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Unione Europea 20 Nov 2012

Corrispondente di Aki-Adnkronos International da Damasco: “Così racconto l'inferno della mia città”

"I giornalisti in Siria si confrontano con enormi difficoltà, soprattutto quelli siriani che lavorano per i media internazionali. Le loro notizie sono ritenute pericolose, sono sottoposte al controllo degli apparati di sicurezza e governativi e ogni giornalista viene convocato per essere interrogato se una sua notizia non è piaciuta agli organi competenti, anche se si tratta di una notizia che si limita a raccontare un fatto, senza esprimere alcun punto di vista". Così Bassel al-Oudat, corrispondente di Aki-Adnkronos International da Damasco, racconta il suo lavoro a 20 mesi dall'esplodere delle violenze nel suo paese.

"I giornalisti in Siria si confrontano con enormi difficoltà, soprattutto quelli siriani che lavorano per i media internazionali. Le loro notizie sono ritenute pericolose, sono sottoposte al controllo degli apparati di sicurezza e governativi e ogni giornalista viene convocato per essere interrogato se una sua notizia non è piaciuta agli organi competenti, anche se si tratta di una notizia che si limita a raccontare un fatto, senza esprimere alcun punto di vista". Così Bassel al-Oudat, corrispondente di Aki-Adnkronos International da Damasco, racconta il suo lavoro a 20 mesi dall'esplodere delle violenze nel suo paese.

Venti mesi che hanno visto l'uccisione di "almeno 80" suoi colleghi in tutto il paese.
"Il giornalista può essere trasferito facilmente al tribunale per il terrorismo - dice Oudat, che ha visto la morte in faccia ieri, quando la sua casa è stata distrutta da un razzo - poiché la legge sul terrorismo varata nei mesi scorsi dà agli organi di sicurezza la facoltà di arrestarlo, di sequestrare i suoi beni e di metterlo in carcere per poi trasferirlo a giudizio per sostegno al terrorismo o per la diffusione di notizie che danneggiano lo Stato. L'accusa si fonda sempre sulla pubblicazione di notizie che gli apparati di sicurezza hanno interpretato come un aiuto ai terroristi".
"Secondo gli attivisti per i diritti umani, sono più di 100mila i siriani trasferiti al tribunale per il terrorismo". E non si contano le altre forme di repressione e di censura, come l'oscuramento di canali televisivi e siti di informazione. Anche il sito di Aki non è accessibile dalla Siria, come quelli di al-Jazeera, al-Arabiya, al-Shark al-Awsat o dei più noti social network.
"Ogni giorno i giornalisti corrono rischi enormi - continua Oudat - non possono circolare nelle aree in cui si svolgono gli scontri se non con un accompagnatore ufficiale che stabilisce il percorso da seguire e non permette di muoversi  liberamente, ma che non è responsabile nel caso in cui il reporter venga ferito, ucciso o aggredito. Secondo le organizzazioni siriane per i diritti umani, dall'inizio della rivolta 20 mesi fa sono morti in Siria più di 80 giornalisti siriani, arabi e stranieri. A decine sono stati arrestati, molti sono in carcere da mesi senza processo".
Sulla sua esperienza di ieri, quando un missile ha colpito la sua abitazione, distruggendola, il giornalista, che ha due figlie adolescenti, racconta: "Fortunatamente nessuno era in casa. Le forze dell'esercito sono arrivate poco dopo l'esplosione, hanno prelevato i resti del missile e sono andate via senza avviare alcuna indagine né valutare i danni. Il loro compito era solo quello di prelevare i resti del missile e andarsene. Nessun altro organismo si è preoccupato di effettuare un'inchiesta, di valutare i danni o di capire chi abbia lanciato il razzo o perché sia stata colpita proprio la mia casa e non un'altra".
Il giornalista esprime "un ringraziamento" al ministro degli Esteri, Giulio Terzi, che, alla notizia del missile contro la sua abitazione ha 'twittato' un messaggio di solidarietà. "Grazie per la solidarietà espressa - dice - spero che in Italia e nel Mondo si mantenga alta l'attenzione su quanto sta accadendo in Siria", nonostante i tragici eventi di Gaza che in queste ore hanno distolto molti media dalle violenze siriane.
"È la prima volta che viene bombardata un'abitazione in quella zona (il quartiere centrale al-Mezzeh, che ospita molte ambasciate, residenze diplomatiche e ministeri, ndr). Ed è difficile stabilire chi abbia lanciato il razzo. Gli scontri e i bombardamenti si verificavano solitamente in una zona che dista circa due chilometri dall'area in cui abito, ma si avvicinano sempre più e da un mese gli elicotteri sorvolano gli edifici della zona e bombardano le aree limitrofe, soprattutto perché l'aeroporto militare del Mezzeh confina con la zona e dista solo poche centinaia di metri dagli edifici residenziali".
Sulla situazione che si vive nella capitale siriana, dove l'eco delle violenze in corso nel resto del paese è arrivato con alcuni mesi di ritardo, Oudat spiega che "gli scontri armati sono iniziati cinque mesi fa e riguardano i quartieri meridionali e orientali. In questo lasso di tempo, si è assistito a un'escalation e l'esercito regolare ha preso a bombardare queste aree con l'artiglieria, i razzi e gli elicotteri, provocando danni enormi". "Parallelamente, si sono moltiplicati in tutti i quartieri di Damasco i check-point, che a volte sono rafforzati da carri armati, mezzi corazzati e armi pesanti.
A volte questi check-point bloccano le strade, perquisiscono le vetture e controllano i documenti, soprattutto dopo il verificarsi di attentati con autobomba".
"Le autorità temono che i combattimenti arrivino nel cuore della città, come è già avvenuto ad Aleppo. Già ora gli abitanti di Damasco sentono l'eco dei bombardamenti giorno e notte e dopo il tramonto sono restii ad uscire di casa, salvo per recarsi in centro o nei quartieri relativamente più tranquilli. Molti siriani - conclude - sono ormai in grado di distinguere il rumore provocato da un colpo di artiglieria da quello di mortaio, dall'esplosione di un autobomba o da un bombardamento aereo".   (DAMASCO, 20 NOVEMBRE  - ADNKRONOS/AKI)

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