Dalla protesta alla proposta. Come annunciato durante il sit-in nei pressi dell’ambasciata di Turchia, ieri a Roma, la Fnsi dà seguito alla mobilitazione e scrive ai vertici delle Federazioni internazionale ed europea dei giornalisti per mettere in campo «tutte le iniziative a sostegno dei colleghi e del popolo turco che si renderanno opportune».
Già prima degli ultimi, tragici eventi la Turchia, come ha ricordato il presidente Giulietti citando il direttore di Cumhuriyet Gazetesi, Can Dundar, era la più grande prigione a cielo aperto d’Europa per i giornalisti. «Adesso – scrivono il segretario generale, Raffale Lorusso e la segretaria generale aggiunta, Anna Del Freo – la situazione è peggiorata e c’è il rischio che venga cancellata la democrazia, vista anche l’annunciata sospensione della Convenzione per i diritti umani».
Nel giro di pochi giorni, dall’alba del 16 luglio, dopo il fallimento del tentato golpe, la scure della repressione del presidente Erdogan si è abbattuta su giudici, insegnanti, militari, dipendenti pubblici, forze dell’ordine e, immancabilmente, sui giornalisti e sui pochi media ancora indipendenti. Decine di siti di informazione sono stati chiusi, è stata ritirata la licenza di trasmettere a 24 emittenti, tra radio e tv, considerate vicine al nemico del “Sultano”, Fethullah Gulen. A 34 giornalisti è stato ritirato il tesserino professionale e proprio oggi sono finiti in carcere, a Istanbul, Orhan Kemal Cengiz, noto giornalista e avvocato per i diritti umani, e sua moglie Sibel Hurtas, anche lei reporter, poi rilasciata.
In gioco non ci solo la libertà di espressione e il diritto di cronaca e all’informazione, ma gli stessi diritti e libertà che sono capisaldi della civiltà europea e occidentale.
Per questo «riteniamo necessario – incalza la Fnsi – che tutti i giornalisti del mondo, nelle forme e nei modi che concorderemo, facciano sentire la loro voce con una grande manifestazione promossa dai nostri organismi internazionali.
Sono in pericolo i diritti civili di un intero popolo e di un Paese che si proclama democratico, ma rischia di diventarlo soltanto sulla carta».