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Fnsi 13 Dic 2008

Contratto, la voce dei Cdr - Marco Gardenghi (Cdr Resto del Carlino): "Mobilità e scatti di anzianità sono i due nodi da sciogliere per una stretta finale sul contratto" Daniele Carlon (Cdr Finegil Veneto): "Precariato e lavoro autonomo i pu

La redazione del sito www.fnsi.it ha pensato che possa essere utile aprire uno spazio ai Cdr che desiderano esprimere il proprio punto di vista sulla trattativa sindacale per il rinnovo del contratto di lavoro dei giornalisti italiani. La Conferenza Nazionale dei Comitati di Redazione, tenutasi giovedì 11 dicembre 2008 a Roma, ha dato alla Segreteria della Fnsi ampio mandato per portare avanti senza indugi la trattativa (indicazione che il vertice aveva già avuto dal Consiglio Nazionale e dalla Giunta). In questa sede ci si propone di raccogliere idee, approfondimenti e suggerimenti dei quali tutti abbiamo sempre bisogno specialmente in una fase tanto difficile e delicata come quella che la categoria dei giornalisti sta attraversando. Pubblicheremo alcuni degli interventi di colleghe e colleghi alla Conferenza dei Cdr e contributi che ci manderete all'indirizzo "infofnsi@tin.it". Consapevoli delle diverse idee che si confrontano anche all'interno degli stessi Cdr, cercheremo di dare ampio spazio alla discussione, a quella vera, che si pone al di fuori di ogni intento strumentale. Dopo Daniela Stigliano, Daniela Scano e Claudio Gerino, ospitiamo volentieri l'intervento di Carlo Verna, segretario dell'Usigrai, la redazione della Gazzetta del Mezzogiorno in stato di agitazione, Vincenzo Varagona del Cdr della Rai di Ancona, l'Assemblea generale dei giornalisti Mondadori e Maria Ausilia Boemi del Cdr de La Sicilia di Catania. Daniele Carlon, portavoce del Cdr della Finegil Veneto (Mattino di Padova, Tribuna di Treviso e Nuova Venezia), e segretario del Sindacato giornalisti del Veneto. Oggi pubblichiamo l'intervento di Marco Gardenghi, del Cdr del Resto del Carlino, esponente della Giunta esecutiva della Fnsi.

La redazione del sito www.fnsi.it ha pensato che possa essere utile aprire uno spazio ai Cdr che desiderano esprimere il proprio punto di vista sulla trattativa sindacale per il rinnovo del contratto di lavoro dei giornalisti italiani. La Conferenza Nazionale dei Comitati di Redazione, tenutasi giovedì 11 dicembre 2008 a Roma, ha dato alla Segreteria della Fnsi ampio mandato per portare avanti senza indugi la trattativa (indicazione che il vertice aveva già avuto dal Consiglio Nazionale e dalla Giunta). In questa sede ci si propone di raccogliere idee, approfondimenti e suggerimenti dei quali tutti abbiamo sempre bisogno specialmente in una fase tanto difficile e delicata come quella che la categoria dei giornalisti sta attraversando. Pubblicheremo alcuni degli interventi di colleghe e colleghi alla Conferenza dei Cdr e contributi che ci manderete all'indirizzo "infofnsi@tin.it". Consapevoli delle diverse idee che si confrontano anche all'interno degli stessi Cdr, cercheremo di dare ampio spazio alla discussione, a quella vera, che si pone al di fuori di ogni intento strumentale. Dopo Daniela Stigliano, Daniela Scano e Claudio Gerino, ospitiamo volentieri l'intervento di Carlo Verna, segretario dell'Usigrai, la redazione della Gazzetta del Mezzogiorno in stato di agitazione, Vincenzo Varagona del Cdr della Rai di Ancona, l'Assemblea generale dei giornalisti Mondadori e Maria Ausilia Boemi del Cdr de La Sicilia di Catania. Daniele Carlon, portavoce del Cdr della Finegil Veneto (Mattino di Padova, Tribuna di Treviso e Nuova Venezia), e segretario del Sindacato giornalisti del Veneto. Oggi pubblichiamo l'intervento di Marco Gardenghi, del Cdr del Resto del Carlino, esponente della Giunta esecutiva della Fnsi.

Marco Gardenghi: "Il contratto è uno strumento necessario pur nella sua troppa diffusa inefficacia? Come si può affermare sensatamente il contrario e quindi ritenere che non firmare alcuna intesa con gli editori possa essere una testimonianza di forza dei giornalisti italiani? Eppure il dibattito che specie nelle ultime settimane ha coinvolto la categoria sulla opportunità di sottoscrivere un accordo con la Fieg in presenza di alcune insopportabili richieste degli editori, quali flessibilità e costo del lavoro, deve spingere ad ulteriori riflessioni chi si accinge a tentare una stretta finale con gli editori per evitare di entrare nel quinto anno di vacanza contrattuale. In particolare, a mio avviso, sono due i nodi da superare per arrivare ad un'intesa con la controparte: la mobilità e gli scatti di anzianità. Sulla mobilità è difficile ritenere accettabile la posizione di quegli editori che chiedono alla Fnsi di firmare un accordo nel quale si dia la più ampia possibilità di trasferire chiunque per qualsiasi motivo (la formula proposta dagli editori di fatto nasconde la necessità di disporre del personale giornalistico secondo la volontà incontestabile delle aziende). La mobilità all'interno di ogni gruppo permetterebbe in moltissimi casi di instaurare all'interno delle aziende editoriali quel clima di intimidazione e di ricatto che si viveva nell’industria negli anni '70 quando il trasferimento era uno strumento per sbarazzarsi di soggetti scomodi o semplicemente poco servizievoli. Permettere questo tipo di mobilità agli editori significherebbe cancellare ogni forma di reale autonomia delle redazioni. Sugli scatti di anzianità, so bene che buona parte della categoria vorrebbe non mollare nemmeno di un millimetro la posizione attuale che, va detto, non vede alcun soggetto al fianco della Fnsi, Tutti quanti (Governi, partiti, istituzioni ed imprenditori) non perdono occasione per sottolineare l'anomalia del meccanismo degli scatti giornalistici, sia per quanto riguarda il numero massimo (15), sia soprattutto per il loro calcolo in percentuale. Ma quello che gli editori e gli altri soggetti che più volte hanno sottolineato l’“anomalia” degli scatti del contratto giornalistico è che tale strumento resta l'unico elemento di perequazione e di avanzamento salariale per gran parte di colleghi che, per i soliti motivi e sempre indipendenti dalla volontà degli stessi colleghi, finiscono per restare redattori ordinari tutta la vita. Vorrei chiarire che non sono contrario a rivedere i meccanismi che stanno alla base degli scatti di anzianità, purché tale eventuale riscrittura avvenga secondo criteri di solidarietà che non penalizzino i più deboli. Un caporedattore con un ricco stipendio può anche vedersi ridotto lo scatto, ma tutto ciò deve servire a non penalizzare i più giovani e coloro che sono rimasti al primo gradino della carriera. Marco Gardenghi cdr "il Resto del Carlino" Daniele Carlon: "Se i giornalisti dipendenti hanno grossi problemi dopo 4 anni senza contratto, i colleghi senza occupazione stabile (precari, free-lance, co.co.co., partita Iva, presunti occasionali) sono certamente i più a rischio in una fase non breve di crisi che si prospetta nel 2009-2010.Vorrei soffermarmi ad esaminare in particolare questo capitolo. Altri hanno già trattato la materia per quanto riguarda i colleghi a tempo indeterminato. All'Ergife si è posto questo problema ma indicando poche vie credibili e praticabili. Io ritengo che il progetto più serio messo in campo a livello sindacale sia quello dell'Usigrai con l'accordo per la stabilizzazione del bacino dei precari che è riuscito anche a limitare i danni delle nuove leggi entrate in vigore ad agosto. Modello giustamente preso ad esempio dalla Fnsi ma poco praticato (sempre per l'intransigenza degli editori) nella carta stampata. Alcuni Cdr hanno tentato di affrontare il problema e alcune cose interessanti sono emerse. Porto alcuni esempi sperando che altri possano indicare soluzioni per evitare che il lavoro dipendente a tempo indeterminato diventi una riserva indiana. La pianta organica. E' il punto di partenza ma anche la linea difensiva di ogni cdr. In attesa del contratto sulla multimedialità o sulla multitestata sono stati fatti accordi aziendali con piccoli ma significativi risultati in termine di organico: l'Arena di Verona ha avviato una fase di sperimentazione con la stabilizzazione di due colleghi precari assunti a tempo indeterminato e il Giornale di Vicenza ha seguito a ruota con l'assunzione di un altro precario storico del quotidiano. Analoga procedura è stata seguita nel dorso del Corriere Veneto. Il 22 dicembre il Gazzettino ha avviato il proprio sito internet impiegando due colleghi a tempo determinato per 1 anno. Nei quotidiani Finegil veneto l'avvio del sito è stato bloccato perché l'editore non intendeva investire con assunzioni in questo campo. Fino ad oggi abbiamo marcato la nostra linea del Piave quando alcuni colleghi hanno lasciato l'azienda. Il consigliere delegato aveva cercato di portare avanti la procedura in atto in molte testate del gruppo Finegil-Espresso-Repubblica. Quando un collega lasciava il posto di lavoro veniva rimpiazzato con un contratto a tempo determinato di 1 anno, poi rinnovato per un altro anno e alla fine assunto a tempo indeterminato. Noi lo abbiamo impedito e riteniamo che anche in questo modo si salvano gli scatti di anzianità per i “giovani”. Si evitano poi situazioni come quella del Gazzettino dove un giorno l'editore ha lasciato a casa i “precari”, messo in crisi l'organizzazione della redazione e si stupisce se le decine di colleghi rimasti fuori dalla porta dopo aver lavorato per anni in redazione fanno causa con l'assistenza dell'Associazione regionale di stampa. Si tutelano i precari dell'azienda anche intervenendo nei casi di colleghi disposti ad accettare un incentivo all'esodo. Nella Finegil veneta i colleghi assistiti dal Sindacato nell'uscita in base a un accordo con il Consigliere delegato e con i direttori sono stati sempre rimpiazzati con contratti da subito a tempo indeterminato e la promessa mantenuta dai direttori di assumere tra il nostro bacino precari. Per quanto riguarda il lavoro autonomo, sul piano strettamente contrattuale siamo fermi all’accordo sul lavoro autonomo” sottoscritto dalle parti nel contratto del 2000, scaduto da quasi 4 anni. La novità più rilevante è invece la delibera dell’Inpgi sui giornalisti coordinati e continuativi che armonizza le aliquote previdenziali a quella dell’ Inps ponendo l’obbligo della contribuzione a carico del editore e non come ora del collaboratore. L’Inpgi ha dato corso quindi all’accordo sul welfare dei giornalisti autonomi siglato al Ministero del lavoro dalla Fnsi e la Fieg il 20 settembre 2007 dopo una lunga trattativa. Un vero successo del sindacato dei giornalisti sul fronte più debole. Ancor più difficile affrontare come Cdr il problema dei collaboratori. Gli editori infatti tentano di non riconoscere ai Cdr la rappresentanza dei collaboratori anche se tale rappresentanza trae origine proprio dal Contratto del 2000 e precisamente dall’accordo sul lavoro autonomo. Nel Veneto alcuni colleghi non se la sono messa via dopo essere stati messi alla porta quando hanno presentato richieste per migliorare le condizioni di lavoro dei collaboratori. E' il caso dell'Arena di Verona. Il merito va ad alcuni collaboratori, anzi ad alcune colleghe molto toste. Hanno creato un coordinamento, fatto un paio di riunioni con l'aiuto dell'Associazione veronese della stampa (nel Veneto l'Associazione regionale è strutturata in federazione anche a livello provinciale), hanno creato una mailing list e alla fine si sono presentate con i fiduciari sindacali (che guarda caso erano anche membri del cdr) al tavolo dell'editore con le loro richieste. Dopo un paio di incontri hanno ottenuto condizioni riguardanti una distinta chiara dalla quale capire come vengono pagati i pezzi, tempi di pagamento adeguati, un rimborso spese aggiornato e una valutazione dei pezzi che tenga conto dell'impegno e dell'eventuale lavoro festivo e notturno. L'editore ha anche riconosciuto al tavolo una rappresentante dei collaboratori regolarmente eletta all'interno del coordinamento. Mi sembra un piccolo eccezionale risultato. Di fronte c'era però un editore conscio che la sua fortuna proviene dal lavoro non solo dei giornalisti assunti ma anche dal ruolo determinante dei collaboratori. Venendo all'assemblea dei Cdr di Roma, in quella sede sono emerse indicazioni divergenti sulla strategia da adottare per affrontare la difficile fase congiunturale che abbiamo davanti. Da una parte c'è chi ritiene utile abbandonare il tavolo della trattativa perché teme di perdere in questa fase diritti normativi ed economici. Dall'altra chi è disposto a rischiare per avere un contratto possibile (ma non a tutti i costi). Che vuole governare con un nuovo contratto il cambiamento inevitabile della professione e dei cicli produttivi del settore ampiamente in crisi e in trasformazione. Questi cdr sono convinti che l'arroccamento sul contratto scaduto e datato sia una scelta perdente. I poteri forti, alias editori, in mancanza di una normativa nazionale avrebbero gioco facile a spazzare via le resistenze sindacali aziendali e il vecchio contratto in pochi anni diventerà un ricordo dei “bei tempi passati”. Questo senza considerare gli interventi negativi legislativi (vedi legge 112 sui tempi determinati aperti a tutte le motivazioni, o la legge 30 articolo 30 sul distacco e la cessione del contratto) che in mancanza di norme contrattuali restrittive possono essere applicate in toto dagli editori. La scelta dei pochi Cdr che non hanno dato “carta bianca” alla Segreteria della Fnsi poggia su condizioni economiche derivanti da accordi aziendali certamente al di sopra della media di quelli della maggioranza delle redazioni italiane. Con una particolarità, nelle loro redazioni, pur facendo lo stesso lavoro, ci sono redattori con stipendi ridotti: parlo dei redattori con contratto a termine e dei redattori che non hanno applicati i vecchi accordi integrativi. In alcuni casi (il Corriere della sera) la proprietà ha inventato nuove società per aprire redazioni decentrate a costo ridotto con forfait ridicoli e stipendi al minimo contrattuale. I 110 rappresentanti dei cdr che hanno approvato il documento finale sperano in un accordo che porti da subito un miglioramento economico per i giornalisti assunti negli ultimi anni (non dico giovani perchè l'età media degli ultimi ingressi sono noti). Per fare questo sono disposti anche a mettere mano al meccanismo degli scatti secondo una logica che dia di più ai neo-assunti mantenendo l'automatismo a garanzia dei redattori ordinari. Ma questo punto non è stato ancora affrontato dalla delegazioni trattanti. Certo a quattro anni dalla scadenza contrattuale, l’aumento dei minimi dovrà essere congruo". Daniele Carlon Portavoce del Cdr del Mattino di Padova, Tribuna di Treviso, Nuova Venezia Segretario del Sindacato dei giornalisti del Veneto Giovedì, 18 dicembre - Gremita assemblea generale a Segrate. I vertici della Fnsi e della Lombarda - Siddi, Natale, Rossi, Besana, Ronsisvalle, Stigliano e Negri - hanno incontrato questa mattina le redazioni della Mondadori per raccontare i nodi principali all'ordine del giorno: il contratto e la crisi dell'editoria. Davanti a circa 300 giornalisti, a cui vanno aggiunti i colleghi della sede di Roma, sono state affrontate le tematiche dei modelli organizzativi (multimedialità, multitestata, unità operative redazionali, mobilità, precariato, figure dirigenziali) e del salario (aumenti, scatti, formazione). Il presidente della Casagit, Andrea Leone, e il vicepresidente del Fondo di previdenza complementare, Marina Cosi, hanno poi completato il panorama delle problematiche che in questo momento coinvolgono anche gli istituti di categoria. Al termine della mattinata è stato presentata la mozione del CdR: «L'Assemblea generale dei giornalisti Mondadori, sentita la relazione del segretario e dei membri della Segreteria, prende atto della situazione di inedita gravità che pesa anche sull'editoria. Chiede alla Federazione Nazionale della Stampa di procedere nel negoziato con gli editori, inserendo precisi confini in modo particolare per quanto riguarda la mobilità giornalistica. Chiede inoltre di poter sapere al più presto quali siano le condizioni economiche a tutela del salario e del potere d'acquisto, con specifico riferimento alla disciplina degli scatti di anzianità. L'Assemblea generale dei giornalisti Mondadori, nel ringraziare il vertice della Fnsi per il lavoro finora svolto, chiede infine di essere informata in modo puntuale, costante e completo sugli sviluppi della trattativa». La mozione è stata votata all'unanimità, con due astenuti. Maria Ausilia Boemi - Cdr La Sicilia – Catania Del contratto non possiamo fare a meno: parlo almeno per quei giornalisti - come quelli de La Sicilia di Catania - che, non avendo un integrativo, né benefits di alcun genere, vivono soltanto con i minimi retribuitivi previsti appunto negli accordi a livello nazionale. Fare a meno del contratto, vorrebbe dire lasciare tutta questa delicata questione (economica ma non solo: al lato economico è infatti legata strettamente l'indipendenza della categoria e la capacità o meno - già oggi molto a rischio - di tenere la schiena diritta) alla contrattazione aziendale: una prospettiva nefasta per redazioni con scarso potere contrattuale. Se del contratto non possiamo fare a meno, non possiamo fare a meno neanche degli scatti di anzianità: sono infatti l'unica possibilità di adeguamento di stipendio al costo della vita e l'unica difesa del potere di acquisto e di sopravvivenza economica della nostra categoria. Questo è drammaticamente vero e particolarmente pesante per coloro che, come i giornalisti de La Sicilia, percepiscono soltanto lo stipendio base previsto dal contratto. Con tre scatti di anzianità e quattro domeniche lavorate, ad esempio, il mio stipendio di ottobre è ammontato a 2.204,00 euro. Senza scatti e senza domeniche, sarebbe stato di 1.700,00 euro. L'importo del mio stipendio lordo arriva all'incredibile cifra di 49.342,00 euro all'anno (netti 29.772,00) (comprensivi di tredicesima, quattordicesima, indennità domenicale, il notturno che non abbiamo, lavorando 45 domeniche su 52 - anzi 51, visto che la domenica di Pasqua non è lavorativa - e stando ben attenta a non perdere neanche un festivo e un semifestivo): ben al di sotto della media degli 80.000 euro annuali che gli editori hanno sbandierato per "bollarci" come privilegiati troppo costosi. Forse soltanto alla fine della mia carriera lavorativa arriverò a sfiorare questa cifra, ammesso che la professione giornalistica regga, che il giornale per il quale lavoro continui ad esistere (o in subordine che riesca a trovare un altro posto di lavoro, il che mi sembra decisamente una ipotesi ricadente nelle fattispecie del periodo ipotetico dell'impossibilità), che continuino ad essere siglati dei contratti di lavoro nazionali, che restino in funzione gli scatti così come sono attualmente. Se anche una sola di queste condizioni dovesse venire meno, mi ritroverò, probabilmente - così come già succede oggi ai giovani colleghi - a elemosinare un contratto part time, magari Frt (o al massimo art. 12 o 36), possibilmente a tempo determinato. Tanto per non cessare mai di essere sotto ricatto, con buona pace della libertà di informazione e della democrazia... Pur consapevole della difficoltà di recuperare situazioni ormai purtroppo sfuggite al controllo, si devono quindi cercare di riportare le varie tipologie di contratto nell'ambito dell'alveo dell'art.1, non incoraggiando, ma anzi trovando escamotage che scoraggino l'utilizzo di contratti di serie B (mi riferisco agli art.12 e 36, ma anche ai contratti Frt). Queste varie tipologie di contratto di serie B, infatti, lungi dall'avere riassorbito i disoccupati o i precari, hanno creato solamente persone che non hanno risolto il problema della sopravvivenza (è difficile campare con 800 o con 400 euro al mese: e le cifre sono queste); non hanno risolto e non risolvono, ma anzi aggravano, i problemi dei conti dell'Inpgi (i contributi - credo - sono direttamente proporzionali agli stipendi e quindi insufficienti a reggere il sistema); hanno minato alle fondamenta la sopravvivenza degli art.1 che per gli editori sono ormai anti-economici, visto che possono avere manodopera a costi di gran lunga inferiori ai nostri se non addirittura a costo zero. Noi giornalisti art. 1 siamo quindi per gli editori una categoria da rottamare, perché gli editori hanno ampia manodopera a costi inferiori. E la situazione non cambia anche se diamo la totale e assoluta disponibilità a riciclarci come multimediali, multitestata, prendi 4 e paghi uno. Multimedialità e multitestata - se realmente sono diventate necessità ormai ineludibili e da governare - devono essere normate senza consentire agli editori uno strapotere né sui carichi di lavoro (che si traducono in una diminuzione della qualità dell'informazione) né sulla possibilità di attuare trasferimenti selvaggi. Se realmente gli editori si rifanno alle leggi attuali, visto che sicuramente le norme saranno modificate e non in favore dei lavoratori, non sarebbe male - nel malaugurato caso in cui tali ipotesi dovessero diventare realtà - specificare sul contratto limiti e paletti per attuare distacchi o cessioni di contratto. Meglio qualche riga in più di contratto, che un domani nebuloso. Tutto ciò a garanzia della professionalità di tutti e della qualità dell'informazione. Attenzione però: nella guerra in atto per la sopravvivenza di questa categoria il contratto rappresenta una battaglia, sia pure strategica e fondamentale. Ma la vera partita va forse combattuta all'interno delle "quinte colonne" della nostra categoria che hanno spalancato l'accesso alla professione. L'Ordine faccia qualcosa, la Fnsi e ciascuno di noi facciamo pressioni in proposito: si devono stringere le maglie delle norme di accesso alla professione. Posso anche concordare sulla necessità che i giornalisti abbiano una buona, anzi un'ottima base culturale e, quindi, essere d'accordo su un percorso formativo per i nuovi giornalisti che preveda corso di laurea, specializzazione magari nelle scuole di giornalismo, master e quant'altro. Ma nessun corso di laurea, nessuna scuola di giornalismo, nessun tutoraggio di varia e dubbia natura possono in alcun modo concedere il praticantato. Non è sfornando 1.500-1.600 nuovi professionisti all'anno - la stragrande maggioranza dei quali non ha un lavoro, non ha mai messo piede in una redazione (che sia di giornale, tv, radio, web) o in un ufficio stampa - in una situazione peraltro di mercato totalmente saturo come quello attuale, che si può anche solo pensare di tutelare una categoria che, con questi parametri, è inevitabilmente destinata alla rottamazione e all'estinzione totale. L'assemblea di redazione della Gazzetta del Mezzogiorno proclama lo stato di agitazione ed il blocco di tutte le nuove iniziative, aderendo all'invito giunto dalla FNSI in occasione della recente riunione della consulta nazionale dei cdr. La redazione esprime, infatti, preoccupazione per lo stallo delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro scaduto ormai da 4 anni e per le provocatorie richieste pregiudiziali della FIEG sullo smantellamento delle norme di salvaguardia prima di procedere ad un confronto sui costi e sui salari. Vincenzo Varagona - Cdr Rai Ancona, Consigliere Assostampa Marche Faccio parte del comitato di redazione della Rai di Ancona e sono consigliere dell'assostampa marchigiana. Parto dalle impressioni tratte dall'assemblea dei cdr dell'Ergife. Ho molto apprezzato, come molti colleghi, la chiarezza e la lucidità di analisi del segretario Siddi nell'esporre i passaggi della trattativa sul rinnovo, come - e soprattutto - le grandi difficoltà che dopo circa 1400 giorni senza contratto ci separano da una possibile soluzione. Mi ha colpito l'intervento di Siddi che non ha proposto una via d'uscita, né era in grado di farlo (anche se tutti lo speravamo, dopo il confronto del 10 dicembre): ci ha sostanzialmente rappresentato la difficoltà a 'tenere insieme' contemporaneamente tutte le richieste che dall'apertura della trattativa i cdr e fiduciari con le assostampa gli hanno chiesto di presentare agli editori. Anche in altri rinnovi si è presentato il problema di 'reggere' su tutti i fronti, ma mai come in questa circostanza la trattativa si è rivelata lunga, snervante, apparentemente senza via d'uscita e con la pretesa - più che richiesta - della Fieg al sindacato di abbandonare al suo destino una parte della categoria. A questo punto, mentre la Fieg, non pienamente soddisfatta della situazione di stallo creatasi su una serie di punti ritenuti irrinunciabili (un esempio, la difesa degli scatti), ne aggiunge altri (mobilità senza consenso, distacchi...). Oggi Siddi e la giunta ci chiedono di prendere posizione e dire cosa è più importante portare a casa, se decidiamo - come abbiamo deciso all'Ergife - di non rompere e andare avanti. Una delle cartine di tornasole di questa posizione è stata la sostanziale pacatezza del confronto in sede di conferenza cdr, appuntamento che era stato preceduto da una 'campagna' abbastanza rumorosa e vivace: un segnale, questo, eloquente del momento che stiamo vivendo, in cui la quasi totalità dei colleghi ha avvertito l'opportunità di mettere da parte le polemiche strumentali per presentare agli editori una posizione unita e netta. Alla vigilia non era, questo, un risultato scontato. A questo punto ritengo di dover esprimere in particolare le esigenze dei tanti colleghi storicamente senza integrativi, esigenze alle quali abbiamo prima di tutto l'obbligo di fare riferimento: la richiesta, ancora più oggi, non può che essere quella di evitare di stravolgere il meccanismo degli scatti, unica risorsa per le decine di colleghi che - ad esempio nelle Marche - hanno sostanzialmente la carriera bloccata e lavorano in un piccolo giornale, pur inserito in un grande gruppo editoriale, del quale tuttavia non raccolgono i benefici. Sulle proposte Fieg dobbiamo valutare ancora molto attentamente. Il segretario dell'Usigrai Verna ha avuto modo, ad esempio, di chiarire in cosa possano tradursi le proposte Fieg in tema di mobilità in una testata come la Tgr. Noi dobbiamo, da una parte, avere il coraggio di non arroccarci di fronte a un mercato e a una professione che cambiano radicalmente; dall'altro, però, dobbiamo riavviare una campagna di formazione e aggiornamento sindacale che ci rinnovino altrettanto radicalmente e ci portino a una nuova stagione di convinto impegno e formazione-quadri nel territorio. Sappiamo bene, infatti, che accettare norme coraggiose e rigorose - sempre ammesso che ci riusciremo - non sarà sufficiente a evitare lo smantellamento della professione, se non ci sarà, ancora più nel futuro, un'adeguata presenza e vigilanza sindacale, soprattutto di base. Vincenzo Varagona, Cdr Rai Ancona, Assostampa Marche Carlo Verna - Segretario dell'Usigrai Nei giorni scorsi, durante il congresso statutario dell'Usigrai ad Assisi, in presenza di oggettive difficoltà economiche legate alla crisi finanziaria internazionale e conseguentemente a quella della pubblicità, il capo del personale della Rai ci ha detto:"Partiremo se possibile", riferendosi alla nuova iniziativa editoriale "Buongiorno regione", avviata nei quattro centri di produzione e da estendere in tutte le sedi a gennaio. C'erano e ci sono legittime richieste di risorse e mezzi . "Anche noi lo faremo se possibile" abbiamo specularmente risposto. La responsabilità non puo' gravare solo su qualcuno. Nemo ad impossibilia tenetur e' principio che vale per entrambe le parti. Mi sembra che questo sia il punto anche sul contratto. Con l'assemblea dei cdr e' stato inviato un segnale forte agli editori, c'e' una maggioranza sul fronte del si' , a patto che…. Vuol dire che nonostante le perplessità palesate in grandi giornali, i vertici della categoria dei giornalisti hanno vinto la loro partita di ragionevolezza insieme alla categoria.Sta agli editori ora decidere se perdere tutti oppure viaggiare congiuntamente nel futuro. Noi a chi ci ha rappresentato potremo dire solo grazie e poi vedere insieme in che modo andare avanti. Quel che e' certo, riguarda i punti sottolineati nel documento finale del quale sono stato tra i firmatari. Senza una risposta positiva degli editori a quelle richieste non mi sentirei di proporre ai cdr della Rai , che anacronisticamente continua ad essere fuori dal tavolo Fieg ,un voto positivo all'eventuale ipotesi di accordo. Se si firma stavolta, e' chiaro, che bisognerà la prossima cambiare alla radice l'impostazione generale e le aziende radiotelevisive non potranno stare solo a guardare ed aspettare. Oggi possiamo starci , per responsabilità, anche se continuiamo ad avere una controparte diversa e regole diverse. Per noi il contratto non puo' contenere zone grigie, ambiguità, perche' la legge non ci consente di fermare tutto immediatamente, scioperando subito di fronte ad interpretazioni unilaterali forzate. Quando si parla di multimedialità e di innovazione tecnologica le garanzie ( pur semplificando il possibile ) di cui all' attuale art. 42 vanno conservate e alla mobilità selvaggia vanno posti adeguati paletti.Quella territoriale , per noi che abbiamo un ' azienda con sedi in tutt'Italia è inaccettabile, quella tra testate, che hanno sede nella stessa città, deve essere possibile solo al verificarsi di precisi presupposti riorganizzativi complessivi. No al rischio di trasferimento punitivo e qui torniamo al ' nemo ad impossibilia tenetur', non ci si potrebbe chiedere di essere d’accordo con un contratto cosi', che equivarrebbe per qualcuno ( chi per età o altre ragioni non puo' cambiare città ) a licenziamento. No , non e' possibile. Già per noi discutere di scatti di anzianità e' doloroso, andrà fatto col contagocce, per mera dimostrazione di buona volontà nel ricercare l'accordo, ma sapendo che gli automatismi sono garanzia di autonomia, indipendenza e di non penalizzazione familiare per chi voglia mantenere la schiena dritta, alla base di quel giornalismo di qualità che converrebbe anche agli editori, nonostante la loro stessa volontà. Il filo di Arianna e' il documento dell'Ergife, poi peseremo il contratto vecchio e quello nuovo, il contratto possibile e il non contratto, senza quelle correzioni di rotta richieste mi sembra, pero' , impossibile pensare di arrivare alla bilancia della verità. Carlo Verna Segretario Usigrai Daniela Stigliano. "Partecipo alla Conferenza nazionale dei Comitati e fiduciari di redazione anche come Cdr di Rcs Periodici, ma non posso che parlare in primo luogo nella veste di componente della Segreteria federale, in rappresentanza di chi dall’opposizione ha criticato anche duramente il contratto del 2001 e la precedente gestione della Fnsi. Nello scorso febbraio abbiamo però scelto di entrare nella maggioranza di questa Federazione. Avremmo potuto sederci in riva al fiume e aspettare, giudicare e criticare anche con più efficacia di chi lo sta facendo in queste settimane, mentre abbiamo deciso che fosse arrivato il momento di una forte assunzione di responsabilità, nei confronti e nell’interesse della categoria. Il programma con cui la nuova maggioranza federale è nata, dopo il Congresso di Castellaneta, ha infatti messo al centro l’unità della categoria per raggiungere un rinnovo contrattuale innovativo, che tutelasse la qualità dell’informazione e del lavoro giornalistico, privilegiasse la carriera anche orizzontale dei colleghi, puntasse a un reale recupero del potere d’acquisto delle nostre retribuzione, garantendo pari dignità per tutti i giornalisti. In questa maniera e con questo spirito abbiamo affrontato e stiamo affrontando una trattativa contrattuale sicuramente anomala, rispetto al passato. Non in difesa e subendo l’iniziativa degli editori, come qualcuno ha continuato e continua a pensare e sostenere. Al contrario, andando all’attacco. Non ci siamo seduti di fronte agli editori con il timore di un ritorno al contratto del 1959, che qualcuno – anche in siti di pseudo-informazione giornalistica a cui molti si rifanno e citano – spesso hanno presentato come la panacea di tutti i mali. Altro che panacea! Sapete che cosa prevedeva quel contratto? Le gabbie salariali su base provinciale, per esempio, con differenze di minimi retributivi fino al 20% rispetto ai colleghi che lavorano a Milano, ritenuti di serie A rispetto a qualsiasi altra città. E poi meno soldi e meno diritti per chi lavora nei periodici, con retribuzioni di base più basse del 7% rispetto ai giornalisti dei quotidiani. Niente straordinario e nessun orario di lavoro, il che vuol dire applicazione automatica delle 40 ore settimanali e niente più settimana corta. Tutele ridotte per malattie, infortuni e maternità. Meno ferie e meno permessi. Comitati e fiduciari di redazione ad azione molto più limitata. E solo 12 scatti di valore complessivamente inferiore a quelli di oggi: i primi sei al 5% e gli ulteriori sei al 6%, con un meccanismo che premia chi fa carriera invece di tutelare i più deboli. Non ci siamo seduti di fronte agli editori neppure per trovare risposte a una crisi economica internazionale e dell’editoria che nessuno può certo negare. E che dovremo affrontare tutti insieme, con compattezza e determinazione, nel prossimo futuro. Ci siamo invece seduti con l’obiettivo di raggiungere un contratto per la categoria, tutta la categoria, capace di governare il presente e pure il futuro. Con la determinazione a riappropriarci della nostra professione e della nostra dignità di giornalisti, senza farci scavalcare e relegare in un angolo dall’innovazione, senza ripetere gli errori del passato. Con la volontà di essere ancora protagonisti dell’informazione e di puntare a uno sviluppo futuro dell’occupazione che pure oggi ci appare difficile, di dare strumenti e tutele – di fronte alle trasformazioni dell’informazione giornalistica e del mercato dell’editoria – soprattutto a quei colleghi e a quelle redazioni che hanno meno di altri: meno forza contrattuale, meno garanzie normative, meno soldi. Ce ne sono tanti, di questi colleghi e di queste redazioni. Sono la maggioranza della nostra categoria. E abbiamo tutti il dovere, noi che oggi siamo al vertice della Fnsi e noi tutti, Comitati di redazione, di pensare a loro; abbiamo il dovere di pensare ai più deboli, a chi non ha patti integrativi aziendali e aspetta il rinnovo contrattuale perché sa che solo a quello può aspirare, sa che per altri quattro anni non avrà altri aumenti retributivi. Il contratto è importante soprattutto per questi colleghi, ma non solo. E rinnovarlo resta il nostro obiettivo e il nostro dovere. Questo non significa però che dobbiamo rinnovarlo a tutti i costi. Lo abbiamo detto e ripetuto, in questi mesi: si tratta per arrivare a un contratto sostenibile, pronti ad alzarci, ad abbandonare il tavolo, a non firmare fino all’ultimo momento. E arrivo al punto, a quello che oggi è il nodo da affrontare e da sciogliere: il passaggio da una testata all’altra, all’interno di una stessa azienda e di un gruppo editoriale, il cosiddetto multitestata. La domanda che dobbiamo porci è: si può accettare questo principio? Io sono convinta di sì. Ma a determinate condizioni. Abbiamo del resto usato spesso, negli anni, il vincolo alla ricollocazione all’interno delle altre testate dell’azienda e del gruppo nel caso di crisi, riorganizzazione o chiusura di giornali; l’abbiamo usato come garanzia per il posto di lavoro dei colleghi. E nei prossimi tempi potrebbe essere utile anche a noi, per gestire e contrastare, ammorbidire l’impatto delle crisi che ci aspettano. E, purtroppo, il timore è che ce ne aspetteranno tante, ovunque. Possiamo dunque percorrere, secondo me, la strada del passaggio da una testata all’altra. A patto però – come dicevo – che ci siano alcuni paletti che garantiscano la dignità professionale, le qualifiche, le mansioni, le competenze dei colleghi. Parlando in particolare del distacco, che è uno strumento già previsto dalla cosiddetta legge Biagi, in vigore da cinque anni, e che potrebbe essere utilizzato per gli spostamenti infragruppo, bisogna pensare a paletti di tempo, che stabiliscano il limite massimo del distacco; alla garanzia della condizione di miglior favore per gli integrativi: chi proviene da una testata con un integrativo più favorevole lo mantiene, che arriva in una testata con un miglior integrativo lo acquisisce per la durata del distacco; alla conservazione dei diritti sindacali: si deve sapere con esattezza qual è il Cdr a cui far riferimento e bisogna pure conservare il diritto al voto negli organismi sindacali aziendali; alla previsione del parere del Cdr; e, soprattutto, a precisi vincoli territoriali. Ecco come la penso: su tutto si può trattare e trovare un compromesso onorevole, ma non sugli spostamenti territoriali, sul passaggio di testata da una parte all’altra dell’Italia senza l’obbligo del sì del collega. Perché questo si tradurrebbe per gli editori in libertà di licenziamento". Daniela Stigliano Vicesegretario nazionale Fnsi Daniela Scano, Cdr Nuova Sardegna. "Voglio il nuovo contratto. Non un contratto purché sia, ma un buon contratto che restituisca dignità ed equità a una categoria che dopo quasi quattro anni non si è ancora stancata di sperare di poter lavorare meglio e bene. Voglio il nuovo contratto per il mio collega che fa il mio stesso lavoro, ma guadagna meno di me perché dopo quasi vent'anni da articolo 12 è diventato articolo 1 ed è ripartito dal "via". Ma voglio il contratto e regole certe anche per il collega che ha qualche anno più di me e non può essere accompagnato alla porta, anche se non vuole, solo perché costa troppo. Voglio il nuovo contratto per tutti quei colleghi che non hanno mai smesso di studiare e di ampliare le proprie competenze, ma non hanno fatto carriera e probabilmente mai la faranno in redazioni ingessate, dove i giochi sono fatti per i prossimi dieci anni. Voglio un nuovo contratto che tenga conto dei tempi della vita e del lavoro e sappia armonizzarli senza stravolgere nè l'una nè l'altro. Perché si lavora per vivere e non il contrario. Voglio il contratto per tutti quelli che aspettano fuori dalla porta delle redazioni e quando saranno finalmente assunti dovranno affrontare un percorso in salita fino a una pensione che, quando arriverà, se continua così sarà talmente bassa da non poter garantire loro una vecchiaia serena. Così avranno sprecato un terzo della vita ad aspettare un lavoro e consumeranno il resto a fare quadrare i conti. Voglio il contratto per i giovani cresciuti con le nuove tecnologie e per quelli con i capelli bianchi che invece non sanno neppure cosa voglia dire "piattaforma multimediale". Eppure hanno diritto a impadronirsi del "nuovo", anche quando questo comporta dover imparare qualcosa, per non essere tagliati fuori. Però voglio anche che il "nuovo" sia opportunità stimolante di lavoro e non un modo come un altro studiato dagli editori di guadagnare di più. E naturalmente non mi scandalizzo se gli editori vogliono guadagnare di più, vorrei semplicemente che capissero che la crisi attuale della editoria non è solo il riflesso italiano di una crisi mondiale, ma è soprattutto l'effetto di strategie sbagliate da manager ottusi che hanno percorso negli ultimi anni la strada della redditività senza guardarsi indietro e intorno. E vorrei che facessero mea culpa, una volta tanto, invece di tentare per l'ennesima volta di far pagare a noi giornalisti il prezzo dei loro errori. Voglio il nuovo contratto per poter continuare a fare sindacato in un quadro di regole certe e condivise, che poi sono quelle che ci hanno salvato fino ad oggi e che ci consentono di poter continuare a conoscere il senso delle strategie editoriali, intervenire quando riteniamo che queste pregiudichino le redazioni, reagire quando c'è bisogno. E mi piacerebbe se per una volta anche gli editori capissero che questo quadro di regole ha salvato anche loro, più di una volta, perché il confronto è sempre una opportunità per riflettere e per correggere la rotta se necessario. Vorrei che in questa occasione, dopo quasi quattro anni senza contratto, dopo avere risparmiato tutto quello che potevano risparmiare, gli editori capissero che non riusciranno a spazzare via il sindacato dalle loro redazioni. Non oggi e neppure in futuro. Ma per farlo è necessario che la nostra categoria non perda di vista la propria storia, il proprio presente e il proprio futuro. Per il semplice motivo che per noi fare informazione è un lavoro, certo, ma è anche passione civile. Per loro, ormai per tutti gli editori, l'informazione è da tempo esclusivamente un affare come un altro. Uno dei loro tanti affari. Per questo non riescono a capire la nostra cocciuta determinazione nel perseguire la strada del confronto, così come gli industriali non capirebbero un sindacato che pretende di entrare nel merito delle scelte di marketing e di produzione. Non capisco l'atteggiamento di alcuni nostri colleghi, che continuano a fare la guerra dentro il sindacato, contro il sindacato, in una logica fratricida che francamente mi lascia sgomenta. Sono una persona aperta, pronta all'ascolto e pratico la democrazia. Vorrei tuttavia leggere ogni tanto qualche proposta, oltre alle critiche. Penso che anche nella Fieg ci siano diverse anime, opposti modi di vedere le cose, però non mi risulta ci siano siti di ex editori che perseguono metodologicamente la logica della distruzione della Federazione italiana editori di giornali. Ed è anche abbastanza chiaro il motivo di questa compattezza apparente: loro hanno ben presente l'obiettivo. Nella nostra categoria, invece, a volte gli obiettivi sono diversi, imperscrutabili e a volte anche inconfessabili. I primi a non capire sono proprio i nostri colleghi e non c'è da stupirsi se nella cartella della posta eliminata, insieme alle mail supponenti e gravide di critiche (ma non di consigli) alla Fnsi, finisca anche la voglia di tenersi informato sulla vita sindacale. Ecco, questo è l'effetto deteriore ottenuto (spero inconsapevolmente) da chi pratica questo dialogo criptico per iniziati. Ai colleghi interessano altre cose: orario e organizzazione del lavoro, possibilità di uscire dalle redazioni con la sensazione di avere lavorato bene guadagnando il giusto. E con la speranza che dopo anni di desk, o di cronaca giudiziaria, o di cronaca nera, finalmente un direttore riconosca le competenze con una qualifica che non necessariamente deve essere di capo di qualcosa o di qualcuno. Sono assolutamente convinta che solo dal nuovo contratto si possa e si debba ripartire per ricreare nelle redazioni una consapevolezza del vivere e del lavorare comune di una categoria, la nostra, che ha ancora tutto da dire. Il fatto è che lo sanno anche gli editori. E per impedire questo, secondo me . E per impedire questo, secondo me, non vogliono fare il contratto. Io invece il contratto lo pretendo. E mi fido di chi mi rappresenta in quel tavolo delle trattative, lo giudicherò dai fatti. Daniela Scano (Comitato di redazione della Nuova Sardegna) Claudio Gerino (Cdr de La Repubblica) Non ripeterò quello che ha già scritto Daniela Scano, lo condivido dalla prima all'ultima riga. I perché di un contratto nazionale che vogliamo e che deve essere conquistato pezzo dopo pezzo, battaglia dopo battaglia, trattativa dopo trattativa sono tutti ben condensati e chiarissimi. Non parlerò delle preoccupazioni, espresse da moltissimi colleghi che si collocano nelle correnti d'opposizione all'interno della FNSI, su una possibile strategia degli editori per "rottamare" 1000 giornalisti. Le loro preoccupazioni, al di là se effettivamente la Fieg stia o no perseguendo questa strategia, sono le mie. E dire di no a questa strategia, non solo è doveroso, ma è scontato. Per dire di no, però, bisogna avere anche la conoscenza di cosa stiano effettivamente facendo gli editori e solo portandoli a tutti i costi ad un tavolo negoziale potremo sapere anche le loro strategie. Ecco, il punto non è solo dire perché si vuole un contratto o perché bisogna opporsi ad una "linea" della Fieg che sembra mirare alla distruzione della categoria giornalistica e comunque ad un ridimensionamento e, soprattutto, ad una sconfitta del sindacato. Il punto, oggi, è il "come fare" per costringere gli editori a trattare e a firmare un contratto equo e solidale, giusto e completo per i giornalisti. Sul "come fare", nella conferenza dei Cdr, si sono spese troppe poche parole, sono mancate le idee, le proposte, le opinioni, tutti noi troppo inviluppati nel trovare da una parte i motivi di dissenso verso l'attuale dirigenza della Fnsi, dall'altra a difendere il lavoro (che alla fine comunque è stato giudicato da quasi tutti buono) finora fatto, lavoro che, però, non è stato sufficiente a costringere gli editori "a più miti consigli". Ecco, è il momento di affrontare il "come fare", a partire dalle redazioni, dai colleghi che ogni giorno vivono le frustrazioni e le preoccupazioni sottolineate da Daniela Scano, ma anche messe in luce dai colleghi "dissidenti". Il "come fare" è difficile e semplice allo stesso tempo. Difficile, perché la categoria è stanca di una battaglia che dura da 4 anni, di scioperi che non hanno prodotto effetti significativi, da mesi e mesi in cui nelle redazioni spira il vento della crisi, palpabile, forte. Semplice, perché proprio da questo vento della crisi è possibile ripartire. Credo che il Coordinamento dei Cdr del Gruppo Espresso, in questo senso, ha dato un piccolo, ma significativo segnale: proclamare da subito lo stato d'agitazione. Che non vuol dire mettersi lì a fare inutili e dispersive battaglie sul "rispetto dell'orario di lavoro" o sull'attenersi al mansionario giornalistico (quale mansionario?). E', semplicemente, ma efficacemente, dire che da oggi nessuna nuova iniziativa del nostro editore che non sia concordata e condivisa e trattata con il comitato di redazione di ogni singola testata, può essere messa in cantiere, realizzata, fatta passare sulla testa dei giornalisti. Vuol dire, semplicemente, che non sarà consentito procedere ad operazioni che l'editore ha già programmato, messo a bilancio, inserito in un piano che va dal contenimento dei costi al lancio di nuove avventure editoriali, di qualsiasi tipo. Cosa vuol dire per il nostro editore? Che non potrà realizzare le nuove gabbie grafiche dei giornali locali, propedeutiche ad un "taglio" del formato dei quotidiani. Che non potrà attuare il nuovo sistema editoriale che dovrebbe unificare l'intero gruppo, rendendo immediatamente possibile la multimedialità più avanzata. Che non potrà aprire nuovi portali Internet nelle città, aumentare le pagine locali dell'edizione nazionale di Repubblica o dei giornali del gruppo Finegil. Ma non solo: il nostro editore non potrà procedere, in nessun caso, a iniziative unilaterali di prepensionamento, esodo incentivato (ecco il discorso della "rottamazione"), distacchi o trasferimenti anche se sono fatti in base al vigente contratto nazionale di lavoro. E non potrà neanche limitare l'espletamento del lavoro sindacale nelle redazioni, pena l'accusa di comportamento antisindacale. Non potrà fare tutto ciò finché non dirà esplicitamente che vuole che si raggiunga un accordo sul nuovo contratto nazionale di lavoro della categoria, finché non farà atti concreti perché la Fieg receda da un comportamento dilatorio e di "rilancio" continuo. Non potrà fare nulla di quanto riteneva potesse fare, nei prossimi mesi, se non si siederà al tavolo negoziale del contratto nazionale e al tavolo negoziale con i singoli Cdr. Non basta? Certo, è un piccolo passo, ma significativo. Nessun altro Cdr, alla Conferenza dei comitati di redazione, ha avanzato analoga proposta. Nessun altro cdr l'ha messa in campo nella propria realtà. Sarebbe già sufficiente, per partire, che tutti i Cdr si muovessero su questa idea, ognuno nella propria autonomia di realizzazione, ognuno nella propria indipendenza di giudizio sull'operato della Fnsi. E' un modo concreto per dimostrare agli editori che la categoria non solo non è in ginocchio, ma ha gli strumenti per reagire alla protervia della Fieg. Non basta, certo. E allora si può fare altro. Cominciamo - e il cdr di Repubblica lo farà immediatamente - a denunciare pubblicamente la pubblicità non conforme alle regole e alla prassi fissate sia a livello nazionale che a livello di singola testata. Cominciamo ad occupare spazio sui giornali, sull'on line per spiegare - di nuovo o forse per la prima volta - che cos'è la battaglia sindacale per il nostro contratto nazionale di lavoro. L'attuale contratto di lavoro ci permette di avere tutto lo spazio necessario per spiegare le motivazioni di una battaglia che va ben al di là dei soldi, degli scatti d'anzianità, ma che riguarda sostanzialmente il principio della libertà di stampa, dell'autonomia da tutti i poteri dei giornalisti, la difesa dei più deboli. Non basta? Certamente. Bisogna avere il coraggio di dire che sarà necessario versare ancora altro "sangue" (scioperi) per costringere gli editori a trattare. Scioperi mirati, che colpiscono il singolo editore e l'insieme della Fieg. Scioperi che siano efficaci sul piano anche dell'informazione mediatica, così come avvenne - è passato oltre un anno - a Repubblica nell'aprile del 2007. Non basta ancora? Abbiamo gli strumenti, abbiamo la fantasia e la forza di proporre iniziative a tutto campo per il diritto all'informazione e al giusto contratto. Certo, abbiamo bisogno che le associazioni regionali siano propositive anche in questo, che la Fnsi nel suo complesso si faccia portavoce e guida della protesta, che l'Inpgi sia pronta a venire incontro alle esigenze dei colleghi che si trovano in forte difficoltà anche a causa di questa dura, lunghissima, difficile vertenza. Ma abbiamo innanzitutto bisogno che le rappresentanze sindacali "di base" dei giornalisti siano convinte di dire dei "no" netti al proprio editore. E allora, cari colleghi, sarà il caso di smetterla con negoziati più o meno sotterranei, più o meno striscianti, più o meno vicini a "integrativi" anticipati? Sarà il caso di dire che i nuovi sistemi editoriali, per il momento e in assenza di un contratto nazionale di lavoro rinnovato non si faranno, neanche in cambio di un pacchetto di soldini? Perché quel che possiamo guadagnare oggi, nel nostro piccolo orticello, lo restituiremo con gli interessi altissimi domani, quando gli editori potranno - se non li costringeremo a fare marcia indietro - agire senza vincoli e senza concertazione con la categoria. Abbiamo subito una scadenza, che è quella della vertenza dei colleghi de "La 7". Ebbene, perché nei prossimi giorni, noi dei Cdr, non proviamo a dire che se l'editore dell'emittente non ritira i licenziamenti, l'intera categoria sarà al fianco dei colleghi con iniziative durissime di lotta? Spero che il principio della solidarietà faccia ancora parte del Dna dei comitati di redazione. Per quel che ci riguarda, come Cdr di Repubblica siamo disponibilissimi a discutere "come fare" tutti insieme. E, come secondo passo, abbiamo proposto di integrare nella rappresentanza sindacale anche una rappresentante dei collaboratori "contrattualizzati". Perché il precariato più o meno "normato" nelle redazioni deve avere anche la sua voce sindacale. Cari colleghi dei Cdr, e se lo facessimo tutti? Pensate così che il comitato di redazione potrà avere anche la rappresentatività di quei colleghi più deboli usati spesso dagli editori come massa di manovra... E non sarebbe poco sottrarre alla Fieg anche questo potere. Oggi - e concludo - più che sottolineare le pecche, le mancanze, gli errori compiuti dalla segreteria della Fnsi (ci sarà il tempo, il luogo e la necessità anche per affrontare questo), è il momento di decidere insieme "il che fare". E farlo. Claudio Gerino Cdr Repubblica

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