«Il governo pensa di limitarsi a chiederci un parere su un testo già definito. Ma noi non andremo a un'audizione di mezz'ora, ci limiteremo, per una questione di buona educazione e di garbo istituzionale, a far avere delle nostre valutazioni». Preso atto delle anticipazioni sul decreto in materia di intercettazioni, e delle successive precisazioni del ministero della Giustizia, il segretario generale Raffaele Lorusso pone in evidenza «una questione di metodo, che – rileva – non condividiamo in alcun modo».
«Ci era stato garantito – spiega il segretario della Fnsi – che avremmo potuto dire la nostra sulla definizione di normativa e regole, e che sarebbe stato costituito un tavolo ad hoc, al quale avremmo partecipato con un esperto scelto da noi. Scopriamo ora che non è così, che siamo al punto più basso del rapporto di interlocuzione».
Per Lorusso, inoltre, si tratta della ulteriore dimostrazione della scarsa considerazione in cui il governo tiene i problemi dell'informazione, un episodio che si aggiunge a tutta una serie di questioni irrisolte: «Che fine ha fatto la convocazione promessa sulle querele temerarie, che ormai rappresentano una forma di bavaglio e di minaccia che sta dilagando? Senza dimenticare il pasticcio delle agenzie di stampa: il bando avrebbe dovuto risolvere ogni cosa e invece la questione è ancora aperta, con testate fuori dalle convenzioni».
In sostanza, secondo il segretario generale, «il governo, al di là dei proclami e delle buone intenzioni formulate dal premier Gentiloni e dal ministro Lotti, continua a non prendere in considerazione temi chiave come l'occupazione, la tutela dei posti di lavoro, la lotta al precariato che per un settore nevralgico come quello dell'informazione ha una rilevanza particolare. Ecco perché non andremo in audizione».