La Commissione Antimafia ha approvato all’unanimità la relazione sullo stato dell’informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie di cui è stato relatore il vicepresidente Claudio Fava. Dal 2006 al 31 ottobre 2014 – rileva lo studio – sono stati 2060 i giornalisti minacciati, con un costante incremento che ha registrato il suo picco nei primi 10 mesi del 2014, con 421 atti di violenza o di intimidazione nei confronti dei cronisti: quasi tre ogni due giorni.
«Un dato allarmante», ha commentato la presidente della Commissione, Rosy Bindi, nel corso della conferenza stampa di presentazione della relazione a Montecitorio. Nelle oltre 80 pagine fitte di numeri, testimonianze e vicende spesso poco conosciute si stigmatizza anche la sostanziale "impunità" di certi comportamenti: «Pochissimi – si legge nella relazione – gli episodi in cui gli autori di minacce o violenze siano stati identificati, giudicati e condannati».
Accanto ai metodi più diretti e, spesso, brutali, la relazione evidenzia «il ricorso sempre più frequente ad un uso spregiudicato e intimidatorio di alcuni strumenti del diritto», in primis le querele e le azioni civili per danni «dove la temerarietà è solo apparente, visto che in questi casi l’obiettivo dell’azione giudiziaria contro il giornalista è quello di indurlo a comportamenti e scritture più "rispettosi"».
Un altro aspetto del problema indagato dalla Commissione è quello dell’informazione «contigua, compiacente o persino collusa con le mafie. Perché se è vero che gli episodi di compiacenza a volte sono il prodotto delle minacce subite, è pur vero che esiste un reticolo di interessi criminali che ha trovato in alcuni mezzi di informazione e in alcuni editori un punto di saldatura e di reciproca tutela».
Spesso, inoltre, i più colpiti sono anche i più deboli: giornalisti che svolgono la professione da lavoratori autonomi, senza le tutele e le garanzie previste dal contratto nazionale di lavoro. Un forma di «violenza più subdola, ma non meno dolente, che si manifesta – hanno rilevato i relatori – attraverso le condizioni di estrema precarietà contrattuale e economica di quasi tutti i giornalisti minacciati», molti dei quali «a fronte di un devastante repertorio di intimidazioni hanno ammesso di lavorare per pochi euro ad articolo, spesso senza contratto e con editori raramente disponibili ad andare oltre a una solidarietà di penna e di facciata».
«Il dato positivo – conclude la relazione – è la determinazione con cui una nuova generazione di giornalisti ritiene che la funzione etica del loro mestiere non possa essere svilita da condizioni di lavoro a volte umilianti né dai rischi, dalle minacce, dall'isolamento. Giornalisti poco conosciuti, schivi, generosi, determinati».
«La relazione - ha ricordato in chiusura la presidente Bindi – è il frutto di due anni di lavoro, ed è la prima volta nella storia della Commissione che viene fatta un’indagine di questo tipo. Ma è un tema su cui continueremo a tenere alta l’attenzione perché, purtroppo, la lista degli giornalisti minacciati si allunga ogni giorno».
Molti dei giornalisti minacciati hanno meno di 30 anni. Il primato di regione in cui si registra la maggior parte di episodi di minacce a danno di giornalisti è il Lazio: ben 26 dall’inizio del 2015 davanti alla Campania con 20 e alla Puglia e alla Lombardia con 18.