pubblico, problemi complessi? Ma per capire bisogna prima di tutto ragionare. Il giornalismo oggi deve riscoprire la ragione come fondamento del nostro lavoro. Forse è il caso di ripartire da 'Cogito, ergo sum'. Concludo il ragionamento parlando brevemente dei nostri organismi di categoria. La novità positiva con cui si è aperto il 2008, l'unità nella Fnsi e nell'Inpgi, non deve farci dimenticare le difficoltà, sia contingenti, sia strategiche. Sul nostro contratto, ricordo solo che bisogna evitare di far finta di abitare in un Paese diverso dall'Italia: se Cgil, Cisl e Uil propongono alle imprese e al governo un nuovo modello di contrattazione, dando molto più spazio al livello aziendale o territoriale, anche la Fnsi deve fare una riflessione sull'argomento. Inoltre occorrerà, nel rinnovo contrattuale, anche valutare come ottimizzare per i giornalisti i benefici fiscali della detassazione in arrivo su straordinari e produttività. E dare alla parola flessibilità un contenuto che non significhi precariato. C'è anche, e soprattutto, da salvare il welfare della nostra categoria: l'Inpgi e la Casagit sono due perni importanti della nostra autonomia, e diventerà sempre più importante anche il Fondo di previdenza complementare da integrare necessariamente con la previdenza di base. I prossimi 10 anni saranno decisivi per salvare la Fnsi e l'Inpgi. Questa è una battaglia di libertà, non una pura difesa corporativa: tutelare l'autonomia professionale e il welfare di categoria aiuta a dar voce a una informazione meno condizionata. Ma dobbiamo cominciare a crederci davvero, e imparare a comunicare meglio queste cose all'opinione pubblica: non possiamo essere percepiti come la 'Casta dei giornali' e poi, impauriti dalla mancanza di credibilità, scimmiottare Beppe Grillo. In mezzo a tante difficoltà, vedo uno spiraglio di luce: oggi non c'è più quell'anomalia lombarda che negli ultimi trenta anni ci ha diviso. Già, quest'anno non c'è solo il vostro ventennale, che in realtà si celebra dopo 21 anni e mezzo, ma anche un altro anniversario: quello di Stampa Democratica fondata a Milano da Walter Tobagi nel 1978. E non va dimenticato che il Gruppo di Fiesole nacque dopo la storica sconfitta di 'Rinnovamento sindacale' che si sciolse dopo il congresso Fnsi di Acireale del 1986. Oggi si può superare quella storia di divisioni, che ci ha accompagnato anche nell'ultimo decennio. Quarto Potere, che nacque come movimento trasversale, si propone di riprendere il cammino e di aggiornarlo: nella nostra categoria un nuovo progetto riformista può persino unire, sui contenuti, chi militò nella Sinistra e nella Destra sociale. Quelle divisioni vanno superate perché, anche per il giornalismo e la sua rappresentanza, l'alternativa è tra rinnovarsi o perire. C'è concretamente il rischio che l'anno prossimo i referendum spazzino via l'Ordine dei giornalisti, le leggi di finanziamento all'editoria, la legge Gasparri. Ma anche in quel caso noi non moriremo. Perché la libera informazione, un po' come l'Araba fenice, risorge sempre dalle sue ceneri quando qualcuno cerca di bruciarla.

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