Giovedì 24 novembre 2016 la Federazione nazionale della stampa italiana sarà in piazza, a Roma, insieme ai giornalisti minacciati per una giornata straordinaria di mobilitazione. Scopo dell’iniziativa: sensibilizzare la categoria e la classe politica e chiedere che vengano finalmente portati all’approvazione sia il provvedimento che abroga il carcere per i cronisti, sia una norma che ponga un argine alle cosiddette “querele temerarie”, vero e proprio strumento di minaccia contro i giornalisti e il diritto di cronaca. In particolare per quei cronisti che con il loro lavoro quotidiano contribuiscono a contrastare le mafie, il malaffare e la corruzione.
L'appuntamento è in piazza delle Cinque Lune, nelle vicinanze di Palazzo Madama, dalle 10 alle 11.30.
Insieme al segretario generale e al presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, saranno presenti il responsabile per i progetti di educazione alla legalità del sindacato dei giornalisti, Michele Albanese, di recente insignito dal presidente della Repubblica dell’onorificenza al Merito per l’impegno in favore di un’informazione libera in un territorio caratterizzato da pesanti infiltrazioni criminali; gli altri tre giornalisti insigniti dell’onorificenza al Merito della Repubblica Italiana: Federica Angeli, Paolo Borrometi e Amalia De Simone; i cronisti e le croniste costretti a vivere sotto scorta per via del proprio lavoro.
La Federazione nazionale della stampa italiana auspica che anche questa manifestazione faccia registrare l’adesione di tutte le associazioni che insieme con la Fnsi si battono per un’informazione libera, plurale e non condizionata da qualsiasi forma di bavaglio.
Prime adesioni:
Articolo21, Ordine dei giornalisti del Lazio, Pressing NoBavaglio, Usigrai, Associazione Amici di Roberto Morrione, Italians for Darfur, Mensile Confronti, Associazione Carta di Roma, Ossigeno per l’Informazione, Libera Informazione.
Chi ha paura del giornalistmo d'inchiesta?
di Amalia De Simone
Cari parlamentari,
a chi fa paura l'informazione libera? A chi fa paura il giornalismo d'inchiesta? Non è una domanda presuntuosa, né insinuante. Sarei ipocrita però, se dicessi che non è quella che mi viene in mente quando vedo il pantano in cui finiscono tutte le iniziative tese ad affrontare la questione delle liti temerarie nei confronti dei giornalisti. Sabbie mobili di discussioni, alibi, altre priorità a cui fare strada in Parlamento.
È una questione di scelte e voi avete il dovere di scegliere, consapevoli che questa scelta ci dirà da che parte state. Le querele temerarie e le richieste di risarcimento danni sono diventate l'arma più forte utilizzata contro chi fa giornalismo d'inchiesta, perché anche quando l'esito di un processo dimostra l'assoluta infondatezza dell'azione giudiziaria intentata contro il giornalista, ormai il reporter ha già subito dei danni gravi.
Ha dovuto spendere soldi per difendersi, buttare giornate di lavoro per andare farsi interrogare, partecipare alle udienze, ha combattuto contro le ombre della delegittimazione, ha convissuto per anni (perché i tempi dei processi sono infiniti per tutti) con l'ansia di poter perdere e di dover ipotecare una vita intera per aver fatto il proprio lavoro. Proprio così, perché diciamocelo fuori dai denti e senza ipocrisie, la legge e la giustizia non sono la stessa cosa e qualche volta, per fortuna solo qualche volta, il sostantivo giustizia può diventare una parola vuota.
Oggi chi fa giornalismo d'inchiesta e che quindi cerca di approfondire e scoprire fatti inediti, si scontra con questo tipo di minacce che sono ancor più subdole di quelle fatte a viso aperto dal mafioso di turno, sono quelle che vengono fatte utilizzando le opportunità che la legge ti offre. La maggior parte di chi fa questo tipo di giornalismo lavora da freelance o è precario e non sempre ha le tutele che sarebbero doverose da parte dell'editore che lo pubblica (anche queste andrebbero definite per legge).
Chi già fatica a versare l'inpgi, non ha l'assistenza sanitaria garantita dalla testata, non sa cosa siano le ferie e a volte fatica a farsi pagare o a farsi pagare adeguatamente, difronte ad una querela temeraria resta ancora di più "solo". E non tutti hanno la forza o la possibilità di poter affrontare quel giorno in cui la stessa coscienza che ti spinge verso l'impegno civile, ti dice anche: ma chi te lo fa fare a queste condizioni? Quel giorno ci sarà qualcuno in meno a raccontare i fatti. Quel giorno saremo tutti meno liberi perché ne sapremo di meno.
Non parlerò dei casi che mi riguardano ma se un giorno Fiorenza Sarzanini, Sigfrido Ranucci, Giorgio Mottola, Antonio Crispino, Nello Trocchia, Lirio Abbate, Milena Gabanelli, Paolo Mondani, Roberta Polese, Marilù Mastrogiovanni, Salvo Palazzolo, Danilo Lupo, Giuseppe Caporale e tanti altri di fronte all'ennesima querela temeraria o all'ennesima richiesta di risarcimento danni facessero un passo indietro, noi rinunceremmo a conoscere storie che riguardano traffico di armi, corruzioni, mala amministrazione, intrecci tra mafia e potere.
Il giornalista non è un eroe, è uno che ha scelto di stare dentro i fatti, di provare a spiegarli, di essere al servizio della conoscenza e del percorso di libertà di una comunità di cittadini. Le intimidazioni attraverso le liti temerarie hanno fatto precipitare l'Italia al settantasettesimo posto (su 180 paesi) della classifica stilata da Reporters sans frontieres, per la libertà di stampa. La sproporzione tra gruppi di potere che ti chiedono in sede giudiziaria conto di un articolo e ciò che può fare il giornalista di per difendersi è enorme.
L'arma delle querele temerarie non la usano solo i criminali o i mafiosi: è diventato sempre più difficile fare il watchdog, il cane da guardia del potere, parlare di questioni che riguardano uomini delle istituzioni o quelli che hanno un ruolo nei sistemi economici, perché proprio quelli sono i primi a utilizzare l'arma della legge.
Sia ben chiaro, qui non diciamo che non si commettano errori nel fare il lavoro di reporter. Solo chi non fa non sbaglia mai. Qui non diciamo che non sia giusto far valere i propri diritti davanti a un tribunale quando si ritiene di essere diffamati. Ma se il giornalista racconta dei fatti e lo fa in buona fede, utilizzando tutti i mezzi che ha a disposizione per poter verificare l'oggetto della sua inchiesta, quel giornalista va tutelato.
Ve lo dice una degli ultimi che questo è il tempo delle scelte. Scegliere di fare presto delle leggi giuste che compensino questa diseguaglianza, che evitino il carcere per i giornalisti, che evitino l'esborso di somme di denaro impensabili per chi vive di uno stipendio che solo nella migliore delle ipotesi è ordinario e che imponga, come previsto anche in altri ordinamenti, il versamento di una cauzione per chi propone l'azione giudiziaria, oltre che a una sanzione dello stesso peso in caso di assoluzione del giornalista.
Per questo anche io voglio metterci la faccia e giovedì 24 novembre sarò davanti al Senato insieme a alla Federazione Nazionale della Stampa e ad altri colleghi per pretendere che si esca dal pantano, dall'immobilismo, dallo stallo e che in parlamento si decida sulle liti temerarie. Perché in Italia i giornalisti d'inchiesta, quelli "rompiscatole", gli "spalaletame", i muckraker, per aggrapparci ad una storia che, nonostante l'insulto, ha reso giustizia a questo mestiere, non diventino animali in via d'estinzione.
Peggiorano gli attacchi all’articolo 21 della nostra Costituzione. Il 24 novembre saremo in piazza con i cronisti sotto scorta
di Elisa Marincola
Il giornalismo è ormai recepito ovunque, dai potentati, i circoli mafiosi ma anche dalla politica, come il testimone fastidioso da tacitare e sul quale scaricare rabbia, accuse, attacchi fisici e legali, quando non addirittura augurare il carcere o peggio. Anche quando non si parla di inchieste scottanti ma solo di diffusione di affermazioni registrate. Basti ricordare l’episodio di ieri a Napoli, dove addirittura davanti al Comando provinciale dei carabinieri, un videoreporter di Sky che stava filmando l’uscita degli arrestati appartenenti ad un clan di camorra è stato malmenato e minacciato dai parenti degli inquisiti. Ma anche l’accredito negato dalla Juventus ai cronisti della Gazzetta dello sport. O ancora l’ultimissima esternazione del governatore campano Vincenzo De Luca che, per giustificarsi delle gravissime espressioni su Rosy Bindi, ha subito attaccato il “giornalismo spazzatura” che si era permesso di riferire al pubblico quanto un alto esponente delle istituzioni considerava normale proferire. Salvo poi smentirsi e doversi scusare pubblicamente.
E nella puntata di Report appena andata in onda, nell’inchiesta sull’Azerbaijan, un altro esponente delle nostre istituzioni, il senatore della Lega Nord Sergio Divina, presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia Azerbaigian, sui prigionieri politici nelle carceri azere, un centinaio tra i quali anche giornalisti, risponde (testualmente) che anche da noi qualcuno “meriterebbe qualche mese di carcere in più”.
I dati che arrivano dall’Agenzia europea dei diritti umani parlano da soli: 92 episodi di minacce, pressioni, attacchi solo nei primi nove mesi dell’anno, erano 82 nel 2015. E nella classifica, subito dopo di noi, la Francia ne ha registrato “solo” 55. Un’emergenza ormai insopportabile, e le nostre istituzioni non possono più far finta di nulla.
Per questo giovedì 24 dalle 10 Articolo 21, con il direttivo e tutte le iscritte ed iscritti, sarà con Fnsi e tutte le associazioni per la libertà di stampa a piazza delle Cinque lune, vicino al Senato, e insieme a noi ci saranno i tanti, troppi cronisti e croniste sotto scorta, e con loro le donne e gli uomini delle forze dell’ordine chiamati a proteggere il nostro diritto ad essere informati.
Il Parlamento deve cancellare il carcere per i giornalisti e va approvata finalmente una legge davvero efficace per fermare le querele temerarie, bavaglio insormontabile ormai anche per i media più robusti. Ripristiniamo l’articolo 21 della nostra Costituzione, riaffermiamo senza esitazione il dovere d’informare e il diritto ad essere informati!
I giornalisti vanno in piazza con la FNSI contro le querele e le minacce
di Alberto Spampinato
Ossigeno aderisce alla manifestazione indetta dal sindacato il 24 novembre allo scopo di sollecitare nuove leggi e promuovere la consapevolezza dei problemi.
Di fronte al fioccare di intimidazioni e minacce nei confronti di giornalisti italiani presi di mira perché osano raccontare fatti veri o esprimono critiche legittime (trentamila negli ultimi dieci anni, secondo Ossigeno), dopo la fronte ai quotidiani attacchi a giornalisti pubblicazione del dossier sui quasi settemila procedimenti giudiziari per diffamazione a mezzo stampa promossi ogni anno e che, nove volte su dieci, si concludono con il proscioglimento dell’accusato ma producono anche condanne a 103 anni di carcere ogni anno, la FNSI ha indetto una giornata di mobilitazione che si svolgerà giovedì prossimo 24 novembre, a Roma.
Il sindacato unitario dei giornalisti ha chiamato i suoi iscritti e le associazioni a manifestare in piazza allo scopo di diffondere la consapevolezza del problema e di sollecitare le autorità a intervenire con urgenza, con provvedimenti adeguati, innanzitutto sul piano legislativo. Un ulteriore implicito obiettivo è la solidarietà nei confronti delle vittime.
Ossigeno condivide l’iniziativa e parteciperà alla manifestazione con i suoi rappresentanti, augurandosi che la discesa in campo aperto del sindacato dei giornalisti segni quella svolta che in questo campo l’Osservatorio ritiene necessaria per passare dalla diagnosi alla cura. Per risolvere questi problemi, occorre far comprendere al mondo politico che essi danneggiano persone in carne e ossa. Inoltre occorre mettere fine all’indifferenza e al silenzio dei media su questi problemi, e anche alla paura che determina questi atteggiamenti. Non a caso “Taci o sparo!”, “Taci o ti querelo!”, sono i titoli dei dossier ebook che Ossigeno ha dedicato a quest’argomento.
Occorre vincere la paura e la vergogna di essere ridotti in queste umilianti condizioni e aiutare le vittime di turno a superare le difficoltà. Occorre farlo. Non ha senso nascondere problemi come questi, rinviarne la soluzione, lasciarli marcire. Non basta citare con indignazione le classifiche internazionali della libertà di stampa che segnalano l’Italia agli ultimi posti e non trarne le conseguenze. Non basta presentare proposte di legge e infittirle di articoli che fanno rientrare dalla finestra ciò che esce dalla porta.
Dire che in Italia la libertà di informazione è malata è un eufemismo. Diciamo più chiaramente che non basta leggere i giornali per sapere cosa accade. È triste dirlo, ma bisogna ammetterlo ed è doveroso scoprire perché. Chi ha ancora qualche dubbio in proposito può conoscere i tremila e 48 fatti incontrovertibili che Ossigeno per l’Informazione ha documentato in questi dieci anni e le analisi e le proposte che ha elaborato e da tempo sono a conoscenza delle organizzazioni nazionali e internazionali e a disposizione di tutti coloro che non vogliono partire da zero per scoprire come stanno le cose.
Ossigeno ha anche detto cosa chiedono le istituzioni internazionali, cosa si dovrebbe e si potrebbe fare, se ci fosse la volontà politica di tutelare veramente la libertà di espressione, di cronaca e di stampa come un diritto affermato dalla Costituzione e non come un diritto violabile. Dare solidarietà ai giornalisti turchi, russi e di tutti i paesi non democratici è giusto, ma senza nascondere ciò che accade da noi. Anche da noi è rischioso raccontare i fatti. Possiamo nasconderlo? Possiamo tollerarlo? Non credo, se vogliamo vivere in un paese libero, se vogliamo difendere il lavoro e l’occupazione dei giornalisti, perché la piena libertà di stampa è la premessa della democrazia ed è la pre-condizione per svolgere la professione giornalistica.