di Mogens Blicher Bjerregård*
In tutta Europa, il riconoscimento del ruolo chiave del giornalismo e dell'importanza della libertà di stampa per la democrazia sembrano essere in declino. Guardandoci attorno, non possiamo che deplorare l’aumento delle discrepanze tra i media, intesi come un pilastro fondamentale delle nostre democrazie, e i politici populisti che sempre più criticano o addirittura violano apertamente la libertà dei media, quando non li utilizzano esplicitamente come macchina di propaganda.
Tra gli esempi più rilevanti vi sono le minacce perpetrate, sia finanziariamente che politicamente, ai media di servizio pubblico nei paesi dell'Europa dell'Est. È quanto accaduto in Polonia l'anno scorso, quando il governo conservatore di destra ha stravolto la legge vigente e sostituito la dirigenza della televisione pubblica, che ha a sua volta rimpiazzato vari giornalisti intendendo punire l’indipendenza del loro lavoro. Situazioni analoghe si riscontrano nei paesi dei Balcani occidentali, dove anche la modifica al sistema di concessione delle licenze viene utilizzata quale strategia per esercitare pressioni sui media.
L’International Press Institute (IPI) ha recentemente pubblicato un’analisi sulla situazione in Slovacchia, dove il primo ministro ha apertamente criticato alcuni giornalisti “ricordando” loro che quando si rivolgono a lui non stanno parlando con un proprio pari. Ha poi aggiunto che i giornalisti che lavorano per il servizio pubblico dovrebbero per prima cosa essere leali al governo del paese.
In paesi come la Macedonia e il Montenegro, giornalisti investigativi sono stati incarcerati per aver svolto il proprio lavoro, accusati di essere criminali sulla base di accuse più o meno fabbricate.
Ancora peggiore è la situazione in materia di libertà di stampa in Azerbaijian e in Turchia, dove alcuni giornalisti sono stati portati in tribunale solo per aver segnalato casi di corruzione, o addirittura per essersi espressi con un tweet su questioni delicate o su incontri dei gruppi di opposizione.
L'informazione a rischio
Non sono solo l'Europa orientale e sud-orientale a presentare situazioni di contrasto di questo tipo fra gli interessi dei media e quelli della politica. In Gran Bretagna, il cosiddetto Snooper’s Charters Bill è da poco diventato legge e avrà un enorme impatto sul giornalismo, perché sia i giornalisti, che le loro fonti, rischiano pene fino a 14 anni di detenzione quando vengono perseguiti per aver rivelato o utilizzato documenti secretati.
La conseguenza più preoccupante di questa legge per le nostre democrazie è che potrebbe impedire ai giornalisti e alle loro fonti di rivelare al pubblico importanti informazioni che, secondo gli standard e i valori europei, sono fondamentali per garantire la partecipazione dei cittadini alle istituzioni democratiche. Oggi rischiamo che tali informazioni vengano in futuro celate a causa dell'autocensura.
L'Europa ha bisogno di uno sviluppo totalmente opposto, come dimostrato dal processo di Luxleaks, in cui Antoine Deltour e Rafaël Halet si sono assunti, in quanto whistleblowers, i rischi e le responsabilità di rivelare attraverso la stampa importanti informazioni di interesse pubblico. Indipendentemente dalla grande importanza del caso e dal fatto che anche i giudici abbiano mostrato imbarazzo per la sentenza, Deltour e Halet sono stati puniti quando avrebbero invece dovuto essere protetti e lodati per il loro ruolo.
Una direttiva UE a tutela dei whistleblowers
Il risultato più prezioso di questo caso giudiziario sarebbe, auspicabilmente, una direttiva UE a tutela dei whistleblowers. Un’analisi approfondita della legislazione europea dimostra infatti che abbiamo ancora molto da fare, prima che i giornalisti possano lavorare senza eccessivo timore delle minacce provenienti dalle autorità, anche se queste leggi vengono usate molto raramente.
Come rivela uno studio dell'IPI e dell'OSCE, sono ben 24 i paesi OSCE che offrono una protezione speciale per la reputazione e l'onore dei loro capi di stato, prevedendo la detenzione come sanzione potenziale in alcuni paesi. La metà di questi paesi sono membri dell'UE: oltre alla Turchia, nella lista appaiono anche i Paesi Bassi, la Danimarca e la Germania.
Risultati scioccanti in ambito europeo
Un nuovo sondaggio sulla situazione pubblicato dal Consiglio d'Europa, Giornalisti sotto pressione, rivela un problema crescente in alcuni paesi per quanto riguarda le pressioni sulle fonti giornalistiche. Lo studio rivela, in particolare, che fra i giornalisti che hanno preso parte al sondaggio 4 su 10 sono stati oggetto di sorveglianza mirata negli ultimi tre anni. Nello stesso periodo, il 43 per cento dei giornalisti che ha preso parte al sondaggio è stato intimidito da gruppi politici. Solo uno quarto dei giornalisti intervistati dichiara di sentirsi al sicuro da qualsiasi forma di sorveglianza.
Altri aspetti degni di nota che emergono dallo studio:
•il 30% degli intervistati dice di aver consapevolmente evitato di trattare temi sensibili
•il 23% ha evitato di rivelare informazioni sensibili
•il 19% dichiara di aver tenuto conto degli interessi della società editrice per cui lavora, nel definire il contenuto del proprio lavoro
L'anno scorso, durante un seminario di lavoro in Serbia, ho capito quanto sia difficile la situazione in molti paesi dei Balcani occidentali:
•Alcuni giornalisti attendono per mesi il loro stipendio, nonostante si tratti in molti casi di stipendi ben al di sotto della media europea
•In Macedonia, i giornalisti hanno scioperato per settimane a causa dei mancati pagamenti
•Manca del tutto una qualsiasi forma di dialogo sociale, in quanto sia i proprietari locali che quelli che operano da oltre confine beneficiano dell'abolizione dei contratti collettivi
•Forme di lavoro estremamente precario sono la norma per chi opera in questo settore
•Quasi nessuno fra i giornalisti nella regione confida nella protezione del proprio datore di lavoro qualora fosse vittima di violenza.
Un simile contesto ostacola il giornalismo di qualità in generale, e risulta essere particolarmente ostile per il giornalismo investigativo. Per sopravvivere nel loro lavoro, molti giornalisti sono spinti a fare una valutazione del rischio molto semplice, che risulta nella decisione di auto-censurarsi.
Il dialogo è fondamentale
Tutte le parti in causa, inclusi i proprietari dei media, i redattori e i giornalisti, devono mettere da parte la loro reciproca diffidenza perché solo attraverso una solida collaborazione sarà possibile stimolare un vero cambiamento.
Per ottenere un miglioramento delle condizioni attuali, è fondamentale ripartire dal dialogo sociale. Il libro verde recentemente lanciato dalla Commissaria EU Marianne Thyssen include elementi importanti che noi, come sindacati nell'industria creativa, dovremmo tenere in grande considerazione.
Le raccomandazioni sulla protezione sociale di tutti i lavoratori, i dipendenti e i freelance sono un'indicazione di cui tenere conto nell'adozione di meccanismi operativi.
Nel prossimo anno, la Federazione Europea dei Giornalisti (EFJ) insieme al Consiglio d'Europa e un gran numero di partner metterà all'ordine del giorno l'argomento "Media e Politica in Conflitto" con discussioni in tutta Europa, un lavoro che culminerà con una conferenza di alto livello a Gdansk durante i primi mesi del 2018.
Tutte le parti in causa devono prendere parte alla ricerca di una soluzione: le testate, i giornalisti, i proprietari dei media, i politici e le autorità.
*Mogens Blicher Bjerregård è il presidente delle Federazione Europea dei Giornalisti (EFJ). Il testo integrale dell’intervento è pubblicato da Osservatorio Balcani e Caucaso.