di Daniele Mont D'Arpizio
'Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure'. Parte dalla Costituzione italiana Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana e tra i fondatori dell'associazione Articolo 21, per il suo intervento al seminario aperto su 'L'informazione oltre gli stereotipi e le fake news, per la costruzione di contesti inclusivi' (10 maggio 2019, aula magna di Palazzo Bo).
Presidente Giulietti, quanto sono importanti i mondi dell'editoria e dell'informazione per la costruzione di una società aperta e inclusiva?
Sono essenziali in quanto possono contribuire ad alimentare i pozzi dell'odio, del livore e dell'esclusione sociale, oppure costituire un ecosistema mediatico aperto ai valori dell'accoglienza, dell'inclusione sociale e del rispetto della dignità delle persone. Ogniqualvolta si usano le parole come pietre per colpire le differenze e le diversità si contribuisce all'innalzamento dei muri del razzismo e dell'esclusione. Spetta a ciascun giornalista esercitare lo spirito critico e rispettare i valori fondanti dei trattati europei, della Costituzione e delle stesse carte deontologiche, a partire dalla carta di Roma, che sono state liberamente sottoscritte e che non possono continuare a essere oltraggiate, come purtroppo talvolta accade.
Al riguardo quali principi ci consegna la nostra Costituzione?
La nostra non è una Costituzione neutra: è antifascista e antirazzista, interamente e integralmente percorsa dai valori dell’inclusione e della solidarietà, senza distinzione alcuna – come recita l'art. 3 – di razza, sesso, colore e fede religiosa. Peraltro la nostra Carta costituzionale con i suoi principi è stata anche una delle bussole per la definizione del trattato di Nizza e delle principali convenzioni europee, perché non collega i diritti fondamentali alla cittadinanza o al territorio, ma li prevede come diritti di ciascuno, a prescindere dal luogo di nascita.
Eppure l'art. 3 non parla esplicitamente solo dei cittadini?
Sì, ma ad esempio l'art. 10, che regola il diritto di asilo, è uno dei più ampi e inclusivi a livello internazionale. La Costituzione va letta nella sua interezza e alla luce delle sentenze della Corte costituzionale, le quali ci dicono che i diritti primari, come ad esempio quelli alla salute e all'istruzione, valgono per chiunque si trovi sul territorio italiano, come scritto più volte in varie sentenze. La Costituzione, come dice ad esempio Giovanni Maria Flick nel suo bellissimo libro Costituzione italiana: la nostra bussola per una nuova Europa, va citata evolutivamente. Lo stesso art. 1 va letto assieme all'art. 3: quello a informare non è solo un diritto che il giornalista deve difendere per sé, c'è anche un diritto dei cittadini ad essere informati e il dovere dei giornalisti a partecipare alla rimozione degli ostacoli che impediscono l'esercizio dei diritti inalienabili.
Negli ultimi tempi si sentono spesso espressioni come hate speech e fake news: si tratta di fenomeni nuovi o di realtà che ci sono sempre state? Come mai se ne parla soprattutto oggi?
Distinguiamo bene: alterazioni, casi di manipolazione e falsificazioni anche clamorose ci sono sempre state, dissento da chi dice che ci sia stata un'età dell'oro nella quale ci si limitava ad inseguire la verità. Oggi poi si chiede di portare sul banco degli imputati Julian Assange in quanto responsabile di una fuga di notizie; peccato che a nessuno sia venuto in mente di processare i responsabili di quei governi che hanno falsificato i dossier per facilitare l’invasione dell'Afghanistan o dell'Iraq! C'è una tendenza, che non condivido, a proteggere i governi e a perseguire i singoli. Sulle fake news poi c'è una novità, su cui si sono anche interrogati maestri come Stefano Rodotà. C'è chi vede nella rete il regno di libertà, come se non ci fossero anche lì dei proprietari e dei controllori, mentre in realtà c'è un'operazione di spossessamento dei dati dei cittadini, che al momento vengono ceduti gratuitamente e utilizzati sia per scopi commerciali che per influenzare pesantemente l'opinione pubblica. Si tratta di una cosa ben diversa dalle semplici fake news: oggi grandi gruppi internazionali possono costruire vere e proprie campagne mirate per condizionare i processi democratici. E la cosa ci riguarda in prima persona perché uno dei maestri in queste cose è Steve Bannon, che ha scelto proprio l'Italia come base per le sue campagne internazionali, e perché tra gli obiettivi oggi c'è la disintegrazione dell’Unione Europea e delle costituzioni uscite dal dopoguerra.
Come difendersi dai pericoli continuando a garantire la libertà di espressione e di informazione?
Le singole fake news si possono contrastare con l'appello ai singoli giornalisti e campagne informative dirette all'innalzamento dello spirito critico e all'alfabetizzazione diffusa per l'uso consapevole delle reti. Il tema più importante è però un altro: il cittadino è ancora proprietario della sua identità? Su questo occorrerebbe una regolamentazione, che è cosa ben diversa dalla censura e che andrebbe proposta in primo luogo dalle grandi agenzie internazionali, a partire dall'Onu. Si tratta di un tema delicatissimo, dove sono in gioco anche valori contrastanti tra loro, ma che non è più rinviabile.
Che orientamenti ci può dare a questo riguardo la costituzione, e quali possono essere i ruoli dell'Ordine dei giornalisti e della Fnsi?
In questi giorni per la prima volta a livello mondiale ad Assisi abbiamo approvato una carta, firmata da credenti delle principali religioni e da non credenti, per dire che 'le parole non sono pietre' e prendere l'impegno a non utilizzarle come strumenti di guerra. Oggi c'è il rischio di una sconnessione tra parole e cose, e che questo faccia prevalere la percezione sull'analisi della realtà. Cosa può fare l'Ordine? Ricordare innanzitutto che il punto di riferimento di ogni giornalista è la Costituzione, che – piaccia o no – è antifascista e antirazzista. La seconda cosa è chiedere l'applicazione delle norme deontologiche, evitando di coltivare unanimismi corporativi. Bisogna scegliere se Costituzione e la deontologia hanno valore o no. Poi promuovere nelle redazioni dei giornali e dei media una campagna di incontri e di formazione: il cambiamento tecnologico non annulla minimamente la necessità di coltivare lo spirito critico. A questo riguardo considero il seminario di Padova un modello perché mette insieme in modo interdisciplinare studenti, ricercatori, professionisti e associazioni, e spero che produca presto un contagio a livello a nazionale. Di fronte alla disgregazione la risposta non è contrapporre un modello altrettanto sguaiato ma esattamente contrario; all'urlo, alla disconnessione tra le parole e le cose va risposto con lo studio, il rigore e la sobrietà. Per questo a un'industria dell'imbroglio non si deve rispondere con un altro imbroglio. Questo però comporta mettere insieme realtà diverse tra loro, come fa l'università di Padova: saperi critici che abbiano come orientamento la Costituzione italiana.
PER APPROFONDIRE
L'intervista integrale di Daniele Mont D'Arpizio è disponibile a questo link.