Si è aperto stamani a Istanbul il processo contro 19 persone, compresi 17 tra giornalisti e dirigenti del quotidiano Cumhuriyet, critico nei confronti del presidente Recep Tayyip Erdogan. Gli altri due imputati sono un giornalista che lavora da Washington e l’amministratore di un account Twitter.
Sono alla sbarra con l’accusa di aver fornito sostegno a "organizzazioni terroristiche armate" senza esserne membri. Il riferimento è al Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan, e al movimento dell'imam Fetullah Gulen (Feto). Accuse rigettate e definite dagli imputati "prive di fondamento".
Undici dei reporter e dirigenti di Cumhuriyet, compresi il vignettista Musa Kart, l'editorialista Kadri Gursel e il giornalista investigativo Ahmet Sik, sono da mesi in stato detenzione preventiva. Tra gli imputati anche Can Dundar, l'ex direttore del giornale che vive in esilio in Europa dopo aver trascorso alcuni mesi in carcere tra il novembre 2015 e il febbraio 2016 e sul quale tuttora pende un mandato d'arresto.
"Vogliamo giustizia", titola stamani in prima pagina Cumhuriyet. A difendere gli imputati, alcuni dei quali detenuti dallo scorso novembre, c'erano 57 avvocati. Rischiano una condanna dai 7 anni e mezzo ai 15 anni Can Dundar, il direttore che ne ha preso il posto Murat Sabuncu,i membri del consiglio di redazione Kadri Gursel, Aydin Engin, Bulent Yener e Gunseli Ozaltay e il giornalista Ahmet Sik.
Il pubblico ministero ha chiesto pene tra gli 11 e i 43 anni di reclusione per l'amministratore delegato Akin Atalay e per i dirigenti Mehmet Orhan Erinc e Onder Celik e tra i 9 e i 29 anni di carcere per i giornalisti Hikmet Aslan Cetinkaya e Bulent Utku, per il vignettista Musa Kart e per Hakan Karasinir e Mustafa Kemal Gungor.
Il processo è stato accompagnato dalla presenza di una folla di cittadini, deputati dell'opposizione, giornalisti, attivisti e operatori nel campo dei diritti umani che si è radunata fuori dal palazzo di giustizia per dare sostegno e solidarietà agli imputati. Per gli attivisti il processo che si è aperto a Istanbul è un tentativo del governo di "mettere a tacere" le voci di dissenso.
"Il giornalismo non è un crimine", hanno cantato in segno di protesta contro quella che il presidente della Federazione internazionale dei giornalisti, Philippe Leruth ha definito «la palese persecuzione di un giornale indipendente e critico e dei suoi lavoratori».
All'udienza, in rappresentanza della Ifj e della Efj, anche il presidente della Federazione europea dei giornalisti, Mogens Blicher Bjerregård. «Puoi davvero sentire la solidarietà presente in tribunale», ha detto. «Confidiamo nella giustizia».
A nome del gruppo internazionale di osservatori che ha partecipato al processo, Steven M. Ellis, dell'International Press Institute, ha letto davanti al giudice una dichiarazione condivisa dei rappresentanti dei gruppi internazionali per la libertà di espressione e delle organizzazioni professionali dei giornalisti presenti: oltre all’International Press Institute, c’erano Reporter senza frontiere, le Federazioni europea e internazionale dei giornalisti, il Centro europeo per la libertà di stampa e dei media, l’International Publishers Association e Pen International.
Ad animare dall’Italia la mobilitazione online promossa per tenere accesi i riflettori sulla vicenda dei colleghi di Cumhuriyet c’erano anche la Fnsi, Articolo 21, Amnesty International Italia, Cild, Collettivo Giulio Siamo Noi e molte altre organizzazioni per i diritti umani. L'hashtag #NoBavaglioTurco è stato a lungo nella topic dei primi sei di tendenza.
Dal fallito golpe dello scorso anno in Turchia più di 50mila persone sono state arrestate con l'accusa di legami con Gulen, ritenuto da Ankara l'ispiratore del tentativo di colpo di Stato del 15 luglio 2016. In carcere anche più di 160 tra giornalisti e operatori dei media, non solo turchi.