In un’interrogazione parlamentare, l’onorevole Anzaldi e il senatore Marcucci chiedono al governo se è a conoscenza delle modalità di ristrutturazione poste in essere dalla Mondadori, che nei giorni scorsi ha venduto la sede romana lasciando senza ufficio i giornalisti di ‘Panorama’, ‘Chi’ e ‘Tv Sorrisi e Canzoni’, e se non ritenga opportuno intervenire garantendo gli attuali livelli occupazionali senza trasferimenti.
Arriva in parlamento la vicenda della chiusura della sede
romana delle redazioni di ‘Panorama’, ‘Chi’ e ‘Tv Sorrisi e Canzoni’.
L’onorevole Anzaldi e il senatore Marcucci hanno infatti depositato
un’interrogazione nella quale si chiede al governo se è a conoscenza di quanto
accaduto nelle ultime settimane nonché “di scongiurare l’introduzione dello
smart working in assenza di una specifica previsione legislativa garantendo gli
attuali livelli occupazionali senza trasferimenti”.
L’interrogazione ripercorre le tappe salienti della vicenda che hanno portato
alla chiusura della sede capitolina delle tre redazioni, partendo dall’acquisto
da parte della Mondadori della società editrice Rizzoli, per 175 milioni di
euro, e dallo stato di crisi in atto nell’azienda di Segrate dal 2013.
“Nel corso di questo periodo di tempo – scrivono i due parlamentari - numerosi
giornalisti del gruppo sono stati indotti a lasciare il lavoro attraverso i
meccanismi di anticipo della pensione ed altri hanno dovuto far ricorso agli
ammortizzatori sociali scaricando costi dalla incidenza rilevante sulle casse
del già fragile Inpgi istituto di previdenza dei giornalisti”, facendo
registrare 81 prepensionamenti dal 2010 ad ottobre 2015 con un costo per lo
Stato di oltre 10 milioni di euro, mentre altri 7,2 milioni sono stati pagati
dallo Stato per i contratti di solidarietà e la cassa integrazione.
“Nel giugno 2015 – prosegue l’interrogazione – è stato sottoscritto in sede
Fieg e con la partecipazione della Fnsi un nuovo contratto di solidarietà in
cui i 250 giornalisti circa della Mondadori hanno accettato una solidarietà al
15%. Di questo 15%, il 10% è a carico dello Stato, il 60% dell’Inpgi e la parte
restante decurtata dal reddito dei giornalisti”.
Grazie a queste operazioni, stando alle stesse dichiarazioni dell’ad
dell’azienda, è stato possibile risanare i conti della società, e “tale
successo si è declinato anche attraverso premi rilevanti che hanno fatto
crescere in maniera esponenziale la retribuzione da amministratore delegato. Ma
il processo di razionalizzaizone – prosegue l’interrogazione parlamentare - non
si ferma qui tant’è che la direzione del personale ha comunicato al Cdr
Mondadori che i giornalisti che rimarranno a Roma lavoreranno in modalità ‘smart
working’, una figura non ancora disciplinata nel nostro ordinamento che fa
riferimento ad una prestazione di lavoro subordinato che si svolge al di fuori
dei locali aziendali con un orario medio annuale inferiore senza l’obbligo di
utilizzare una postazione fissa”.
“Questa opzione – scrivono Anzaldi e Marcucci – dovrebbe riguardare i
giornalisti dei periodici i quali attraverso un comunicato stampa del cdr hanno già sollevato preoccupazioni sul
proprio futuro e respinto la proposta. L'azienda ha infatti comunicato che dal
prossimo 11 dicembre 5 giornalisti su 10
saranno trasferiti a Milano e si tratta di 3 di Sorrisi e Canzoni e 2 di Panorama mentre altri 5 giornalisti, la
cronista parlamentare di Chi e 4 giornalisti di Panorama, resterebbero, invece, a Roma per lavorare in modalità smart working non meglio specificata
senza possibilità di appoggiarsi ai nuovi uffici se non per eccezionali occasioni di
rappresentanza”.
“Tale modalità – conclude quindi l’interrogazione – soprattutto in riferimento
allo smart working in assenza di un quadro legislativo chiaro rischia di
mortificare ulteriormente la professione giornalistica assecondando solo le
necessità delle case editrici. Si chiede di sapere pertanto se il Governo è a
conoscenza di tali modalità di ristrutturazione posti in essere da parte della
Mondadori e se non ritenga opportuno intervenire attivando un tavolo di
confronto al fine di verificare innanzitutto le modalità dei processi
riorganizzativi adottati nel corso di questi anni dall’azienda, soprattutto
grazie al contributo dello Stato, nonché la possibilità di scongiurare
l’introduzione dello smart working in assenza di una specifica previsione
legislativa garantendo gli attuali livelli occupazionali senza trasferimenti”.