I giornalisti sono sempre più sotto tiro. Minacciati, incarcerati, ammazzati. Un'escalation di violenza che assume forme diverse e che si sta diffondendo in tutto il mondo. Per questo la Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj), cui aderiscono i sindacati di 130 Paesi, il cui Comitato esecutivo si è riunito a Bruxelles, si mobilita per accendere i riflettori su un fenomeno che colpisce al cuore le democrazie perché indebolisce il diritto dei cittadini ad essere informati e per chiedere alle organizzazioni internazionali di agire presso i governi per porre fine all'impunità.
In cima alla lista delle emergenze per l'informazione e per le libertà e i diritti civili c'è la Turchia. La repressione messa in atto dal governo del presidente Erdogan, all'indomani del fallito golpe di luglio, sta facendo scivolare sempre di più il Paese verso una svolta autoritaria. Il caso della Turchia viene sollevato dal segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, componente del Comitato esecutivo dell'Ifj, e trova la condivisione unanime di tutto l'organismo. La preoccupazione italiana per quanto avviene in Turchia viene sintetizzata in un documento presentato dal segretario della Fnsi (qui la versione in inglese e italiano), che chiede alle due federazioni dei giornalisti, Ifj e Efj, di promuovere iniziative dei sindacati nazionali in tutti i Paesi e un incontro con la Commissione europea e il Parlamento Europeo. Il documento condiviso dall'intero esecutivo è fatto proprio da Philippe Leruth, presidente dell'Ifj: sarà lui a individuare la data in cui organizzare sit-in davanti alle sedi diplomatiche della Turchia nei vari Paesi e a programmare, d'intesa con l'Efj, un incontro delle rappresentanze nazionali dei giornalisti con le massime istituzioni europee.
Il tema della difesa della libertà di stampa e della tutela dei giornalisti che in tutto il mondo vedono messa a rischio la loro libertà è il filo conduttore della seconda parte dei lavori del Comitato esecutivo (nella prima vengono affrontate questioni organizzative e di bilancio). I rapporti dalle varie aree del mondo evidenziano la crescita esponenziale di lacci e laccioli di varia natura che hanno l'unico scopo di imbavagliare la stampa. Le aree più esposte restano quella africana, dove la Somalia - fa notare Omar Faruk Osman, segretario del sindacato dei giornalisti somali - rimane il posto più pericoloso del continente per esercitare la professione giornalistica. La situazione è critica anche in Sud America, con numerosi Paesi a rischio per i giornalisti. A cominciare dal Venezuela, dove la grave crisi interna si è tradotta anche in un bavaglio generalizzato alla stampa, per finire alla Colombia, dove il numero dei giornalisti minacciati, rapiti o ammazzati rimane molto alto. In questo contesto molto preoccupante, rappresenta comunque una buona notizia il ritorno nella famiglia dell'Ifj dei sindacati dei giornalisti dell'Argentina e dell'Uruguay. Resta critica la situazione anche in India, Pakistan e in molti Paesi del Sud Est dell'Asia, a cominciare dalla Cina. Sotto osservazione anche l'Europa, dove la “ley mordaza” spagnola, le restrizioni e i controlli preventivi messi in atto in Francia dopo la strage di Charlie Hebdo, e il numero crescente di cronisti italiani minacciati o trascinati in tribunale a scopo intimidatorio impongono azioni coordinate e mirate.
L'aspetto più grave degli attacchi ai giornalisti e alla libertà di stampa in atto in tutto il mondo è nella quasi certezza dell'impunità per chi se ne rende colpevole. Se ne parla nel workshop finale con il quale l'Ifj lancia la campagna #Endimpunity. Al 31 dicembre 2015, il numero dei giornalisti ammazzati in dieci anni nel mondo è impressionante: 827.
«Solo in un crimine su dieci commesso contro un giornalista si arriva alla condanna dei colpevoli», avverte Debora Seward, direttrice del centro di informazione delle Nazioni Unite per l'Europa occidentale. Il tema dell'impunità è particolarmente avvertito in aree considerate a rischio come Perù, India, Palestina, Somalia e Colombia, come denunciano Zuliana Lainez, Sabina Inderjit, Nasser Abu Bakker, Omar Faruk Osman e Adriana Hurtado, componenti del comitato esecutivo dell'Ifj.
Le parole d'ordine della campagna #Endimpunity sono "prevenzione, protezione e repressione". È necessario, spiegano i rappresentanti delle Nazioni Unite, che i governi si assumano la responsabilità di proteggere il diritto di espressione e la sicurezza dei cronisti. Minacce, intimidazioni e attentati contro i giornalisti rappresentano un mezzo per indebolire le democrazie perché alimentano nei giornalisti un sentimento di paura che porta all'autocensura. Il pericolo è avvertito ovunque perché il fenomeno è molto diffuso. Occorre attivarsi per far sì che i governi proteggano la libertà di stampa e il dovere dei giornalisti di informare l'opinione pubblica.
Da questo punto di vista, il segretario generale della Fnsi ricorda l'impegno del sindacato dei giornalisti italiani per la cancellazione dal codice penale del carcere per i giornalisti, per sanzionare duramente chi si rende protagonista di richieste di risarcimento e di querele temerarie e per tutelare i cronisti minacciati. Questioni che la Fnsi considera centrali per qualità della democrazia italiana, come sottolineato dal presidente Giuseppe Giulietti durante il recente incontro con il ministro della Giustizia, Andrea Orlando.
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